“Narrare
è l’ultima difesa contro il tempo”. Questo pensiero di Pietro Citati
torna alla mente imbattendosi in certi piccoli racconti che fanno emergere dall’oscurità
di decenni passati personaggi ed usanze siciliane, per lo più oggi dimenticate. E’ il caso della lettura della storia di Antonio Sparacino, Giuseppe e Michele
Lentini, intesi rispettivamente – scriveva Nicolò Mazzara in ‘Sicilia!’, edito
nel 1926 da Remo Sandron, opera di Zino Ardizzone – “Ninu l’orvu”, “Peppi e
Micheli lo zoppu”. I tre erano allora ricordati da Mazzara come gli ultimi ‘tammurinara’
di Calatafimi, il paese trapanese più noto per le imprese garibaldine nell’isola.
I ‘tammurinara’ – spiega il racconto – “vengono
da quella classe dei ‘vastasi’ che va
scomparendo ( facchini, pescivendoli, saccalora, portantini ); ma tra i vastasi
– distingue Mazzara – hanno un grado più
elevato”.
I ‘tammurinara’ – diffusi
sino a qualche decennio fa in molti paesi dell’isola – avevano infatti un ruolo
sociale di non poco conto, sia religioso che civico. Con la percussione dei
loro tamburi, accompagnavano in primo luogo le messe cantate nei giorni di
festa, soprattutto in occasione delle novene di Natale e durante le
celebrazioni serali del giovedi santo. A volte, il tamburo dava il tempo alle
litanie di santi cantate dai ragazzi e dalle donne.
Nel caso di Antonio Sparacino
e dei fratelli Lentini – questi ultimi figli di Nicolò, altro ‘tammurinaro’ di
Calatafimi – capitava ancora che i loro tamburi accompagnassero anche i
funerali. Per le loro prestazioni di natura religiosa, erano spesso
ricompensati annualmente dal parroco con un paio di scarpe a testa. Tuttavia,
la funzione ordinaria dei ‘tammurinara’ – in tempi in cui a Calatafimi la
comunicazione non conosceva gli strumenti dei giornali, della televisione o di
internet – era quella di avvisatori pubblici. Ai tamburi ed alle voci era
affidata la diffusione delle ordinanze municipali di sollecita esecuzione – per
lo più quelle che disponevano divieti e multe – e che la popolazione non
avrebbe letto negli avvisi sulle cantonate.
Tre generazioni di 'tammurinara' a Petralia Sottana, durante i festeggiamenti di San Calogero. La fotografia - pubblicata ne maggio del 1948 da 'le Vie d'Italia' del TCI - è di A.Collisani |
Agli ultimi ‘tammurinara’ di Calatafimi
– sottolineava infine 80 anni fa Mazzara, di cui alleghiamo due schizzi dei tre suonatori – toccava anche rendere pubblico
servizio in materia di oggetti smarriti, non senza una benevola comprensione
per lo smemorato. “A cu avissi truvatu un
portafogghiu cu 300 liri dintra, chi fu persu nta lu chianu di S.Micheli, c’è
100 liri di viviraggiu. Ora daticcillu chi cu lu persi è patri di famigghia…” (
“Chi abbia trovato un portafogli con 300 lire dentro, che fu perso sulla piazza
di S.Michele, avrà 100 lire di ricompensa. Adesso ridateglielo, che chi l’ha
perso è un padre di famiglia…” ).
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