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domenica 29 marzo 2015

IMPRESSIONI AGRIGENTINE DI CARLO LAURENZI

Le colonne "venute dal mare" ed il fascino perduto degli stucchi policromi dei templi in uno scritto del saggista e giornalista toscano


Architettura della Magna Grecia e ambiente siciliano
nella Valle dei Templi di Agrigento.
Le fotografie del post sono di Leonard Von Matt
e vennero pubblicate nel volume "La Sicilia antica"
edito nel 1964 da Stringa Editore Genova,
con testi di Luigi Pareti e note di Pietro Griffo

Livornese, elbano per crescita e adozione, Carlo Laurenzi è stato saggista, poeta, romanziere e giornalista "con il culto della buona scrittura - scrisse di lui l'amico catanese Manlio Manzella, noto come Igor Mane dal rigore intellettuale e morale uniti ad una delicata intransigenza".
Autore di bozzetti di persone e fatti italiani nella rubrica "Aria di Roma" sulle colonne de "Il Mondo" di Pannunzio, frequentatore di Ercole Patti ( anche lui catanese ), Carlo Laurenzi scrisse più volte della Sicilia.



Di lui, esiste un saggio dedicato alla cultura della Magna Grecia - "Non esistono le sirene", edito nel 1964 a Caltanissetta da Salvatore Sciascia ed illustrato da alcuni disegni realizzati nell'isola da Goethe - frutto di un reportage che lo portò a Siracusa, Gela, TaorminaRagusa, Comiso ed Agrigento.
Alcune di quelle impressioni agrigentine avevano già trovato spazio in uno scritto che Carlo Laurenzi pubblicò due anni prima nel II volume dell'opera "Sicilia", edita da Sansoni e dall'Istituto Geografico De Agostini.



Dopo avere ragionato sulle vecchie denominazioni della città - "molti anziani rimpiangono il nome Akragas, suono come nessun altro, igneo... alla città, che ha un'inquietudine levantina, si addice il nome Girgenti, sulfureo e spiritato..." - il saggista toscano così si soffermava dinanzi ai resti dei templi:
   
"So bene che l'azione del contemplare implica una condanna: non conosciamo altre vie, adempiamo ad una funzione banale: i turisti contemplano, fiduciosamente contemplano.
Dobbiamo appagarci di trascurabili premi. Ecco il mio premio: sono disceso al mare prima di salire ai templi, e ora, accostandomi a ciascun rudere, a ciascuna colonna, mi accorgo che questi templi, anch'essi, sono venuti dal mare.



L'arenaria in cui sono costruiti non ha solo il colore della sabbia: è un impasto friabile, fittamente composto di conchiglie.
Se scalfisco la pietra, gusci di conchiglia mi si sbriciolano nel cavo della mano, rossastri.
Penso a come sia precaria la storia della terra, della vita.
Eppure questo tempio detto della Concordia è intatto, il più intatto dei monumenti greci: sembra vivere di linfa, o di sole, come una foresta.
Contemplare, meditare: rassegnamoci.
Tutto questo non risolverà nulla, ma è l'ora del tramonto, implacabile, regale sulle rovine.



Per la traccia delle catacombe, simile a un tratturo di pietra devastato dagli incendi, mi sono calato giù, verso il fondo della valle, ho sostato presso i giganti abbattuti del tempio di Zeus: l'antica Akragas custodiva misteri, attingendoli ai terrori egizi.
I ranuncoli e le malve, adesso, fioriscono sui lastrici.
Nessun altro verde, nessun'altra corolla resiste all'estate; una salamandra terrestre, lenta e oscura come salita dagli inferi, si è posata su un capitello divelto.
I nostri sguardi, nel crepuscolo, cercano la luce del mare, al di là della pianura deserta.
Due vecchie signorine di Lilla, vestite di bianco e di nero, si sono unite a me: siamo soli, gli ultimi abitanti di un mondo.



Rimaniamo muti, finché, dinanzi alle colonne di Castore e Polluce, che serbano un biancore di stucco, una delle zitelle ritrova petulanza:
'E' spaventoso, quando si considera che il marmo di questi templi era oppresso dagli stucchi. Gli stucchi policromi, quale orrore! Quali dubbi, ahimè, sul genio dei Greci!'



Non rispondo. Ho sempre amato, in realtà, il pensiero che i templi greci fossero coperti di stucchi: lo stucco fatuo e gentile proteggeva un'anima di marmo: c'era dunque un'anima, e questa dissimulazione variegata dell'anima era degna della parsimonia o dell'ambiguità dei Greci, come un accenno di sorriso.
Mi piace che i templi apparissero policromi, con i colori degli uccelli di Agrigento, gli ortolani e le cinciallegre, che hanno piume azzurre, gialline, rosate.
Ora i templi sono bui: ci sentiamo pervasi dall'ombra..."

mercoledì 25 marzo 2015

SICILIANDO














"In Sicilia la mafia non ha in proprio ideali politici, e probabilmente non li ha mai avuti; agisce come elemento di conservazione economica e tende costantemente a stabilire legami con i poteri costituiti.
In tutti i tempi è stata governativa: liberale con i liberali, separatista con separatisti, democristiana con i democristiani"
Rosario Poma, Enzo Perrone ( "Quelli della lupara", Casini 1964 )

martedì 24 marzo 2015

FULGORE ESTIVO DEI LAGHETTI DI TINDARI

Uno scatto di Alfredo Camisa coglie i toni accesi del paesaggio di Tindari, luogo d'incontro fra opera della natura, devozione religiosa e leggenda



Natura e mito, in Sicilia, si incrociano di frequente.
Luoghi come il lago di Pergusa, la rocca di Erice, la Scala dei Turchi o i crateri dell'Etna uniscono al valore paesaggistico - a volte, come a Pergusa, messo a rischio dall'incuria dell'uomo - anche quello di racconti e leggende che ne accrescono la suggestione storica.
Uno di questi angoli dell'isola è Tindari.
Qui si concentrano un sito archeologico greco-romano con uno scenografico teatro, un ( orribile ) Santuario dedicato ad una Madonna Nera e soprattutto i laghetti di Marinello, "bizzarri stagni - spiegava Matteo Collura in "Sicilia sconosciuta, cento itinerari insoliti e curiosi" ( Rizzoli, 1984 ) - creati dalle correnti marine che mutano di forma ad ogni forte mareggiata".
La fotografia del post ritrae i laghetti nello scatto di Alfredo Camisa, pubblicato nell'opera "Lo Stretto di Messina e le Eolie" ( Automobile Club d'Italia, collana "Italia Nostra", 1961 ). 
I toni accesi - quelli blu cangianti del mare Tirreno e quelli gialli della vegetazione, arsa dal sole - fanno pensare ad una giornata di maggio, quando il principo dell'estate isolana investe con la violenza della sua luce ogni aspetto del paesaggio.
Nella didascalia che illustra l'immagine così si racconta la leggenda dei laghetti di Marinello, drammaticamente legata al culto della Madonna Nera:

"L'arenile che ai piedi del promontorio circonda un braccio di mare ha leggendaria origine miracolosa.
La morbida rena emerse, ritirandosi il mare, perché avesse salva la vita un bambino precipitato dalla rupe.
La madre, che alla vista della disgrazia aveva invocato Maria, era una pellegrina che poco prima aveva, per delusione, esclamato dinanzi alla statua nera della Vergine:
'Sugnu vinuta di luntana via per vidiri a una cchiù niura di mia", 'sono arrivata dopo una lunga strada per vedere ad una più nera di me'


  

lunedì 23 marzo 2015

I MARI SICILIANI DI GIOVANNI COMISSO

Vedute costiere dell'isola del fotografo Rudolf Pestalozzi: nel 1953 illustrarono l'opera "Sicilia" del giornalista e scrittore veneto, cultore di terre e mari mediterranei


La spiaggia detta Scinà con la Torre delle Ciavole,
poco distante dal paese messinese di Gliaca.
Le fotografie del post vennero scattate
agli inizi degli anni Cinquanta
dal fotografo Rudolf Pestalozzi, opera citata
  

Le immagini del post documentano alcuni intonsi tratti di costa siciliana così come essi apparvero allo sguardo del fotografo svizzero Rudolf Pestalozzi; gli scatti furono pubblicati nell'opera di Giovanni Comisso "Sicilia", edita a Ginevra nel 1953 da Pierre Cailler, altre volte citata nei post di ReportageSicilia.
Dell'interesse del giornalista e scrittore per la Sicilia si è scritto appunto in precedenti occasioni.
Nato e vissuto a Treviso, viaggiatore instancabile, Comisso fu affascinato dalla cultura mediterranea e dalle terre legate al mito della cultura ellenica.


Costa jonica nei pressi di Taormina

Nel suo reportage - un peregrinare fra grandi città e sperduti villaggi, taverne di porti e vagoni di treni locali - lo scrittore si volge spesso verso i mari dell'isola, diversi per colori, riflessi e movimenti.
Sempre e comunque - nella Sicilia di Comisso - il mare è inizio e fine del paesaggio, allora non ancora sfregiato dagli impianti petrolchimici o dal cemento che oggi ne devasta una buona parte delle sue coste:


"L'Etna riapparve biancheggiante, sollevato nel cielo. Il mare si fece spumoso sotto la sferza dello scirocco, poi la terra si distese arsa e incolta. Spianate s'inclinavano lontano, monti brulli, fichidindia, qualche albero di carrubbe, cespugli di gerani selvatici e la costa rocciosa e nera infranta contro l'azzurro del mare ogni tanto illuminato dal verde dei fondali..."


Un altro litorale taorminese



"Lungo la riva del mare, il sole splendeva accecante e i paesi si susseguivano l'uno all'altro senza interruzione, accanto alle pendici rigogliose d'aranceti e di vigne..."

"Ricordo in tempi lontani, durante una guerra sulle Alpi, un mio soldato di Catania, al quale avevo chiesto se era bella la sua città, mi aveva risposto semplicemente: - E' porto di mare - con la forza del suo dialetto martellante. Da quei monti Catania risultava come una grande città luminosa nel riverbero del mare rivolto verso l'Africa, presente nel suo vino, che ci veniva dato per resistere al freddo, e nelle sue arance, che illuminavano la nostra mensa con frammenti di sole.
Non diceva quel soldato che Catania era bella e grande, diceva soltanto che era un porto di mare, come per dire il massimo possibile di una città..."


Costa palermitana

Una spiaggia sul golfo di Castellammare,
fra Palermo e Trapani



"Nel salire verso Erice la terra si rivela giù in basso nel verde degli orti e nel rosseggiare della spiaggia e dei monti a picco sul mare azzurro, i monti lontani nel mattino escono da leggere nebbie che presto il sole dilegua. Arido è il monte, su cui stà il villaggio, per quasi tutto il ripido pendio, ma quando si arriva alla cima fioriscono odorose le ginestre e poi un vasto bosco di pini, soave di resina al sole, nasconde le antiche mura che cingono come un santuario le case di Erice nitide nell'aria ventilata sempre dal mare. Dall'altro lato biancheggia di sotto Trapani con le saline e le isole lontane sono come sospese in un altro cielo..."

"Agrigento stava grigia sulla cima del lungo colle. tra essa e il mare discosto si elevavano gli scheletri degli antichi templi come ossature di cetacei arenati. Sulla terrazza dell'albergo vi era un telescopio e il padrone volle consigliarmi prima di scendere a visitarli di guardarli ravvicinati a uno a uno. il mare spumeggiava irrequieto e ogni tempio mi apparve nella luce della lente che lo ingrandiva come in una luce da acquario..."


Spiaggia sul versante meridionale dell'isola
  

Un anno dopo la pubblicazione del saggio edito da Cailler, Giovanni Comisso manifestò la sua difesa verso l'identità isolana della Sicilia esprimendo contrarietà alla progettazione di un ponte sullo stretto di Messina:

"Lo scopo di questo ponte è di abolire il ritardo al traffico fra Continente e l'isola, offerto dalla nave traghetto, e non si pensa di abolire quello determinato dalle strade infelici per tutto il percorso della penisola. Siamo cioè all'assurdo nel principio ideatore.
I siciliani, che per natura subito si lasciano prendere da entusiasmo per le novità, hanno trovato questa idea bellissima e sembra che abbiano già stanziato dei fondi, non so se per studi ulteriori o per l'esecuzione.
E' indiscutibilmente un'epoca allegra, quella in cui viviamo.
L'annuncio di questo ponte e il sostegno alla necessità della sua esecuzione, viene dato da una rivista che si pubblica a Firenze, cioè proprio in una città che, dopo dieci anni dalla distruzione bellica dei suoi ponti sull'Arno, non è ancora riuscita a ricostruirli tutti.


Sopra e sotto,
due vedute di Palermo e del monte Pellegrino



La Sicilia sta bene isolata, come è attualmente e come è sempre stata dal tempo in cui Ulisse vi navigava attorno.
Si dice questo senza alcuna vena d'ironia, ma perché il suo valore, che è tutto turistico, si accresce appunto con questa breve sosta nel giungervi.
E' questo senso di distacco dall'ultima pendice d'Europa, a Villa San Giovanni, che potenzia l'attrattiva, con la certezza di andare in un'altra terra ideale.
E quei tre quarti d'ora per il passaggio navigando non si devono mettere nel tempo perduto, ma guadagnato a oltranza, sia di giorno che di notte coi panorami diversi che riempiono d'incanto..."





martedì 17 marzo 2015

RICORDI DI UNA COLONIA MARINA A VULCANO

Tre fotografie del ricercatore di Lipari Massimo Ristuccia mostrano il volto quotidiano dell'isola prima dello sviluppo del turismo italiano e straniero


Le immagini di questo post  provengono dall'archivio di famiglia di Massimo Ristuccia, che dall'Emilia-Romagna - regione dove vive e lavora ormai da anni - continua a coltivare le sue origini liparote attraverso la ricerca di materiale documentario sulle isole Eolie.
Ristuccia - che si definisce  un "appassionato ricercatore per hobby" - fa ciò che alcuni cultori della propria terra fanno per piacere personale, a semplice  beneficio di una conoscenza comune: trovate fotografie o informazioni sul costume o sulle tradizioni delle Eolie, non esita a condividerle con altri appassionati della storia dell'arcipelago messinese.
Grazie a questa sensibilità e disponibilità, Ristuccia ha così affidato a ReportageSicilia - e quindi alla rete di internet - tre fotografie scattate a Vulcano nel 1949.



Due di queste immagini testimoniano l'esistenza in quel periodo nell'isola di una colonia marina, frequentata da bambini con una divisa estiva la cui semplicità fa oggi sorridere.
Le notizie su questa colonia sono pochissime; qualche indicazione in più potrebbe essere favorita dalla divulgazione in rete delle due fotografie.
Un terzo scatto mostra un gruppo di una cinquantina di persone - fra queste, anche molti bambini - a bordo di una imbarcazione da trasporto a vela. Si tratta probabilmente di più famiglie di Vulcano, che in quel periodo si chiamavano ContiGiuffré, Zanca, o Capitti.
All'epoca delle tre immagini divulgate da Massimo Ristuccia, Vulcano era ancora un'isola lontana dalle frequentazioni turistiche.



Come è noto, una spinta determinante all'arrivo di italiani e stranieri la dette la produzione dei due film "Vulcano" e "Stromboli", e l'ardente polemica divampata fra i registi Dieterle e Rossellini e fra le due primedonne, Anna Magnani e Ingrid Bergman.

"O forse - scriverà nel dicembre del 1964 il giornalista Mauro De Maurola straordinaria fortuna, peraltro meritatissima che arrise al cortometraggio 'Bianche Eolie' realizzato da due giovani e intraprendenti patrizi palermitani, Francesco Alliata di Villafranca e Pietro Moncada di Paternò.
Il cortometraggio fu richiesto da varie delegazioni dell'ENIT, piacque ovunque, in particolar modo a Parigi, e l'organizzazione 'Connaissance du Monde' partì alla conquista della mitica residenza dei re dei venti.
Quando, sulla scia dei francesi, scesero a Vulcano i milanesi ( nell'estate del 1953 fra Porto Ponente e l'Acqua del Bagno si sentiva parlare soltanto in puro meneghino, e se non fosse stato per i generosi lembi di pelle esposta al sole si sarebbe potuto pensare di stare in Galleria ), allora la fortuna turistica dell'isoletta fu sicura..." 


     

domenica 15 marzo 2015

DISEGNI DI SICILIA




Pubblicità Ente Provinciale per il Turismo di Catania
Tratta da "Handbook for Italy" di Giovanni Mariotti
Edizioni Saturnia, 1952

VADEMECUM PER GLI AUTOMOBILISTI FORESTIERI A PALERMO

Consigli semiseri di sopravvivenza nel traffico cittadino in una pagina dello scrittore e giornalista Franz Maria D'Asaro
 


Tra via Roma e piazza San Domenico - in una Palermo dei primi anni Cinquanta, ancora animata dal passaggio dei carretti - un vigile urbano dirige il traffico dall'alto di una pedana ( la fotografia è di Patrice Molinard ed è tratta dall'opera "La Sicile", edita nel 1957 da Del Duca Paris per la collana "Couleurs du Monde" ). 
Il ridotto via vai di veicoli dell'epoca non è equiparabile a quello odierno, mentre l'abbigliamento dei vigile - una divisa estiva, interamente bianca - suggerisce un'ambientazione "coloniale" della città di quegli anni lontani.
Più o meno allo stesso periodo può essere datata la seconda fotografia di traffico palermitano del post riproposta da ReportageSicilia.
L'immagine ritrae piazza Castelnuovo ingombra di Fiat 600, 1100 e Topolino, prologo alla motorizzazione di massa che di lì a qualche anno avrebbe dato corpo alla fama di una Palermo dal traffico caotico e indisciplinato.
Sull'argomento, lo scrittore e giornalista palermitano Franz Maria D'Asaro scrisse nel 1979 una "vademecum" destinato agli automobilisti forestieri sfortunatamente in transito in città: avvertimenti e consigli misti a sarcasmo, non privi di una certa utilità 36 anni dopo...  


"Una volta i vigili urbani di Palermo - si legge in "C'era una volta la Sicilia" ( Edizioni Thule ) - erano famosi come quelli di Bolzano e di Barletta per solerzia e zelo: implacabili soprattutto contro i motociclisti rumorosi, gli automobilisti strombazzanti ( l'incurabile piaga degli automobilisti di Palermo e di Napoli ) e le turiste disinvolte che 'scendevano' in Sicilia con sprezzante mentalità di conquista ed alle quali i guardiani della dignità sicula imponevano di entrare nel più vicino negozio di abbigliamento, almeno per coprire le loro lattiginose nudità.
Nelle altre città dell'Isola i vigili urbani di Palermo erano guardati dai colleghi con un misto di invidia e di ammirazione.
Oggi non si sa più se a Palermo i vigili ci siano e, se ci sono, che cosa ci stiano a fare.
Hanno definitivamente abbandonato la città in mano a motociclisti forsennati e ad automobilisti frementi, il cui godimento più inebriante sembra l'uso continuo del clacson, la sistematica violazione di ogni norma di precedenza, il sorpasso a qualunque rischio, il tutto a velocità degne della pista di Monza.
Vigili inesistenti, e, comunque, spettatori inerti.


Parcheggio di auto in piazza Castelnuovo
in un'immagine di Publifoto
pubblicata nel volume "Sicilia",
edito dal TCI nel 1961

Se vuoi difenderti, automobilista 'straniero', non sperare nei vigili urbani; non li troverai mai e se, per caso, dovessi miracolosamente imbatterti in uno di loro, stai certo che non farà nulla, tranne che infastidirsi perché tenti di obbligarlo ad intervenire.
Non sono più quelli di una volta: hanno rinunciato persino a rendere ammonitrice la loro presenza.
Se vuoi difenderti, automobilista 'straniero', rendi felice il fremente automobilista 'indigeno': concedigli la gioia di superarti.
Se non lo fai, l'indigeno' diventa una belva pericolosissima: chissà perché, se non gli concedi sempre e comunque la precedenza - anche se guidi una Ferrari e lui una Cinquecento - si ritiene oltraggiato.
E non ti azzardare a discutere perché l'automobilista di Palermo, nel migliore dei casi - se riuscirai ad evitare il peggio - sarà capace di sbalordirti nel trasformare quello che è il tuo diritto, sancito dal codice della strada, nella concessione, da parte sua, di un favore.
Naturalmente, per dovere di ospitalità"
   

mercoledì 11 marzo 2015

RUSCELLI DI PIETRA NELLE CAMPAGNE RAGUSANE

Testimonianza di dura vita rurale e fonte di suggestioni  letterarie dei muretti a secco in val di Noto

Altopiano di Ragusa con muretti a secco
in una fotografia scattata nel 1967 da Enzo Sellerio.
L'immagine è tratta dall'opera
"Enzo Sellerio Fotografie 1950-1989",
edita nel 2000 da Federico Motta Editore


Nelle province più interne - quella nissena, l'ennese - la campagna siciliana è a volte monotona e quasi desertica; in prossimità delle coste - nel trapanese e nell'agrigentino, soprattutto - il paesaggio rurale modella le sue forme in maniera più varia e scenografica, per l'alternarsi di colline e declivi che quasi lambiscono il mare. 
Un colpo d'occhio ancora diverso - a conferma dell'opinione di quanti ritengono che la Sicilia, nei paesaggi e nei caratteri sia un'isola-continente -  è invece offerto dalle campagne prive di bosco degli altipiani ragusani, dominate dal pascolo e dalle colture della vite, dell'olivo, del mandorlo, dei cereali e del carrubo.

Campagna iblea, in un'immagine di Mario Pedone.
La fotografia venne pubblicata nel 1965
nel volume  di Federico De Agostini
"Sicilia" della collana "Italgeo",
edita da Bonetti Editore Milano

Qui, l'immagine di un antico sfruttamento della terra viene suggerita dal susseguirsi di appezzamenti di terreno di diversa estensione recintati da ordinate cortine di muretti di pietre.
Oggi queste opere possono a ragione considerarsi degli esempi di archeologia agricola siciliana.

"Insieme alla roccia, anzi come nati da essa - scrisse nel 1985 la giornalista Maria Rosa Calderoni durante un breve ma magnifico reportage in val di Noto -  corrono i filari interminabili dei muretti a secco, linee e segmenti di pietra che si intrecciano e che si inerpicano, delimitando faticosi confini che rinserrano terrazzamenti impervi e fazzoletti di povera terra, spinti sempre più su, fin quasi in cima al tavolato, alla disperata ricerca di grano e di pascolo.


Altra immagine dei muretti a secco in val di Noto.
L'autore è Ezio Quiresi e la fotografia venne pubblicata
nel 1961 nell'opera del TCI "Sicilia"
per la collana "Attraverso l'Italia"

Paesaggio unico, ma anche esemplare 'scrittura di pietra', come la definisce Enzo Siciliano: sono infatti questi muretti a secco, irripetibile e quasi irreale connotazione della campagna ragusana, a raccontare la storia spietata e secolare della servitù agraria; è questa ordinata e quasi maniacale 'ragnatela pietrosa', sudore e sangue del contadino, a illustrare la disumana lotta per la sopravvivenza combattuta da queste parti, generazione dopo generazione"


Altro fotografo che ha documentato
questi scorci di campagne ragusane
è il francese Patrice Molinard.
Lo scatto - ambientato nel modicano - illustrò il volume
 "La Sicile", edito da Del Duca Paris nel 1957
per la collana "Couleurs du Monde"


Quasi vent'anni dopo quella descrizione, il paesaggio dei muretti di pietre delle campagne ragusane sarebbe stato così descritto da Matteo Collura nel saggio "In Sicilia" ( Longanesi, 2004 ):
    
"La provincia di Ragusa: se vi si arriva da Gela, come a me in questo viaggio è accaduto, si ha l'impressione che la terra si vada via via spogliando, mostrando la sua dura crosta in distese ampie e ondulate, ricoperte di un verde tenero, in inverno, di un'oca ambrata, in estate.
E sempre, qualunque sia la stagione, un vento che, soffiando dolce fra desertiche alture di basalti e di tufi, compone prodigi musicali.


Muretti a secco nella zona di Palazzolo Acreide.
L'immagine è firmata PGS ed è tratta dal saggio
di Aldo Pecora "Sicilia", edito nel 1974 da UTET

Sono questi gli elementi che, al primo impatto, caratterizzano un territorio così simile a certe zone della Spagna e dell'Irlanda, dove rustici muretti, come qui costruiti pietra su pietra, senza malta e senza intonaco, fanno intricati merletti.
E il geometrico correre dei muretti a secco sembra volersi accordare con l'affannoso andar su e giù, nei centri abitati, di vicoli e scalinate che, nel caso di Modica, Comiso, Ragusa Ibla, hanno aspetto di ruscelli pietrificati"




martedì 10 marzo 2015

LA REMOTA ISPIRAZIONE CONTADINA DI RENATO GUTTUSO

Dieci disegni al 1949 ed uno scritto del pittore bagherese  pubblicati in "Contadini di Sicilia", un raro volume edito nel 1951 da Edizioni di Cultura Sociale




Nel 1951 Renato Guttuso aveva 39 anni; da almeno venti, il centro della sua vita artistica si era spostato da Bagheria a Roma.
In quel periodo, Guttuso era entrato a far parte del Comitato Centrale del partito comunista italiano, continuando un percorso politico iniziato nel 1940 e che alla fine degli anni Settanta lo avrebbe portato sino all'incarico di senatore della Repubblica.
Proprio nel 1951, le Edizioni di Cultura Sociale dirette da Roberto Bonchio - che due anni dopo sarebbero diventate Editori Riuniti - pubblicarono a nome di Renato Guttuso nella collana "Il disegno popolare" l'opera "Dieci disegni sui contadini di Sicilia".







Oggi quella pubblicazione è poco nota, o comunque di difficile reperibilità nell'ampio catalogo di volumi, saggi e monografie dedicate all'artista.
Scovatane una copia in una bancarella romana di libri usati, ReportageSicilia non poteva che riproporne i contenuti altrimenti destinati a rimanere perlopiù sconosciuti.
Il materiale è interessante, perché documenta il rapporto profondo fra il pittore e Bagheria, che in seguito sarebbe stato sempre più mediato dalle esperienze dei salotti romani.
In "Dieci disegni di contadini siciliani", lo stesso Guttuso illustra l'ispirazione contadina e siciliana della sua arte ed i legami con le opere letterarie di Ignazio Buttitta e Giacomo Giardina. Con accenti quasi commossi, Guttuso sottolinea il legame profondo e remoto con quell'ambiente, riconoscendone il ruolo fondante nei suoi temi espressivi. 
I disegni che illustrano il volume furono realizzati in origine per il quadro "Occupazione delle terre incolte in Sicilia" ( 1949 ).  Nella nettezza del segno, esprimono la forza di quel legame fra Guttuso e l'isola delle lotte per la terra, drammaticamente segnate dalle uccisioni di numerosi sindacalisti e dall'eccidio di Portella delle Ginestre.   





Il pittore bagherese dedicò il volume "ai miei compagni contadini" e ne anticipò la prefazione con una poesia dello stesso Buttitta:




"Mancianu picca e paganu li tassi
Sti puvireddi di lu mè paisi
Cu ccentu pezzi supra li cammisi
Ed agghimmati comu li compassi"




La lettura della prefazione ai disegni rivela lo stretto contatto umano ed artistico fra Renato Guttuso e con quella Sicilia rurale segnata nel secondo dopoguerra dalle lotte per la terra, contro feudatari e mafiosi.







Il pittore bagherese - già allora da anni pienamente inserito nella vita artistica italiana, fra Roma e Milano - rivendica la piena appartenenza al mondo rurale dell'isola ed ai personaggi che lo popolano ( "... i contadini siciliani che hanno nel mio cuore il primo posto, perché io sono dei loro, e i cui volti mi vengono continuamente davanti agli occhi qualunque cosa io faccia... il mio amore per i contadini siciliani è solidarietà con le loro lotte, è parte stessa, benché minima, della loro storia..." ).
Negli anni successivi, il legame fra Guttuso e la Sicilia sarebbe rimasto saldo soprattutto per l'ispirazione artistica dei suoi temi pittorici.



L'artista di Bagheria è uno di quei siciliani che ha deciso di allontanarsi dalla sua terra e non è un caso che una delle opere più note al grande pubblico - "La Vucciria", del 1974, che Sarah Whitfield definì "il più appassionato omaggio di Guttuso alla Sicilia" - sia stata realizzata nel suo studio di Velate, in provincia di Varese.
   
"I disegni qui raccolti sono quasi tutti recenti.
Sono, in parte, relativi al mio quadro del 1949 'Occupazione delle terre incolte in Sicilia' che fu esposto nella Biennale d'Arte a Venezia nel 1950.
I disegni sono recenti ma credo siano legati alla mia ispirazione più profonda e remota.
Alla mia infanzia, alla mia gente, ai miei avi contadini, a mio padre agrimensore, ai giardini di limoni e di aranci, alle pianure del latifondo familiari al mio occhio ed al mio sentimento, da che son nato.








Alcune di queste facce le vidi la prima volta nella divisa militare dell'altra guerra. Volti sui quali si erano addensati, accanto ai vecchi, nuovi segni di sofferenza. Ricordo volti che non tornano più e pianto delle spose, in quegli anni, e delle madri. Ricordo il volto impassibile di un vecchio contadino a cui mio padre dovette annunziare la morte del figlio al fronte, che sembrò accogliere la notizia con indifferenza, quasi non lo riguardasse, che parlò un poco del raccolto e della pioggia e quando uscì da casa nostra cadde a terra morto di dolore.
Ricordo i carrettieri ai quali mi accompagnavo sulle trazzere, al tempo dei miei primi disegni, e le loro canzoni, sotto il sole, che non mi sono più uscite dalla mente.
Ricordo i contadini in rivolta la sera che bruciarono i casotti del dazio, nell'agitazione contro il 'comune chiuso' nel 1919; e fu quella la prima volta che vidi una bandiera rossa agitarsi nel cielo notturno ai bagliori delle fiamme.
Poi i contadini cominciarono a frequentare la stanzetta che avevo adibito a studio; ad assistermi e a farmi da modelli in quei primi esercizi. Venivano tutti i giorni da me giovani e vecchi contadini, modelli e amici, contadini e poeti, spesso la sera ci vedevamo con Ignazio Buttitta, poeta e comunista, con Giacomo Giardina, pecoraio e poeta, che oggi fa il venditore ambulante fra Bagheria e l'interno, autore di pagine tra le più belle e fresche che siano mai state scritte sui contadini ( pagine di un romanzo autobiografico che non fu mai pubblicato ).
Dipinsi anche, in quegli anni, il ritratto di Giuseppe Nicolosi Scandurra, contadino e decano dei poeti siciliani.
I loro volti mi riapparvero poi sempre e popolarono il mio primo quadro di grandi dimensioni 'La fuga dall'Etna' nel quale raccontavo l'esodo dei contadini cacciati dall'eruzione.



Nel 1946 e nel 1947 tutta la Sicilia entrò in agitazione per la occupazione delle terre. Fui anch'io in Sicilia in quel periodo, partecipai alle loro riunioni, alle loro discussioni, alle loro agitazioni. I volti della mia infanzia si mischiavano ai nuovi volti, i vecchi ai giovani, alle donne, ai bambini affamati. Gli occhi umidi di commozione dei vecchi sui carretti alle facce decise dei giovani. I contadini si muovevano all'alba o addirittura nel cuore della notte, coi muli, gli asini, i carretti, gli aratri, le zappe, le bandiere. Qualcuno cantava, qualcuno suonava il mandolino o la chitarra.
Quei suoni si mischiarono poi al suono delle fucilate. Quelle tirate dal moschetto 91 della 'forza pubblica' ovvero della gente chiamata a difendere i baroni e quelle tirate dalla doppietta dei sicari della mafia.
Cominciò la strage dei capilega, 36 combattenti contadini uccisi in un anno. Da Gerolamo Li Puma ucciso in presenza del figlio undicenne mentre zappava la sua vigna, agli altri, a D'Alessandro, a Cangelosi, ai contadini, bambini, uomini e donne massacrati a Portella della Ginestra, fino all'ultimo di qualche mese fa il contadino comunista Damiano Lo Greco ucciso in piazza a Piana dei Greci perché protestava contro le passeggiate di guerra del generale americano in Italia.



Contadini siciliani che hanno nel mio cuore il primo posto, perché io sono dei loro, e i cui volti mi vengono continuamente davanti agli occhi qualunque cosa io faccia. Contadini siciliani che sono tanta parte della storia d'Italia e che hanno dato tanto contributo di sangue alla storia che essi, sotto la guida della classe operaia, stanno scrivendo la storia per il nostro Paese, per una Sicilia indipendente e capace di rompere quella gabbia di miseria, di mafia, di feudo che la opprime da secoli, in una Italia libera dalle sue piaghe, indipendente e pacifica. Il mio amore per i contadini siciliani è solidarietà con le loro lotte, è parte stessa, benché minima, della loro lotta.
Questo senso vuole avere questa raccolta. Questi disegni non sono fatti per gli amici del Caffè Greco, dell'Age d'Or o della 'Brasserie d'Alesia', non per la Biennale, per il Salon, per la Quadriennale, per l'Art Club. Non sono fatti per questi ambienti, per queste istituzioni, nel senso che non sono fatti solo per loro. Ma per tutti, per tutto il popolo italiano e, primi fra tutti, i contadini siciliani; per i contadini di Bagheria, di Misilmeri, di Baucina, di Valguarnera, di Lentini, di Comiso, per mio nonno Ciro Guttuso garibaldino, e per mio padre Gioacchino Guttuso, agronomo e libero pensatore"     

sabato 7 marzo 2015

SICILIANDO














"Se vogliamo dirlo fuori dai denti, della Sicilia e dei siciliani si parla in genere per fatti di cronaca nera.
I siciliani, però, hanno una caratteristica, oltre alla famosa 'corda pazza' citata da Pirandello.
Quando sono seri, sono serissimi.
In un Paese rappresentato dalle maschere di Arlecchino e Pulcinella, sono gli unici italiani a sentire la gravità della tragedia"
Corrado Augias 

CAPO PASSERO, STORIA E LEGGENDA DEL "CALCAGNO D'EUROPA"

Richiami storici e del mito nella punta Sud-Orientale dell'isola, nel ricordo del corsaro Dragut e di Ulisse

L'isolotto delle Correnti con il forte di età spagnola,
sul lembo della costa siracusana bagnata dalle acque
del canale di Sicilia e dello Jonio.
La fotografia è di Mario Pedone ed è tratta dall'opera
di Federico De Agostini "Italgeo-Sicilia",
pubblicata nel 1965 da Bonetti Editore

"Ma passando per Scicli, per Ispica, strappate un indugio alla fretta, a vantaggio dei bei palazzi, delle cattedrali solenni, quindi proseguite di corsa verso Pozzallo e Pachino, dove il mare vi chiama.
Il mare d'Ulisse, con le tartarughe marine e gli uccelli di passo che fanno sosta sui fari in attesa del balzo d'oltremare.
Poiché qui siamo davvero veramente nel calcagno della penisola.
Qui, se dopo un esiguo guado d'acqua approdate in barca all'Isola delle Correnti, i pochi centimetri quadrati di sabbia che calcate sotto le scarpe sono veramente, stavolta, l'ultimo lembo d'Europa"

Si deve a Gesualdo Bufalino ( "Il fiele ibleo", Avagliano Editore, 1995 ) l'invito a visitare il vertice Sud-Orientale della Trinacria costituito da capo Passero e dall'isolotto delle Correnti, all'incrocio fra le acque del canale di Sicilia e lo Jonio.
Quest'ultima propaggine europea prima dell'Africa offre un intreccio di suggestione storica ed ambientale altrove cancellato nell'isola.
La natura del luogo - il fascino cioè di un paesaggio che racconta la millenaria storia locale -  così sorprese un cronista disincantato come Giuseppe Fava ( "I Siciliani", Cappelli Editore, 1980 ):
"Era la prima volta che io vedevo Porto Palo, questa punta estrema della Sicilia e mi apparve straordinaria".

Pescherecci sul tratto di mare
fra capo Passero e l'isolotto.
Anche questa fotografia è di Mario Pedone
e venne pubblicata nel II volume dell'opera "Sicilia",
edita nel 1962 da Sansoni e dall'Istituto Geografico De Agostini

Sulla sommità dell'isolotto delle Correnti - che secondo la leggenda vide veleggiare i marinai di Ulisse - le strutture di una fortezza ricordano l'assedio sostenuto nel 1526 con il corsaro Dragut.
Ancora oggi una scritta riportata nel 1701 in un architrave del forte ricorda l'orgoglio di quanti per secoli hanno difeso quest'angolo di terra e di mare:
"Melius est invidia urgèri quam commiseratione deplorari", è meglio suscitare invidia che implorare la commiserazione.