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mercoledì 30 agosto 2023

LA PAROLE DELLA POESIA A PORTO PALO DI MENFI

Il mare di Porto Palo, a Menfi.
Fotografie
Ernesto Oliva-ReportageSicilia


"Appare da lontano Menfi, dallo stradone pieno di curve che la collega alla veloce per Sciacca, poggiata al fondo di un lieve e lunghissimo declivio. Laggiù, incorniciata dal Mediterraneo, vaga e misteriosa, Menfi veste un trasparente di foschia grigia, che le dà un'aria da etera sonnolenza, attraente e infida... Menfi ha vino, olio, clima torrido, carattere da trattorista, ambizioni astratte, rare e profumate, progetti da frontiera americana e meticolose e puntigliose concretezze che, come una lente d'ingrandimento, artigliano e s'impadroniscono dei dettagli abbandonando ai secoli il senso dell'opera intera. Dal mare, con la foschia, non si vede terra..."

Così ha scritto di Menfi - delle sue colline coltivate a ulivi e vigne, della sua lunga costa sabbiosa con le spiagge di Porto Palo e Lido Fiori, premiate con la Bandiera Blu da 27 anni - Vittorio Brusca, docente di arti visive all'Università di Palermo



La descrizione trovò spazio nella prefazione del volume di liriche di Angela Maria Mistretta "Storie di Uomini e Dèi", edito a Sciacca nel 2007 da Gianmarco Aulino Editore. Insieme ad altri appassionati della cultura e del territorio menfitano, l'autrice delle poesie ha di recente ideato un progetto per abbellire la passerella lignea che costeggia la sabbia di Porto Palo con otto cartelli che citano opere di poeti dedicati al mare. Grazie all'impegno volontario dei promotori dell'impresa, bagnanti e visitatori di Menfi possono ora provare ad abbinare lo sguardo sul paesaggio marino alla lettura dei versi di Omero, Alda Merini, Salvatore Quasimodo, Federico Garcia Lorca, Jacques Prévert, Ernest Hemingway, Konstaninos Kavafis e Mario Luzi; proprio quest'ultimo visitò vent'anni fa Menfi, ospite della locale Istituzione Culturale Federico II






Nelle intenzioni degli ideatori dell'iniziativa, i cartelli letterari di Porto Palo sono destinati a crescere di numero: un esempio non del tutto scontato di come in Sicilia si possa tentare di sfuggire dalla diffusa pratica della scarsa cura - se non del vero e proprio abbandono - degli ambienti costieri.

martedì 22 agosto 2023

LO STORICO RAMINGARE SULLE STRADE SICILIANE

L'autostrada Palermo-Mazara del Vallo.
Foto
Ernesto Oliva-ReportageSicilia 

Nel luglio del 1961, il giornalista e saggista Cesco Tomaselli - autore in quegli anni di numerose inchieste sulle condizioni economiche della Sicilia -  pubblicò un reportage sul "Corriere della Sera" in cui si sottolineava la scarsa presenza sull'Isola di automobili con targa di altre regioni italiane e straniere. Il cronista imputò quella circostanza alle difficoltà di collegamento con il resto della penisola e alle condizioni precarie della rete viaria e dei trasporti regionali:

"Di moderno le strade meridionali, quelle siciliane in specie, non hanno che il manto di asfalto; per il resto sono borboniche,  vanno di casa in casa come i portalettere, ora sono su ora sono giù, mentre nel fondo valle il torrente segue la linea logica delle sue acque ( quando ci sono )... L'andare, poniamo, da Palermo a Catania, non è un viaggiare, è un ramingare..."

Nel 1961, la Sicilia non offriva ancora agli automobilisti la possibilità di percorrere le autostrade Palermo-Catania e Palermo-Mazara del Vallo. Entrambe sarebbero state costruite qualche anno dopo; eppure, a distanza di oltre sessant'anni, il fatiscente stato delle strade isolane - gli eterni cantieri sulla Palermo-Catania citata da Tomaselli, quelli della statale Palermo-Agrigento, le frane e le interruzioni di parecchie provinciali - continua ad essere al centro delle cronache siciliane. Al punto che, come scrisse allora Cesco Tomaselli, si può condividere ancor oggi il giudizio che 

"a viver qui in Sicilia, si ha il senso di esser sempre fermi, con le ancore giù, fermi davanti a un porto che non alza mai il segno di entrare. Da secoli"



mercoledì 16 agosto 2023

L'ESSERE ED IL NON ESSERE ESIBITO DAL MAFIOSO

Matteo Messina Denaro
nella fotografia diffusa
dai Carabinieri del ROS dopo l'arresto,
lo scorso 16 gennaio.
Sotto, stralcio del primo interrogatorio
sostenuto il 13 febbraio 2023


Molte sono le spiegazioni sull'identità della mafia e dei mafiosi, sui processi mentali che regolano comportamenti e azioni dell'"onorata società", nei suoi rapporti interni ed in quelli con le istituzioni dello Stato. Su questo tema si sono espressi magistrati, giornalisti, criminologi, sociologi, antropologi e psichiatri. Le diverse letture circa il carattere della "mafiosità" concordano su un punto: quello degli atteggiamenti esteriori del mafioso, destinati ad esibire e nascondere allo stesso tempo l'attribuzione della condizione di "uomo d'onore". Una sintesi di questi comportamenti è stata tracciata dal saggista e storico Virgilio Titone in "Storia mafia e costume in Sicilia" ( Edizioni Del Milione, Milano, 1964 ):   

"Il mafioso è anzitutto un uomo che si compiace di se stesso. Egli si guarda e si ascolta: quel suo parlare a monosillabi, a cenni, per sottintesi, quel controllo continuo del gesto, della parola, del portamento sono una maschera, che, rispondendo in un certo senso al tipo ideale del siciliano, a quello che il siciliano vuol essere in realtà o esser creduto dagli altri, si porta come un'uniforme e quasi una bandiera di un corpo privilegiato e invidiato... Il mafioso ci tiene a farsi riconoscere per tale e nello stesso tempo a darsi l'aria di non desiderare di essere riconosciuto come mafioso: nel suo intimo si sentirebbe diminuito se sapesse di poter passare inosservato...


Il mafioso non nega propriamente lo Stato o l'ordine costituito: li ignora. Negarli sarebbe già qualcosa di diverso: si nega ciò cui si attribuisce un valore, sul piano stesso nel quale ci si pone nel contrasto o nell'opposizione. Tanto che qualche volta o, in certe circostanze anche abitualmente, egli collabora con l'autorità costituita e ne trae motivo di intimo orgoglio. Ma per lui in questi casi l'autorità non è più tale, non esprime l'ordine legale o lo Stato..."

domenica 13 agosto 2023

FERRAGOSTO CATANESE SUI PUNGENTI DI SASSI DI LAVA DI OGNINA

Fotografia di
Franz Tomamichel,
opera citata nel post


"Per Ferragosto, in Sicilia come in tutt'Italia si è in viaggio. Il piccolo porto peschereccio di Ognina presso Catania - scrisse il fotografo svizzero Franz Tomamichel nella didascalia dell'immagine riproposta da ReportageSicilia in "Sicilia" di Jakob Job ( Edizioni Silva Zurigo, 1971 ) - è con la sua trattoria, i suoi battellini e le sue cabine un punto d'incontro degli escursionisti. Vi si fa il bagno, benché non ci sia una spiaggia sabbiosa, ma solo pungenti sassi di lava..." 



sabato 12 agosto 2023

SEGNALETICA STORICA SULLE MADONIE AD ISNELLO




Foto
Ernesto Oliva-ReportageSicilia







 

giovedì 10 agosto 2023

LE MILLE SICILIE DI UNA SICILIA INESISTENTE DI MATTEO COLLURA

Campagna trapanese.
Foto 
Ernesto Oliva-ReportageSicilia


"Se si dovesse tener conto di tutto quanto ne hanno scritto e detto i viaggiatori che l'hanno visitata a partire soprattutto dal XVIII secolo - ha scritto Matteo Collura in "L'isola senza ponte. Uomini e storie di Sicilia" ( Longanesi, 2007, Milano ) - si dovrebbe dedurre che non esiste una sola isola chiamata Sicilia, ma diverse decine o centinaia, tante quanti sono i viaggiatori che, dopo averla visitata, ne hanno lasciato resoconti. Dieci, cento, mille Sicilie, dunque. O nessuna, se è vero che che tanti punti di vista, nel dimostrare che l'oggettività non esiste, pirandellianamente vengono a formare un insieme di verità, nessuna delle quali tuttavia può pretendere di essere inconfutabile..." 

lunedì 7 agosto 2023

LA "SPAVENTOSA PARLATA" DEI SICILIANI SPARSI NEL MONDO IN UNA PAGINA DI GIUSEPPE LONGO

Foto
Ernesto Oliva-ReportageSicilia


Non c'è scrittore o saggista siciliano che non abbia avvertito la necessità di descrivere il carattere dei siciliani, continuando così a rimestare la pentola di un'autoanalisi sul cui fondo ristagna la domanda senza risposta su come si fa - come ha scritto Leonardo Sciascia - ad essere siciliani. Fra quanti in un passato che è ormai storia si sono esercitati nella descrizione dei propri conterranei - a partire dalla loro incapacità di affrancarsi in qualunque parte del mondo si trovino dal proprio dialetto - c'è stato il giornalista messinese Giuseppe Longo. Della sua analisi è rimasta memoria nel saggio "La Sicilia è un'isola" ( Aldo Martello Editore, Milano, 1961 ):

"Conquistati, a loro volta, questi siciliani conquistano il mondo, invadono le metropoli, appestano la faccia della terra col loro dialetto inconfondibile, si fanno gangster in America, minatori nel Belgio, magliari in Germania, caporali e sergenti nella legione straniera, venditori di stoffe in Inghilterra, contrabbandieri di sigarette a Como, scaricatori a Marsiglia, gelatieri in Svizzera e in Norvegia, milanesi a Milano; salgono con noncuranza le più alte cattedre del diritto e della scienza, si avventano sulle questure, sulle ambasciate, sui ministeri, sul municipio di New York, sui palcoscenici, sugli schermi del cinema e della televisione. Barbieri e callisti di sovrani nelle corti di Medio Oriente, architetti e poeti civili, petrolieri e coltivatori di banane sotto il sole dei tropici, eunuchi e sultani. Siano uomini di fatica o capitani d'industria, non riescono mai a dissimulare, qualunque cosa facciano, qualunque sia il numero degli anni trascorsi lontano dalla loro terra, la spaventosa parlata che è come un calderone in cui guazzano parole rubate ai gerghi soldateschi di cento dominazioni..."  


WILLYS MEDITERRANEA, LA BREVE STRADA DELLA "JEEP" DI CARINI

Un modello di "Willys Mediterranea"
appena messo in strada all'interno
dello stabilimento di Carini.
Le foto del post sono tratte
dal "Giornale di Sicilia"
del 3 giugno 1963


"Sulla panoramica strada di Monte Pellegrino sfrecciano le più moderne e veloci autovetture, ma sulla vecchia "scala", la strada dei nostri nonni, un solo veicolo si arrampica con disinvolta scioltezza: la "jeep". Non c'è strada o pista, per difficile o accidentata che sia, vietata alla "jeep", l'irresistibile veicolo a quattro ruote motrici, prezioso mezzo meccanico per gli usi più disparati, dal turismo sportivo all'industria, dal commercio all'agricoltura. La versione motoagricola, con svariate applicazioni, ha dato un contributo insostituibile allo sviluppo della meccanizzazione in questo vitale settore della nostra economia. La "jeep", nuova, fiammante, efficientissima, nella sua versione originale, è ora alla portata di tutti, grazie ad una intelligente iniziativa dell'industria siciliana. L'eclettico autoveicolo infatti è interamente montato nei modernissimi stabilimenti di Carini della Willys Mediterranea e può essere ammirata dai visitatori della Fiera del Mediterraneo"



Con queste righe - più una "informazione commerciale" che un articolo giornalistico vero e proprio - nel giugno del 1963 il "Giornale di Sicilia" elogiò un nuovo modello di "jeep" prodotto in uno stabilimento del palermitano, a Carini, dalla "Willys Mediterranea": un fuoristrada capace di conquistare la vetta di monte Pellegrino percorrendo - senza troppa cura, in verità, per lo storico manufatto - la secolare scalinata utilizzata dai fedeli per l'"acchianata" in onore di santa Rosalia





La "jeep" con il marchio "Willys Mediterranea" era nata grazie ad un'iniziativa promossa dalla SOFIS, la società finanziaria per lo sviluppo industriale della Sicilia creata grazie ad una legge regionale del 5 agosto 1957. L'azienda venne fondata nell'aprile del 1960, con sede a Palermo in via Mariano Stabile 182/A. La proprietà era ripartita fra la Regione Siciliana ( 49,5 per cento ), la Willys Motors Inc. ( 49,5 per cento ) e le Officine Meccaniche Siciliane Società Anonima ( 1 per cento ); quest'ultima azienda metallurgica si dedicava al montaggio dei componenti statunitensi di diversi modelli di "jeep". Sembra che la produzione sia stata avviata nel marzo del 1962, con una previsione giornaliera di 5 esemplari assemblati e pronti per la messa in strada. La "jeep" palermitana veniva proposta in diverse versioni - corta e lunga, con motori benzina e diesel - e con una serie di accessori che promettevano di trasformarla in una "vettura-trattore" per svariati utilizzi agricoli: trivellazioni, spostamenti di terra, irrigazioni, azionamento di pompe e nebulizzatori, sarchiatura ed aratura. Tutti i modelli - dotati di quattro ruote motrici - venivano accreditati della possibilità di superare una pendenza del 72 per cento.  In seguito, alle Officine Meccaniche Siciliane Società Anonima subentrò la IAF Palermo - "Industria Autoveicoli Fuoristrada". Già nel 1964, secondo quanto scritto da Michele Pantaleone in "L'industria del potere" ( Cappelli editore, Bologna, 1972 ), le sorti commerciali della "jeep" di Carini non erano confortanti: la IAF Palermo faceva allora registrare 100 milioni di perdite di esercizio. Ancora nel 1966, le vetture vennero presentate alla Fiera di Verona dedicata al settore della metalmeccanica. Nel tentativo di accrescere il suo mercato oltre la Sicilia, la "jeep" venne indicata anche come mezzo utile a spalare la neve, azionare martelli pneumatici e gruppi elettrogeni: un mezzo tuttofare, insomma, che con una più efficace organizzazione commerciale - considerate le condizioni di subalternità rispetto ad altri ben più affermati marchi automobilistici italiani - avrebbe potuto forse trovare maggior fortuna.



Non possediamo dati precisi sulla fine della produzione della "jeep" marchiata IAF Palermo. Di certo, oggi alcuni di questi fuoristrada per un uso prevalentemente agricolo si possono scoprire negli annunci di vendita di veicoli a ragione indicati come "storici". La breve vita di questa azienda automobilistica siciliana, da un altro punto di vista, testimonia il fallimento delle scelte industriali adottate nell'Isola negli anni Sessanta dello scorso secolo. La SOFIS - la società "madre" della "Willys Mediterranea" - non dimostrò del resto maggiore solidità: gestita con fini politico-clientelari, fallì in quello stesso periodo, complice quella che la Commissione parlamentare d'inchiesta sulla mafia in Sicilia definì all'epoca come "la promozione di iniziative destituite di qualsiasi fondamento, assunte ingenuamente o allo scopo di favorire determinate persone".







giovedì 3 agosto 2023

IL CARRO-BOTTE CHE RIFORNIVA D'ACQUA LEMMI, QUARTARE E LANCELLE

Un carro-botte per
la distribuzione di acqua
nella Sicilia degli anni Cinquanta
dello scorso secolo.
Opera citata nel post


Ancora nel 2023 - e specie in estate - il rifornimento di acqua da pozzi privati è una necessità per non pochi siciliani. Oggi la vendita è affidata agli autisti di camion-cisterna che hanno preso il posto dei vecchi carri-botte. Nella fotografia riproposta da ReportageSicilia - tratta dalla rivista "Mediterraneo" pubblicata nel maggio del 1973 dalla Camera di Commercio di Palermo - un carro-botte espone le tariffe per il riempimento di tre diversi tradizionali tipi di contenitori di acqua: il lemmo, la quartara e la lancella. Il primo - spiega Vincenzo Nicotra in "Dizionario del dialetto siciliano" ( Stabilimento Tipografico Bellini, Catania, 1883 ) - è una "catinella grande, assai larga nel lembo superiore, e stretta alla base, di terra cotta invetriata ad uso di lavare stoviglie e simili". Riguardo le definizioni di quartara e lancella, viene in aiuto il "Repertorio dell'artigianato siciliano" ( a cura di Vittorio Fagone, Salvatore Sciascia editore, Caltanissetta-Roma, 1966 ):

"Le quartare, come genericamente vengono chiamati i recipienti per la conservazione dell'acqua, vengono fabbricate al tornio con semplice antichissimo procedimento su misure e forme che ripetono modelli tradizionali. Una ricca varietà di forme è però osservabile tra le quartare delle varie zone siciliane in corrispondenza di diversi sviluppi culturali ma anche per le singole necessità; le quartare vere e proprie sono destinate alle grandi provviste di acqua per uso domestico. I recipienti destinati al trasporto dell'acqua a dorso di mulo - lancedda - hanno il collo molto alto e la base stretta, in modo da evitare che durante il trasporto l'acqua si versi..."

martedì 1 agosto 2023

UN PAESAGGIO CHE RACCONTA IL MITO PERDUTO DELLA TARGA FLORIO

Foto
Ernesto Oliva-ReportageSicilia


Poco prima di raggiungere Sclafani Bagni - il più piccolo paese della provincia di Palermo, abitato da poco meno di 400 persone - lo sguardo spazia verso la sottostante brulla campagna arsa dal sole e dagli incendi estivi. Oltre il profilo delle colline, una striscia liquida di blu suggerisce l'idea della brezza marina. Su questo paesaggio, l'uomo ha disegnato la traccia di una strada finita nel mito dell'automobilismo del Novecento; qui - un tratto di circuito che si stende sinuoso sul terreno come il corpo di una biscia nera - si sono cimentati i piloti della Targa Florio. Mezzo secolo dopo la fine della corsa, quella strada è diventata poco più di una trazzera. I dissesti idrogeologici e l'assenza di complessivi interventi di manutenzione hanno cancellato la strada di un'eccellenza del motorismo sportivo; ed i normali automobilisti di oggi, costretti a destreggiarsi fra cunette e tratti franati, rischiano più di quanto abbiano fatto un tempo i campioni della guida.