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"Nanni" di Carnevale esposti lungo una strada di Bagheria. Lo scatto - al pari degli altri presenti in questo post - risalgono al 1979 e sono opera del fotografo bagherese e cultore di tradizioni popolari Paolo Di Salvo. Sino a qualche decennio fa, la presenza dei "Nanni" - pupazzi che rappresentavano il Carnevale - era viva in numerosi paesi della Sicilia. Nel 1884, Giuseppe Pitrè scriveva che il Nannu "è la personificazione del Carnevale, la maschera principale, massima, l'oggetto di tutte le gioie, di tutti i dolori, de' finti piagnistei, del pazzo furore di quanti sono spensierati e capi scarichi..." |
Ci sono persone che coltivano con discrezione le proprie passioni culturali, facendone tesoro unicamente per una privata crescita intellettuale ed umana.
Talvolta l’estro permette loro di elaborare quelle passioni con la forza della parola scritta o di un filmato o di una fotografia, facendone oggetto di preziosa documentazione.
Una di queste persone si chiama Paolo Di Salvo.
Il centro della sua ispirazione è la cultura popolare di quella Bagheria che, per ragioni che nessuna analisi critica è riuscita ancora a spiegare, ha regalato negli ultimi decenni alla scena isolana personaggi come Ferdinando Scianna, Renato Guttuso, Ignazio Buttitta, i fratelli Ducato e Giuseppe Tornatore.
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"...Ordinariamente si immagina e rappresenta il Nannu come un vecchio fantoccio di cenci, goffo ed allegro; vestito da capo a piedi con berretto, collare e cravattone, soprabito, panciotto, brache, scarpe. Lo si adagia ad una seggiola con le mani in croce sul ventre, innanzi le case, ad un balcone, ad una finestra, appoggiato ad una ringhiera, affacciato ad una loggia... ( Pitrè, opera citata )" |
Con quest’ultimo - come già raccontato da ReportageSicilia – Paolo Di Salvo ha condiviso precoci interessi documentari nei confronti di personaggi e di attività che raccontano tradizioni e costumi culturali bagheresi.
Oggi Tornatore è un regista da Oscar, vive a Roma e produce film spesso abilmente realizzati per i gusti ridondanti del mercato statunitense.
Di Salvo – autore di fotografie che colgono gli aspetti più genuini dei riti popolari, oltrepassando la soglia percettiva del puro folclore e cogliendone il loro valore collettivo - ha invece deciso di rimanere a Bagheria; qui, vi svolge il difficile compito di coltivare un normale lavoro e di far crescere una famiglia.
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"Con le sembianze di Ollio - scrive Paolo Di Salvo a commento della fotografia - questo Nannu orna e reclamizza la bancarella di un venditore di dolciumi, maschere, coriandoli ed altri oggetti legati al Carnevale". Ai nostri giorni, la tradizione siciliana dei "Nanni" è quasi completamente persa, e con essa è scomparsa anche una manifestazione di cultura popolare che aveva lo scopo di rafforzare il senso di appartenenza delle singole famiglie ad una comunità |
Di tanto in tanto, Paolo riapre l’archivio dove sono conservate le sue storiche fotografie e fatta la scelta, via mail, decide di farne preziosissimo dono ad un blog amatoriale come è ReportageSicilia.
Anche nel caso di questo post – tempestivamente dedicato al Carnevale - Di Salvo rende note alcune fotografie realizzate a Bagheria in occasione del periodo di quella festa.
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Sistemazione dei "Nanni" sull'uscio di un'abitazione, alle spalle di Palazzo Butera, il più antico degli edifici residenziali a Bagheria |
L’anno degli scatti è il 1979 e l’ambientazione prevalente è quella dei quartieri popolari della cittadina, con l’esibizione dei “Nanni”, i fantocci che rappresentavano sino a qualche tempo fa il Carnevale siciliano.
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Il ragazzino con il travestimento da moschettiere fissa l'obiettivo di Paolo Di Salvo. Alle sue spalle i "Nanni" raccontano oggi i riti di un Carnevale che non esiste più. A distanza di 34 anni da questo scatto, la stessa maschera del moschettiere appartiene ad una tradizione letteraria per lo più sconosciuta ai ragazzini dei nostri tempi |
A commento delle sue opere, l’autore cita ciò che dei riti di questa festa scrisse Giuseppe Pitrè nel 1884 in “Usi, costumi, credenze e pregiudizi del popolo siciliano”:
“Il Nannu o Nannu di Carnalivari è la personificazione del carnevale, la maschera principale, massima, l’oggetto di tutte le gioie, di tutti i dolori, de’ finti piagnistei, del pazzo furore di quanti sono spensierati e capi scarichi…
La sua storia è lunga, ma la sua vita è così breve che si compie dall’Epifania all’ultimo giorno di Carnevale. Ordinariamente lo si immagina e rappresenta come un vecchio fantoccio di cenci, goffo ed allegro; vestito da capo a piedi con berretto, collare e cravattone, soprabito, panciotto, brache scarpe.
Lo si adagia ad una seggiola con le mani in croce sul ventre, innanzi le case, ad un balcone, ad una finestra, appoggiato ad una ringhiera, affacciato ad una loggia; ovvero lo si mena attorno…
Da alcuni anni in qua le Società Siciliane pel Carnevale fanno un carnevale tutto proprio; e come han creato una Nanna, moglie del Nannu, creazione di cattivo gusto, che in Sicilia non ha nessun fondamento, così hanno importato una cremazione del Nannu…
Povero Nannu! Trascinato a finire come un eretico di tre secoli fa sopra una catasta di legno in pieno anno 1884, e per opera di tanti begliumori che detestano gli auto-da-fe ed il Sant’uffizio! E non ti è concesso, o vecchio Nannu, di fare un po’ testamento come lo facevi al buon tempo antico nell’antica capitale della Sicilia, e come pur lo fai in carne ed ossa nel sestiere del Borgo e in cento altri luoghi dell’Isola e di fuori!
Ma così è, mutano i tempi e noi mutiam con essi!”.
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Il prologo al rogo del "Nannu", epilogo del Carnevale: la lettura del testamento scritto dal creatore del pupazzo, con riferimenti beffardi e ironici nei confronti dei parenti e degli amici |
Ai nostri giorni, i “Nanni” fotografati 34 anni fa da Paolo Di Salvo nella sua Bagheria sono quasi del tutto scomparsi dalla scena del Carnevale siciliano.
Bambini e bambine vestono per lo più costumi acquistati negli ipermercati, ispirati a personaggi indicati dal marketing commerciale; padri e madri hanno altri pensieri domestici, e la tradizione di appendere i fantocci sull’uscio di casa sopravvive nei racconti dei loro genitori e nonni.
Insieme ai “Nanni” bagheresi, sono del resto scomparse anche le maschere siciliane di caratteri e tipi indicati agli inizi del Novecento dall’antropologo di San Fratello Benedetto Rubino: don Liddu ( il damerino ), il Baruni, u Massariotu, u Dutturi, l’Avvucatu, i Judici, il Leramanti ( il negromante ), il Ciraulu ( il ciarlatano ), l’Annimina Vintura ( la zingara indovina ), il Pueta, u Santocchiu, la Marabuta ( la bigotta ), Don Sucasimmula ( lo sdolcinato ), lu Pispisuni ( il farfallone ), Mastru Razzuddu ed ancora – in onore ai tanti invasori della Sicilia - u Francisi, lu Spagnolu ed u Turcu.
Ecco così che le fotografie di Paolo Di Salvo non rappresentano soltanto la documentazione di un costume popolare scomparso: sono anche il racconto di tempi in cui un’intera comunità, anno dopo anno, era capace di identificarsi e ritrovarsi nella celebrazione di riti secolari.
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L'ultima fotografia dei "Nanni" bagheresi concessa da Paolo Di Salvo a ReportageSicilia ritrae un momento della cremazione del pupazzo. Ancora una volta, le parole di Giuseppe Pitrè accompagnano con ironia la comprensione del rito: "Povero Nannu! Trascinato a finire come un eretico di tre secoli fa sopra una catasta di legna in piano anno 1884, e per opera di tanti begliumori che detestano gli auto-da-fe ed il Sant'Uffizio!..." |