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domenica 28 febbraio 2021

CONTRASTI E LEGAMI FRA MARE E CIELO DI SICILIA SECONDO FOLCO QUILICI

Costa tirrenica fra Palermo e Messina.
Foto Ernesto Oliva-ReportageSicilia


"Talvolta - ha scritto Folco Quilici ( "Sicilia", Esso Italiana, 1977, introduzione di Leonardo Sciascia ) - m'accorgo di ricordare il cielo della Sicilia come quello liquido di un mare a specchio disteso sopra di me in una luce a volte opaca a volte abbagliante. In effetti, a vederla dal fondo, la superficie del mare è proprio un cielo rovesciato in cui le onde e i raggi del sole si rincorrono come in un giorno di temporale, nubi, piovaschi e chiarori si distendono da un orizzonte all'altro, in una volta vastissima allo stesso tempo trasparente e cupa.

Il cielo del mare come il cielo aereo, dunque, possono sovrapporsi e confondersi in immagini molto simili; e possono ancor più facilmente confondersi nel sovrapporsi di ricordi e sensazioni vissute, registrate, accumulate lungo itinerari di scoperta e di lavoro in un paese ove lo spazio naturale della realtà sembra non avere limiti definiti; sembra non seguire le regole consuete in cui gli elementi di ogni oggettiva realtà - d'abitudine - si dispongono..."

martedì 23 febbraio 2021

lunedì 22 febbraio 2021

UN PASTORE DI COMISO NEL PERIODO DELLA GUERRA

Pastore a Comiso nel 1941.
Alle sue spalle, mezzi militari tedeschi.
Foto di Angelo Oliva


La fotografia di un pastore scattata a Comiso da Angelo Oliva porta la data del 1941: anno di guerra, in cui il paese ragusano divenne uno dei poli del conflitto aereo in corso nel Mediterraneo fra alleati italiani e tedeschi ed avversari inglesi. Sino al 1943Comiso fu luogo strategico di quello scontro per l'attività dell'aeroporto "Vincenzo Magliocco", costruito fra il 1936 ed il 1939 con l'intento di integrare il sistema difensivo ed offensivo dell'Aeronautica Militare sul fronte del canale di Sicilia. Dal "Magliocco" decollarono così i piloti italiani e tedeschi con la missione di contrastare i rifornimenti che gli inglesi, via mare e via aerea, facevano confluire ad Alessandria d'Egitto attraverso le basi di Malta.

Nella fotografia di Angelo Oliva - uno scenario bucolico di campagna comisana - il riferimento alla guerra in corso è suggerita dalla presenza di alcuni autocarri militari con targa tedesca. Non ci sono indicazioni invece per identificare il pastore del gregge di pecore. Avrebbe potuto forse dargli un nome Gesualdo Bufalino, facendone uno dei personaggi del passato di Comiso descritti nel 1982 in quella antologia di storie e persone ricordate nel nostalgico breviario paesano di "Museo d'ombre"

 

L'ANIMA ANTICA DI SEGESTA IN UNA PAGINA DI ARNALDO FRACCAROLI

Il tempio di Segesta.
Fotografia di Patrice Molinard
pubblicata nel 1955 nell'opera "La Sicile"
edita a Parigi da Del Duca


Giornalista, scrittore, biografo, commediografo e sceneggiatore, Arnaldo Fraccaroli ( 1882-1956 ) è stato soprattutto un grande viaggiatore, visitando e scrivendo su quotidiani e riviste italiane da ogni parte del mondo. Negli anni Cinquanta, capitato in Sicilia, dinanzi alle solitarie architetture del tempio e del teatro di Segesta, individuò così l'anima di uno dei più suggestivi luoghi della civiltà dell'Isola:

"Ecco a poca distanza da qui le rovine di quella che fu la città di Segesta, mille anni prima di Cristo. Guerre, devastazioni, gli uomini, il tempo, ne hanno fatto scomparire tutto, quasi anche il nome. A ricordarne la splendente grandezza restano solo due monumenti: il chiaro limpido aereo maestoso Tempio dorico, che è fra i più belli del mondo antico, ancora mirabilmente saldo nella struttura su trentasei venerande colonne, la trabeazione intatta e i due frontoni: e il teatro scavato nella roccia, con la scena aperta in faccia al mare, spettacolo anche senza rappresentazione.

Sono rimasti soli, nella sovrana imponenza del panorama. Tutto è crollato intorno, tutto è sparito, meno questi: il tempio, cioè la fede: il teatro, cioè l'Arte. La città è stata travolta: sopravvive l'anima..."

martedì 16 febbraio 2021

BORGESE ED IL RICORDO DEL VANTO PARIGINO DI PETRALIA SOTTANA

La chiesa della Misericordia,
a Petralia Sottana.
Sotto, la chiesa di Santa Maria di Loreto,
a Petralia Soprana.
Le fotografie di Josip Ciganovic
furono pubblicate nel 1961 nel I volume dell'opera
"Sicilia" edita da Sansoni e De Agostini

Trasferitosi nel luglio del 1931 negli Stati Uniti - un esilio motivato dalla sua avversione verso il fascismo - Giuseppe Antonio Borgese fece definitivo ritorno in Italia nel 1949.

Un anno dopo - il 30 luglio del 1950 - lo scrittore, saggista, drammaturgo e giornalista di Polizzi Generosa riprese la collaborazione con il "Corriere della Sera", già portata avanti a partire dal 1910 dopo una precedente esperienza con il quotidiano torinese "La Stampa".

Per Borgese, che alla sua morte Eugenio Montale definì "un maestro della terza pagina", l'attività giornalistica fu un complemento essenziale all'attività letteraria: lo scrittore madonita definì infatti il giornalismo come una pratica "necessaria nella società contemporanea".

Nell'articolo che fece segnare il ritorno della sua firma sul "Corriere della Sera" - intitolato "Accenti" - Borgese rievocò l'ambiente delle Madonie, così sottolineando le differenze di costume fra Petralia Soprana e Petralia Sottana:

"La Soprana, più alta perfino di Polizzi ( cagione di geloso cruccio, benché sottaciuto, nell'animo di questa ), quasi blu in lontananza, poteva ancor parer chimerica, incastellata nel cielo. Ma del tutto terrestri e concreti - o, come oggi si direbbe, socio-economici - erano i motivi che facevano della Sottana, più piana nel suo nido di sassi, se ricordo bene, rossigni, la comunità più ragguardevole di tutta la contrada, quale pioniera sulle vie del progresso civico e tecnico.



Aveva perfino, se ricordo bene, un pastificio meccanico, perfino una locanda con bagno. Le sue donne, di vestito più disinvolto e di passo più svelto, lodavano la loro città, quando la gloria di New York era ancora in fieri, come la piccola Parigi delle Madonie..." 

lunedì 15 febbraio 2021

IL SECOLARE DESTINO MIGRATORIO DI CONTESSA ENTELLINA

Contessa Entellina.
Foto Ernesto Oliva-ReportageSicilia


Si legge in "Origini e storia di Contessa Entellina" ( testo a cura di Calogero Raviotta, traduzione a cura di Tommasina Guarino, edito dal Comune di Contessa Entellina ) che i primi immigrati albanesi - soldati che prestavano servizio per il re di Napoli - giunsero da Mazara del Vallo nei pressi del vicino castello di Calatamauro nella seconda metà del secolo XV. Dopo la morte di  Scanderbeg, nel 1468, perdendo ogni speranza di rientrare in patria:

"Cominciarono a costruire delle case stabili attorno alla chiesa dell'Annunziata... secondo Nicolò Chietta le 14 famiglie albanesi, che provvisoriamente si stabiliscono nelle vicinanze del castello di Calatamauro, contrada Scirotta, con tende e ricoveri provvisori di pietre e canne, si trasferiscono ben presto nella contrada Muzgat, località attigua al casale di Contessa..."

In seguito, l'immigrazione di profughi civili venne incrementata dalla conquista turca della città di Corone nella Morea, tanto che nel 1516 le famiglie albanesi di Contessa diventarono almeno 68. Di lì a qualche anno, il loro numero aumentò per l'arrivo di altre persone fuggite dall'isola di Andros, nell'arcipelago della Cicladi. La storia di questi immigrati giunti in Sicilia 5 secoli fa ricorda le sofferenze che oggi alimentano le fughe di quanti affrontano il mare in conseguenza di guerre e povertà:

"I predetti albanesi, fuggiti da Andros in nave, sono tenuti prigionieri con le loro famiglie a Messina fino a quando don Alfonso De Cardona Peralta paga all'armatore il costo del trasporto, pari a 32 onze e 9 tarì, con l'impegno dei medesimi di stabilirsi nel casale di Contessa. L'arrivo di profughi albanesi dall'isola di Andros, gruppo numeroso ed omogeneo per lingua ed etnia, certamente costituisce una presenza che influisce sulla evoluzione culturale di Contessa, prima caratterizzata dai profughi arrivati da varie località dei Balcani, come risulta dai cognomi riportati in documenti d'archivio..."

Secoli dopo, da luogo di immigrazione di persone in fuga per l'occupazione delle proprie terre in Albania, Contessa Entellina sarebbe diventato l'epicentro di una massiccia emigrazione favorita da una depressione economica ancor oggi irrisolta. A partire dal 1870, 2000 contessioti si trasferirono negli Stati Uniti - in particolare a New Orleans - e centinaia di altri in Germania, Svizzera e nel Nord Italia: un esodo tuttora in corso e che continua a segnare la storia di un paese siciliano oggetto di un secolare destino migratorio.  

domenica 14 febbraio 2021

LE SERPENTESCHE SPIRALI DELLE STRADE DI SICILIA

 

La strada che da Francavilla
raggiunge Novara di Sicilia.
Foto di Josip Ciganovic
pubblicata nel I volume dell'opera
"Sicilia" edita nel 1961 da Sansoni e De Agostini

"Le strade di Sicilia sono lente e tortuose. Si adagiano a spirali, come serpenti in letargo, su per le montagne; nere di morbido asfalto sotto il sole - scrisse il giornalista Beppe Fazio ( in "I cinquant'anni della Targa Florio", in "Civiltà delle macchine", maggio-giugno del 1954 ) - prendono l'impronta di chi vi passa e la conservano a lungo come una memoria del tempo..."


SETTANT'ANNI DI GUERRA DEL PESCE A MAZARA DEL VALLO

Pescherecci di Mazara del Vallo.
Foto Ernesto Oliva-ReportageSicilia


I primi segnali arrivarono nel 1951. Settant'anni fa, i pescherecci di Mazara del Vallo che si spingevano sino alla acque della Tunisia cominciarono a subire l'ostilità delle motovedette del Paese nordafricano. Dapprima, si trattò soltanto di perentori inviti all'allontanamento; poi, si passò ai mitragliamenti e al sequestro delle imbarcazioni e dei pescatori. Fu l'inizio della fine di decenni della libera attività di pesca dei mazaresi nel canale di Sicilia, oggi diventato un tratto di mare reso quasi impraticabile dalla presenza delle unità militari tunisine e soprattutto libiche che rivendicano la territorialità delle zone più pescose.  

Molti anni prima - il 1884 - una convenzione firmata da Roma e Tunisi aveva concesso libertà di pesca ai pescherecci italiani nel golfo di Hammamet; dopo quella data, a Mazara del Vallo fu un fiorire di armatori e di industrie ittiche e conserviere di sgombri e sardine ( Bruno, Strazzera, Vaccaro ed altre ), in grado di offrire centinaia di posti di lavoro a donne e uomini provenienti da Santa Ninfa e Castelvetrano.

Intorno al 1920, la flotta peschereccia mazarese cominciò a potenziarsi; dalle paranze a vela, si passò ai primi pescherecci a motore acquistati a Molfetta, Bari e Torre del Greco.



Il porto canale del fiume Mazaro - all'epoca regolarmente dragato - in quegli anni visse un periodo di intensa attività mercantile, testimoniato dai certosini dati forniti nel 1922 da A.Brunialti e S.Grande in "Il Mediterraneo" ( Utet, Torino ):

"Il porto di Mazara accolse, nel 1914, 759 navi di 179.078 tonnellate in arrivo e 746 di uguale portata complessiva in partenza, e recarono 11.904 tonnellate di merci e 334 passeggeri, imbarcandone 21.122 e 236..."

La seconda guerra mondiale interruppe bruscamente l'attività degli armatori. Le imbarcazioni più attrezzate vennero infatti requisite ed riconvertite dalle marine italiane e tedesche in dragamine. Le aree di pesca - lungo le rotte percorse dai convogli navali italo-tedeschi diretti in Tunisia e Libia - diventarono teatro di drammatici scontri navali ed aerei

Alla fine del conflitto, la neonata Regione Siciliana tentò di rinnovare il vecchio accordo di libera pesca del 1884 con la Tunisia, che all'epoca era un protettorato francese. 

L'assessore alla pesca Stefano Vaccara si rese allora protagonista di un'iniziativa grossolana. Invece di cercare un'intesa diplomatica fra lo Stato italiano e la Francia, nel 1949 comunicò al console francese a Palermo ed al nostro ministero degli Esteri l'intenzione della Regione di rinnovare quel trattato, nella considerazione 

"che questo accordo, insieme all'atmosfera di cordialità che si verrebbe a creare con la presenza dei rappresentanti francesi, animata dalla suggestività del nostro paesaggio e dal calore schietto dell'ospitalità siciliana, potrebbe costituire un primo passo..."

La risposta all'incauta iniziativa dell'assessore Vaccara fu schiettamente perentoria: la Francia e il Bey di Tunisi abrogarono la convenzione e proclamarono zona di riserva di pesca tunisina sino a 45 miglia dalla costa le acque prima frequentate dai mazaresi.

Da allora, l'ostilità verso i pescherecci di Mazara del Vallo fu al centro di una serie di puntuali episodi verso i pescatori siciliani.

Uno dei primi sequestri riguardò il peschereccio "Argonauta", bloccato trenta miglia al largo di Tunisi. L'imbarcazione e l'equipaggio rimasero nelle mani dei tunisini per quasi due anni; ritrovarono la libertà solo dopo il pagamento di una ingente multa.

In seguito, la stessa disavventura toccò agli equipaggi del "Nuova Speranza", del "Franca" e del "Nicoletta".



La sera del 5 novembre del 1959, il "Giovanni Tumbiolo" comandato da Andrea Ingargiola riuscì a sfuggire alla cattura di una motovedetta tunisina. Dopo un lungo mitragliamento, un militare armato riuscì a salire a bordo; venne bloccato a forza dall'equipaggio che, dopo averlo rinchiuso in una cuccetta, riuscì a dirigere la prua verso Mazara del Vallo, scampando all'inseguimento dell'unità nordafricana.

Una volta a terra, il "prigioniero" venne subito liberato e riconsegnato alle autorità tunisine, ma l'episodio accrebbe la tensione fra i mazaresi e le autorità di Tunisi. Nel timore di ritorsioni, l'armatore del "Giovanni Tumbiolo" decise di sollevare Ingargiola dall'incarico di comandante e di cambiare il nome e la colorazione del peschereccio.

Pochi mesi dopo quel rocambolesco evento, i tunisini ripagarono la beffa del rapimento di un proprio militare a carissimo prezzo. Il 9 agosto del 1960, il peschereccio "Salemi" venne intercettato nei pressi delle isole di Kuriat, a Nord Est di capo Monastir. L'imbarcazione mazarese venne investita da numerosi colpi di mitragliatrice, che ferirono a morte il comandante Antonino Genovese e l'armatore Luigi Licatini. Il "Salemi" venne rimorchiato sino a Monastir ed i nove componenti d'equipaggio furono liberati dopo essere stati segregati per qualche giorno  all'interno della stiva.

Quel drammatico episodio riaccese le attenzioni sul decennale conflitto aperto dai tunisini con la marineria di Mazara del Vallo. Per la prima volta, gli armatori trapanesi chiesero a gran voce l'istituzione di una vigilanza pesca nel canale di Sicilia da parte della Marina Militare.



Sull'onda emotiva sollevata dall'uccisione di del comandante e dell'armatore del "Salemi", l'allora presidente del consiglio Amintore Fanfani accettò la richiesta; per qualche mese, i pescherecci mazaresi poterono lavorare senza incorrere nel rischio di altri sequestri. 

La protezione della nostra Marina tuttavia venne meno, poiché qualche anno dopo altre imbarcazioni furono bloccate e condotte in Tunisia. Nel gennaio del 1966 si registrò poi uno dei primi sequestri da parte delle motovedette libiche: ne fecero le spese il "Città di Mazara" ed il "Gaspare Tumbiolo", che poterono tornare a Mazara del Vallo dopo il pagamento dell'immancabile multa.

Da allora, il numero di pescherecci e degli equipaggi mazaresi fermati negli ultimi decenni da Tunisi e Bengasi è sfuggito ad un computo ufficiale, ma è testimoniato da quello rilevante dei pescatori e dei comandanti che possono raccontare l'esperienza personale della carcerazione in una cella dei due Paesi nordafricani. 

Oggi, dopo i recenti 108 giorni di prigionia in Libia dei 18 pescatori dell'"Antartide" e del "Medinea", la flotta peschereccia di Mazara del Vallo - ridotta ad un centinaio di imbarcazioni - vive un periodo di profonda crisi.

I libici rivendicano la territorialità del mare sino a 74 miglia dalle proprie coste, e l'invocata vigilanza richiesta alla nostra Marina Militare rimane disattesa: l'unica forma di tutela è la frequente raccomandazione rivolta agli armatori mazaresi di non spingersi nelle zone di pesca del gambero rosso pattugliate dalle motovedette di Bengasi.

In questo contesto, negli ultimi anni è cresciuto il numero di pescherecci demoliti per ottenere i contributi europei: soldi che convincono gli armatori ad interrompere l'attività di pesca, ma che non ripagano un numero crescente di pescatori, meccanici e fornitori che a Mazara del Vallo devono rinunciare ad un reddito.

Così, la "guerra del pesce" che da settant'anni chiama in causa i pescherecci mazaresi - una guerra a cui nessuno sembra volere trovare soluzione - finisce con l'impoverire centinaia di famiglie e l'intera economia locale. 

    

sabato 6 febbraio 2021

SICILIA, OVVERO LA FINE DELL'EUROPA

 

Campagne di Roccamena.
Foto
Ernesto Oliva-ReportageSicilia

"L'Europa, che comincia a nord con fiumi e popoli dal pensiero lucido e senza vertigini, dopo il gran salto delle Alpi - ha scritto Vitaliano Brancati - si ingolfa, da questa parte, nel Mediterraneo e finisce lentamente con la Sicilia. 
L'Europa che finisce: ecco la Sicilia"