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martedì 30 novembre 2021

IL MISTERIOSO TEMPIO VEGETALE DEL FICUS DELL'ORTO BOTANICO A PALERMO

Foto non attribuite
tratte dalla rivista
"Sicilia"

edita dall'assessorato regionale al Turismo
nel giugno del 1954


"Gli alberi e le piante, a mano a mano che si scende verso il mare di Sicilia - scrisse Corrado Alvaro nell'agosto del 1953 - crescono fuor di misura: l'olivo gigantesco della costa, è scambiato per una pianta forestale; la ginestra dal tronco arboreo forma viali in qualche luogo; la cicuta, ad Agrigento, assume le proporzioni di una grande ombrellifera, la si può scambiare per il sambuco. Così una specie di cardi è di un turchino anilina, e questa pianta altrove inutile ai margini delle strade, è portatrice di un tenerissimo frutto tra le sue spine, un carciofo selvatico che è il più squisito della sua famiglia vegetale. L'arbusto dell'ibisco fiammante è davanti alle stazioni più modeste, ha il lusso dell'azalea, un'azalea smisurata.  E i ficus giganteschi che buttano le loro radici dall'alto dei rami verso la terra, come proboscidi di un elefante arboreo..."




Fra tutti i ficus osservati allora dallo scrittore calabrese in Sicilia, uno dei più noti per la sua maestosità ( insieme all'altro palermitano di piazza Marina ), è quello presente all'interno dell'Orto Botanico. Così ne scrisse Giulia Sommariva nel giugno del 1965 in un reportage intitolato "L'Orto Botanico di Palermo" pubblicato dalla rivista "Sicilia", edita dall'assessorato regionale al Turismo:
 
"Penetriamo nel boschetto dove un'unica pianta di Ficus Magnolioides costituisce da sola una sorta di foresta vergine estendendosi per una superficie di 900 mq.: dai rami giganteschi si dipartono innumeri radici aeree che, raggiunta la terra, s'ingrossano formando quasi altrettante colonne di un misterioso tempio vegetale: per le sue dimensioni colossali e per le radici pendule o serpeggianti rasoterra, questo Ficus s'impone come albero più spettacolare dell'Orto. Introdotto da uno stabilimento orticolo francese intorno al 1850 esso, grazie alla sua longevità, potrà ancora proseguire nel suo slancio costruttivo aprendosi di stagione in stagione alle nuove onde di linfa che salgono dalle radici..." 

lunedì 22 novembre 2021

domenica 21 novembre 2021

LA PERCEZIONE DI PANTELLERIA IN UNA PAGINA DI GIOSUE' CALACIURA

Il varo della motobarca "Francesco Rizzo",
destinata dal 20 giugno del 1954
al collegamento fra Trapani e Pantelleria.
Foto tratta da "Sicilia Turistica"
del luglio-agosto del 1954


Emergente dal Mediterraneo dai colori più cupi - il viola della sera , il blu della notte - Pantelleria è isola che da sempre attrae o sgomenta chi, per scelta o per ventura, abbia l'occasione di arrivarvi. In "Pantelleria. L'ultima isola" ( Editori Laterza, 2016 ), Giosuè Calaciura ne racconta l'anima, sottolineando l'immediata percezione del carattere estremo di una roccia vulcanica dal perimetro di 51 chilometri; un continente aspro e tagliente, distante 70 dall'Africa e 110 dalla Sicilia:

"Dai traghetti si percepisce subito che questo non è il mare addomesticato dei nostri arcipelaghi a portata di aliscafo, dove le agavi si specchiano come Narcisi nelle baiette placide dei bagni estivi e basta una voce per richiamare i bambini al pranzo dei ristoranti Miramare costruiti sulla  sabbia delle spiagge. Qui non ci sono spiagge. Il mare tra l'isola madre e Pantelleria con mezze parole, sicilianamente, fa intuire che è capace di furie oceaniche perché sta a guardia di due continenti e ha consumato e consuma avventure dello stesso respiro...

... Infine all'arrivo, entrando in porto, scansando gli scogli affioranti del molo cartaginese a ribadire che a Pantelleria l'approdo bisogna desiderarlo fortemente, nel sintomo conclamato e violento del nero ossidiana e del verde fosforescente dello Zibibbo, l'uva che altrove chiamano Moscato d'Alessandria, l'angoscia inesprimibile di avere messo nell'estremo conclusivo della Creazione e nello stesso tempo nel laboratorio dove la Natura sperimenta se stessa e il suo atto definitivo. Per alcuni il malessere è diventato panico..."

sabato 20 novembre 2021

VECCHIE CASE DI PALERMO DI TOTO' BONANNO

 








L'IGNOTA SORTE DELLA COPPA LIPTON VINTA DAI PIONIERI DEL PALERMO

Il capitano del Palermo, Ernesto Barbera
con la Coppa Lipton
trofeo andato disperso a Palazzo Riso.
Da messinastory1900.altervista.org


Tra i non pochi contributi inglesi alla storia siciliana fra Ottocento e primi anni del Novecento c'è anche quello che riguarda la diffusione del "football". Palermo, in particolare, offriva all'epoca residenza ad una comunità britannica pronta a sfruttare le risorse garantite dal commercio dello zolfo e del vino dolce di Marsala; legato a questi traffici, c'era poi un discreto movimento in porto di equipaggi di navi inglesi e maltesi già esperti nell'uso dei primi palloni in cuoio. Nelle soste fra un viaggio e l'altro, si ritrovavano in uno spiazzo pianeggiante chiamato il "pantano" - non lontano dall'ingresso del porto - offrendo ai palermitani il primo spettacolo organizzato di calci verso due rudimentali porte contrassegnate da pietre.  C'erano insomma le condizioni perché il "football" diventasse merce di importazione nell'Isola. Così, alla fine del 1897, su iniziativa di Giuseppe Whitaker nacque l'"Anglo Panormitan Football Club", con sede all'interno di Palazzo Mazzarino, in via Maqueda

La formazione del Palermo nel 1898.
Foto tratta dal quotidiano "Telestar" del 12 giugno 1968


Lo stesso Whitaker ne fu presidente; l'inglese Blake fu designato allenatore e insieme ad un consiglio direttivo furono scelti due guardialinee, i fratelli Crescimanno. Sono noti anche alcuni nomi dei primi giocatori: gli inglesi Pen ( agente in città della scozzese "Anchor Line" ), Woodrow Normann, il diplomatico francese De Gaston, il cavaliere Giorgio Anzon, il conte Guido Airoldi, Corrado e Valentino Colombo, Vincenzo, Roberto e Michele Pojero, Ignazio Majo, ed ancora Di Stefano, Macaluso, Giaconia, Cafiero e Cimino.   I primi colori sociali - copiati da quelli del Genoa, allora la più forte squadra italiana - furono il rosso ed il blu a quarti sulle maglie. Il campo di gioco si trovava nell'attuale zona fra la via Notarbartolo e Villa Sperlinga, su un terreno degli stessi Whitaker. Pochi mesi dopo - nell'aprile del 1898 - la denominazione della società diventò "Palermo Foot-ball and Cricket Club". Cambiò anche il luogo dove si disputavano le partite: il campo del Ranchibile, munito di regolari porte e di due rudimentali tribune per il pubblico.


 

Si deve al giornalista sportivo Mario Pasta una delle prime ricostruzioni dei primordi del club; ne scrisse nel giugno del 1968 sul quotidiano palermitano "Telestar", fornendo anche una ( ma non è l'unica ) spiegazione sulla particolare colorazione rosanero in seguito adottata nelle maglie:

"Durante una riunione a Palazzo Mazzarino i convenuti scorsero dalle finestre di una delle sale dell'abitazione dei Whitaker alcune vecchie maglie stese ad asciugare al sole. Per effetto delle frequentissime lavature, il rosso si era notevolmente stinto ed il blu aveva assunto un colore più scuro. Il rosa ed il nero furono quindi proposti come una trasfigurazione del rosso e del blu..."

L'attività dei primi anni rimase circoscritta a partite fra gli stessi soci o con squadre di marinai in transito dal porto. Nel 1903, si ricorda il primo evento memorabile nella storia del team rosanero: un incontro con i marinai inglesi della squadra navale inglese comandata dall'ammiraglio Willins. Furono disputate due partite, entrambe perse per 2 a 1 e 7 a 1, a dimostrazione della indiscussa superiorità britannica nel calcio di quegli anni. Nel frattempo a Messina - altra città portuale aperta alle frequentazioni inglesi - nel 1905 sorgeva un'altra società calcistica siciliana, denominata "Messinese": fu l'occasione per dare vita ad i primi accesissimi derby regionali, organizzati grazie all'istituzione di una Coppa Whitaker, messa in palio dallo stesso presidente del Palermo. La "Messinese" si rivelò tenace rivale, ma perse in casa per 3 a 1; dopo la vittoria, la foto ricordo dei giocatori rosanero - alcuni dei quali in abiti borghesi - fu scattata non sul campo, ma in uno studio fotografico. A testimonianza del pionierismo del calcio d'inizio Novecento, occorre ricordare che per raggiungere Messina appena in tempo per la partita, la squadra del Palermo si sobbarcò un viaggio di due giorni.

Il Palermo in campo nel 1903.
Fotografia tratta da "Telestar", opera citata


La pratica del football dilagava ormai in tutta Italia, alimentando la diffusione di tornei che, pur non potendo considerarsi dei veri e propri campionati nazionali, cominciarono a creare le prime rivalità calcistiche. Il Palermo fu il protagonista di uno di questi eventi, che, indirettamente, creò le premesse per un episodio diventato un "giallo" di natura non sportiva. Le premesse furono l'organizzazione di una sorta di Coppa dei Campioni fra i rosanero ed il Napoli, frutto di un'iniziativa di sir Thomas Lipton, a seguito del suo sbarco a Palermo nell'aprile del 1907:  vicenda così raccontata da Mario Taccari in "Palermo l'altro ieri" ( S. F. Flaccovio Palermo, 1966 ):

"Non si trattava ancora di attribuirsi un titolo e di cucirsi addosso uno scudetto, ma di guadagnarsi la mastodontica coppa che un ricchissimo estimatore delle imprese muscolari - manco a dirlo: un inglese - aveva appositamente fatto eseguire destinandola a premiare la società calcistica campione del Sud. L'ultima volta che ci avvenne di rivederlo, questo trofeo che nessuno sa più dove sia andato a finire, fu intorno al 1940, a Palazzo Riso, sede della federazione provinciale fascista ( a Palermo, n.d.r ). La rilevante mole argentea della 'Lipton Challenge Cup' posava su un solido piedistallo e si proporzionava alla vastità del salone che le dava ricetto. Era un bel lavoro artigianale di gusto liberty, adorno di non poche figurine simboliche sistemate a far corona alla statuina di un baffutissimo  calciatore in mutandoni, ergentesi al sommo del trofeo come un Leonida sulla più alta vetta dei monti di Tessaglia. La coppa senza rivali era stata posta in palio, dicevamo, da un creso delle isole britanniche, Lord Lipton, capitato a Palermo con suo panfilo, il cui equipaggio si trasformava spesso e volentieri in un agguerrito team calcistico. Quel personaggio ch'egli era, imbevuto d'anglico orgoglio, aveva vissuto nella pacifica persuasione che il football inglese fosse imbattibile e quando il Palermo nato ieri gli aveva strapazzato la squadra di bordo infliggendole una mezza dozzina di goals, il Lipton era rimasto, diremmo, folgorato dalla rivelazione di un 'wonderteam' che, a suo giudizio, avrebbe sbalordito il mondo calcistico tutto intero. Che si ingannasse a partito la storia adesso lo dice; ciò non toglie che gli sportivi palermitani debbano conservare grata memoria del prodigio baronetto che aveva creduto di potere affidare ai rosanero la difesa della ingombrante coppa intitolata a suo nome e che sembra gli costasse non meno di seimila lire: più di due milioni di adesso. Il trofeo fu disputato, come si è visto, tra Palermo e Napoli e furono i rosanero ad aggiudicarselo definitivamente nell'anno 1910 battendo gli azzurri del Vesuvio per quattro reti a una. Precisano i cronisti che i goleadors palermitani furono i signori Bonanno, Schimicci e Cambrici..."



La scomparsa della monumentale Coppa Lipton, conquistata dai rosanero nel 1915 - uno dei pochissimi trofei vinti dal Palermo nella sua ultra secolare storia - ha sottratto alla memoria la testimonianza del periodo pionieristico della sua storia. Sulla sorte, è possibile fare solo qualche supposizione: quella di un avvenuto furto, o di una perdita legata alla devastazione subita da Palazzo Riso durante i bombardamenti alleati. Qualunque sia la verità sulla fine di quello storico trofeo, è certo che l'attuale livello della squadra rosanero esclude l'ipotesi di poter riporre in una bacheca nuove coppe.   

giovedì 11 novembre 2021

ERCOLE PATTI ED UN REPORTAGE FRA GLI AMBULANTI SULLO STRETTO DI MESSINA

Fotografia di Federico Patellani.
Opera citata nel post


Nel maggio del 1952 Ercole Patti attraversò lo Stretto di Messina a bordo di uno dei traghetti che quotidianamente, dal 1 novembre del 1899 - fatti salvi eventi bellici o naturali - collegano la Sicilia alla Calabria. Colpì l'attenzione dello scrittore catanese la presenza a bordo di gruppi di pendolari del piccolo commercio alimentare: venditori di frutta, verdura o animali da cortile, personaggi dimenticati dell'economia rurale siciliana di quegli anni. Di loro, Patti così scrisse in un reportage - il titolo, "Arrivo nell'isola" - pubblicato nel dicembre dello stesso anno da "L'Illustrazione Italiana" in un fascicolo speciale natalizio dedicato alla Sicilia:

"Un curioso odore di Oriente circola nei sottopassaggi fra le travature metalliche del ponte inferiore che è pieno di folla. Donne con grandi cesti di frutta, di verdura, sacchetti, canestri, involti, panieri, hanno invaso i binari facendoli sparire sotto le loro vesti colorate e i loro variopinti bagagli. Tutta gente che svolge il suo quotidiano piccolo commercio tra Villa San Giovanni e Messina, tra Reggio Calabria e Messina. Vanno vendere i fichi, l'uva o l'insalata, secondo la stagione, facendo la spola tra l'isola e il continente.



Basta un cestino di uova fresche, pochi grappoli di uva o un paio di pollastri vivi legati per le zampe caldissime come avessero la febbre a trentanove, per giustificare la traversata del profondo mare che divide la Sicilia dall'Italia. Quasi a tutte le ore c'è un traghetto che parte e uno che torna tra Messina, Reggio e Villa, e sono tutti affollati. Le grosse macchine straniere dirette a Taormina o ad Agrigento, sistemate accanto ai vagoni incatenati al ponte, emergono tra una folla di panieri, galline e valige legate lo spago...



I turisti stranieri hanno tirato fuori dagli astucci di cuoio binocoli e macchine fotografiche e prendono di mira la costa siciliana; piazzano treppiedi, fanno ronzare apparecchi, girano manovelle. I siciliani che rientrano dal Nord passeggiano sul ponte e cominciano a fiutare l'aria nativa. Il dialetto circola per i ponti e le scalette del battello, fiorisce sulle labbra degli agenti di servizio. L'accento messinese del controllore che attraversa il ponte luminosissimo invaso dalla gran luce del mattino, si riconosce subito, non può lasciare dubbi..."