Nelle fotografie di Scheler, Minnella, Piazza, Ciganovic e Molinard le immagini della passata diffusione delle carrozze in città
Oggi a Palermo sopravvivono una sessantina di cocchieri, neppure un decimo rispetto ai 667 in servizio nel 1964.
Gli "gnuri" - così i cocchieri vengono ancora etichettati dai vecchi palermitani - sono tradizionalmente in conflitto con l'amministrazione comunale ed i vigili urbani.
In passato, la contesa ha riguardato il numero delle licenze o il criterio di applicazione delle tariffe.
Negli ultimi anni, invece, i cocchieri hanno lamentato una discriminazione verso la loro attività e la mancata concessione da parte del Comune di stalle ed aree di sosta autorizzate nel centro storico della città.
Palermo, insomma, si conferma città dove è spesso complicato gestire anche i più semplici aspetti della vita urbana, in un macerante conflitto fra chi gestisce la cosa pubblica e le diverse categorie di cittadini.
Ai cocchieri palermitani - figure che, nel bene e nel male, rappresentano uno degli storici volti di Palermo - sono state dedicate molte fotografie di illustri fotoreporter che hanno visitato la città.
ReportageSicilia ripropone alcuni di quegli scatti, ricostruendo l'immagine della loro presenza negli anni della loro massiccia presenza in città grazie anche ad un reportage pubblicato il 23 giugno del 1963 dal quotidiano "La Stampa".
Nell'articolo, attraverso la descrizione delle carrozze palermitane, Francesco Rosso coglie alcuni caratteri del costume locale, a cominciare dai legami con vecchie e lontane consuetudini; anche questo è il segno dei ritardi di Palermo rispetto agli standard di efficienza di altre grandi città italiane:
"L'odore più autentico di Palermo esala dai 667 cavalli puro sangue giubilati dopo gli osannanti clamori degli ippodromo e declassati a trainare altrettanti mortificanti carrozzelle attraverso le vie della città vicereale.
Ridotti a scheletri, i ronzini non hanno però alterato le loro funzioni e l'aria di Palermo si impasta di fermentanti odori di scuderia.
Non esiste città al mondo più legata al passato più lontano come Palermo; ovunque, i taxi hanno travolto le carrozze da qualche decennio, per sveltire il traffico ed adeguarsi al ritmo dell'esistenza attuale, l'automobile appare più conveniente.
Ciò non accade a Palermo per cause complesse.
Con che vivrebbero le famiglie dei 667 cocchieri e quali mezzi di trasporto, che non siano gli autobus, userebbero i palermitani?
La sosta di un cocchiere in piazza Bologni. La fotografia è di Giuseppe Piazza e venne pubblicata nel saggio "Sicilia al sole", edito nel 1886 da Brotto |
La carrozzella svolge anche una funzione sociale insostituibile con le basse tariffe; il taxi è mezzo di trasporto troppo costoso, inaccessibile per molta gente.
Così, contro le 667 carrozze, a Palermo vi sono soltanto 138 taxi, un numero alquanto basso per una città che si avvia ai settecentomila abitanti ed è investita in ogni stagione da eserciti di turisti.
Alla cause, diciamo economiche, si aggiungono quelle di costume.
Ai palermitani piace la carrozza; il rotolar delle ruote sul selciato, lo schioccar delle fruste, il nitrire dei cavalli zoccolanti sulla pietra, l'odore dei finimenti intrisi di sudore, gli genera un'ebbrezza sottile.
Uno scatto del fotografo serbo Josip Ciganovic dinanzi Palazzo dei Normanni. L'immagine è tratta dal I volume dell'opera "Sicilia" edita nel 1962 da Sansoni e dall'Istituto Geografico De Agostini |
I palermitani sono dei conversatori indomabili ( altri dicono chiacchieroni ) e la carrozza si trasforma in salotto per discussioni senza fine.
Il piacere di conversare è così forte in loro che non solo in carrozza, ma sulle porte dei bar, dei negozi, dei cinema formano barriere di corpi immobili e mani gesticolanti.
Cocchieri all'interno del porto. La fotografia non ha attribuzione e venne pubblicata nel giugno del 1955 dalla rivista mensile del TCI "le Vie d'Italia" |
Non intendo affermare con queste osservazioni che Palermo sia una città decrepita, è anche modernissima, però con spiccata inclinazione a trasformare in vecchio il nuovo..."
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