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lunedì 19 ottobre 2015

VIOLENZA FRA LE STATUE NELLA PALERMO DEL DOPOGUERRA

Una fotografia pubblicata nel maggio del 1946 da "l'Europeo" testimonia il clima della città sconvolta dalle conseguenze del conflitto e dall'affermarsi del banditismo




"Ragazzi giocano davanti alla Fontana della Vergogna.
Adesso i ragazzi giocano spesso a fare i banditi e fingono inseguimenti, fughe ed arresti.
Talvolta si picchiano con violenza"

Poche informazioni, ma sufficienti a ricostruire il quadro delle tensioni nella Palermo del secondo dopoguerra, tra povertà e le pulsioni criminali ed ideologiche alimentate dal banditismo e dal separatismo.
La foto-notizia pubblicata da "l'Europeo" il 5 maggio del 1946 ritrae un uomo in divisa nell'atto di afferrare per i capelli un ragazzo; intorno - sul basamento della fontana monumentale di piazza Pretoria - altri tre giovani assistono alla scena.
Un rapporto dell'Ispettorato di Polizia redatto il 31 gennaio del 1946 descriveva il clima di violenza quotidiana a Palermo ben rappresentato da quell'immagine.
Il documento testimoniava l'alto numero di reati registrati in città e indicava Salvatore Giuliano e altri "47 malfattori" come responsabili di 8 omicidi, due tentati omicidi, conflitti a fuoco, rapine, estorsioni, furti ed aggressioni di caserme dei carabinieri.



I palermitani avevano poi ancora vivo il ricordo della strage compiuta il 19 ottobre del 1944 dinanzi palazzo Comitini, allora sede della Prefettura: quel giorno, soldati del  regio esercito lanciarono bombe a mano contro una folla inerme di dipendenti comunali, disoccupati e diseredati del centro storico.
Il bilancio di quell'eccidio - passato alla storia come "la strage del pane" - non fu mai reso noto ( le stime di allora indicano i morti in un numero variabile fra i 19 e i 30, oltre a parecchie decine di feriti ).
Una pagina di Sandro Attanasio così descrive un'altra oscura pagina di proteste e violenza vissuta in quegli anni a Palermo, due mesi prima della pubblicazione della fotografia su "l'Europeo":
"L'11 marzo una tumultuosa manifestazione percorse le strade della capitale dell'isola.
La folla - si legge nel saggio "Gli anni della rabbia, Sicilia 1943-1947, Mursia, 1984 -  chiedeva lavoro per i reduci disoccupati, lotta al caro vita, distribuzione straordinaria di generi alimentari.
Aldisio promise ai dimostranti la soddisfazione di queste richieste.
Il giorno dopo le manifestazioni ripresero imponenti.
Verso le 10 una folla di almeno diecimila dimostranti si mosse dalla Stazione Centrale e imboccò decisamente la via Roma.
La folla era eccitata, si vedevano molte persone che agitavano randelli.
V'erano anche autocarri stipati di gente vociante.
I primi tumulti si verificarono in via Roma davanti agli uffici comunali.
Presto tutto il centro della città si trasformò in una bolgia.
La Camera del Lavoro di via Maqueda, minacciata da una massa minacciosa, venne abbandonata dagli impiegati e fatta chiudere.
La folla irruppe nell'edificio distribuzione del Palazzo delle poste e mise tutto a soqquadro.



Un tentativo di invasione del Palazzo delle Finanze fu fortunosamente sventato da un forte presidio di Guardia di Finanza.  
Un formidabile schieramento di forza pubblica servì a tenere lontani i dimostranti dalla prefettura e dal municipio di piazza Pretoria.
La gente allora si riversò all'ufficio tasse comunali di via Maqueda, nei locali della scuola Gaetano Daita, e li mise sottosopra.
Dai balconi piovvero mobili e documenti che furono bruciati per strada.
Lo stesso avveniva alla pretura in piazza Ignazio Florio.
Poi la folla, più furiosa che mai, prese d'assalto l'esattoria comunale di Palazzo Venezia.
Porte e serrande furono sfondate con grosse travi usati come catapulte e la gente dilagò negli uffici.
Attrezzature, mobili e incartamenti finirono in un grande rogo stradale.
Anche pacchi di banconote furono bruciati al grido 'non siamo ladri!'
Soldati e forze di polizia s'erano prudentemente ritirati e assistevano a distanza alla scena.
All'ufficio Carte Annonarie di via Libertà, invece, avvenne la tragedia.
La forza pubblica aprì il fuoco sulla folla che si disperse in preda al terrore.
Sul terreno rimase una dozzina di feriti.
Vi furono anche due morti: il giovane disoccupato Salvatore Maltese di 19 anni e il commissario di PS Antonino Calderone che si trovava tra la folla e cercava di calmare gli animi.



Nel pomeriggio una colonna di dimostranti marciò di nuovo verso la prefettura, ma venne bloccata da un imponente schieramento di forza pubblica.
Un reparto di carabinieri a cavallo si esibì alla cosacca e caricò ripetutamente la folla, disperdendola a sciabolate e travolgendola con i cavalli.
Allora un tale salì su un autocarro, lo mise in moto, e puntò sui carabinieri.
Travolse uomini e cavalli, sfondò lo schieramento di truppa e aprì un varco verso l'ingresso dell'edificio.
La folla si fece sotto saettando sassi e pezzi di legno, ma dovette ripiegare sotto una fitta sparatoria aperta dai militari.
La giornata si chiuse con un pesante bilancio di sangue.
Oltre ai due morti vi furono moltissimi feriti.
Quelli 'ufficiali' furono: nove militari, fra questi un tenente del 39° fanteria, tale Lucio Siluri.
Fra la popolazione civile si ebbero una trentina di feriti, di cui due donne. Tutti colpiti da colpi d'arma da fuoco o da sciabolate.
Ma bisogna tener conto che molti cittadini, per paura di altri guai, non si fecero curare presso gli ospedali e i pronto soccorso.
Le tracce dei disordini furono fatte scomparire in gran fretta.
Autoblindo, carri armati e camionette pattugliarono tutta la notte le strade della città; di tanto in tanto i militari sparavo raffiche intimidatorie.
La città rimase per parecchi giorni sotto la morsa dei reparti militari..." 



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