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sabato 15 aprile 2017

LUOGHI E IMPRESSIONI DELLA "FESTOSA CONCHIGLIA" DI ORTIGIA

Umori e vita quotidiana nello "scoglio" di Siracusa nei ricordi letterari della scrittrice Laura Di Falco
La scogliera di Ortigia a ridosso dello storico
nucleo urbano sul mare di Siracusa.
Le fotografie sono di ReportageSicilia
Per chi vi arrivi su un'imbarcazione o per chi la visiti dopo avere attraversato un ponte stradale, l'isola di Ortigia riserva l'angolo di Sicilia più vicino all'idea di vecchia città mediterranea.
L'impressione si deve anzitutto all'immediato rapporto fra la storica edilizia urbana barocca ed il mare, in un gioco continuo di rimandi fra stradine e scorci di azzurro dai toni variamente  disegnati dalla luce quotidiana.
Ad Ortigia, come ha scritto Giuseppe Tarozzi nel 1961, "il colore del cielo, che non è neppure cielo, tanto è azzurro, fisso, immobile, è una mano d'indaco pennellata sopra chilometri e chilometri di costa; il mare che si spalanca verso l'Africa è tutto percorso da onde azzurro-verdi; la vegetazione è quella di sempre, antica come la storia di questa città, qualcosa di misto fra la Grecia e la Palestina; i colori delle case, cotti, bruciati da un sole caldissimo".
Specie nelle giornate di scirocco, l'odore del mare avvolge quello che i siracusani un tempo chiamavano lo "scoglio"; e né le devastazioni dell'architettura storica compiute durante il fascismo, né le successive speculazioni edilizie sono riuscite a intaccarne la suggestione di un luogo unico in Sicilia.



L'ambiente di Ortigia ha ispirato il romanzo di Laura Di Falco "L'inferriata", edito da Rizzoli nel 1976; ma anni prima - nel 1961 - la scrittrice di Canicattini Bagni ( all'anagrafe Laura Anna Lucia Carpinteri ) aveva descritto l'isola di Siracusa nel II volume dell'opera "Sicilia", edita da Sansoni e dall'Istituto Geografico de Agostini:
   
"E' qui che il forestiero può farsi un'idea di quella che era la deliziosa città di quarant'anni fa, con le sue friggitorie e i piccoli caffè che servono ancora la granita di mandorle; con le barche per il traghetto verso la borgata di Santa Lucia sopra un mare nero d'erba marina, e i barconi che fanno commercio con Malta portando olive secche, ricotta salata, aranci, finocchi; e qualcuno di essi, quando c'è la tempesta, non fa più ritorno.
'Mangiati dai pesciolini minuti', dicono le donne.
L'odore della salsedine e delle alghe invade la città che galleggia sul mare e riempie i vicoli: la calata del Governatore, la calata del Cannone, o la 'viuzza del sale', o quella 'della neve' ( che era portata direttamente dall'Etna, con ancora qualche grano di vera 'sciara' in mezzo, quando non c'era la macchina del ghiaccio ); nomi che ricordano i Borboni, e gli antichi dominatori, di cui Siracusa conserva le tracce nei monumenti e nella parlata.
'Quattro ventine' sono gli anni della vecchietta dei quartieri popolari, la busta della carta da lettera si chiama 'inviluppo', e 'custurera' è la sarta.
Nel mese di settembre l'umidità macchia la facciata delle case, e i selci delle strade non si asciugano né di giorno né di notte anche se il cielo non versa una goccia d'acqua, mentre il sole annega come un disco sfocato nell'aria bassa e pesante.
In compenso la folla brulica per le strade, così strette, a volte, che non vi passa neppure una carrozza.



D'estate i balconcini sono pieni di gente in cerca d'aria, e da un'inferriata all'altra si può, per mezzo di una canna, e qualche volta anche senza di questa, passare alla dirimpettaia la ricetta per il dolce, un canestro in prestito, o una frittella di pesce ancora caldo per non 'far spiumare' dal desiderio il cuore al bambino della vicina.
Tutto passa attraverso queste finestre, salvo il sospetto della povertà, tenuta nascosta come se si trattasse di una malattia infamante.
E però ai vicini non sfugge nulla lo stesso, donde il detto 'il vicino è serpente: se non ti vede, ti sente'.
Dagli odori della cucina si misurano le possibilità economiche della famiglia accanto, se ne può indovinare lo stato d'animo, si è informati degli avvenimenti familiari, dei battesimi, delle morti, in occasione delle quali non si cucina per giorni; e sempre dagli odori si capisce quando il morto comincia ad essere dimenticato...
... D'estate si dorme poco.
La radio e la televisione hanno complicato le cose, poiché ognuno fa a gara a superare il volume dell'apparecchio del vicino, con la ingenua certezza, diceva Alvaro, che il frastuono vuol dire festa e benessere.



Al mattino si è svegliati di soprassalto dal venditore di uova, che annuncia la sua merce con un grido alto e soffocato come se stessero uccidendolo; poi sopraggiunge il venditore di ricotte; e poi il carrettino smilzo, adatto a quelle strettoie, carico di melanzane e peperoni.
Il mare luccica dappertutto; se non lo si vede, lo si indovina, con il suo odore particolarmente fresco a gennaio...
... Se invece arriva la tempesta, il mare assale l'isola di Ortigia con bordate di schiuma che salgono fino ai balconi, il vento marino soffia nei vicoli, le strade sono canali d'aria tagliente, e se viene la pioggia, le viuzze si trasformano in torrenti che corrono al mare; quello stesso mare che nelle notti di scirocco trasforma il porto in un nero calderone d'olio immobile, e nei tramonti di primavera diventa una lastra di cristallo amaranto. 



Ma ritornando alla città levantina con i suoi mille sapori di pesci appena pescati e cotti, di granchi messi vivi a rosolare sul fuoco, di polmoncini di tonno seccati al sole e poi abbrustoliti insieme ai peperoni, per poco che una viuzza si slarghi, la faccia medievale si cancella, e allora si potrebbe indifferentemente credere di essere alla periferia del Cairo o di Alessandria d'Egitto.
Piazza del Duomo è il punto più elevato dell'isolotto di Ortigia. Mio nonno durante le sue passeggiate si fermava proprio qui per respirare a pieni polmoni e indicava intanto il luogo in cui i Borboni avevano fatto fucilare gli Adorno, prima il figlio, sotto gli occhi del padre, e poi quest'ultimo, come attesta la strada intitolata appunto ai due patrioti; e poi anche lo scempio di due saltimbanchi, dati in pasto alla folla in tempo di colera, perché trovati in possesso di certe polverine che servivano loro per preparare i fuochi di artificio.



La prima domenica di maggio in piazza del Duomo si celebra la festa di Santa Lucia delle Quaglie, forse la trasposizione di una ricorrenza pagana all'ombra del tempio di Atena, alla quale appunto la quaglia era sacra.
Dalla vela della badia di santa Lucia le monache si affacciano e lanciano colombe sulla folla.
E' l'inizio dell'estate, che fino a tutto giugno seguita a mantenersi fresca e invitante, senza ancora il vento africano carico di sabbia del deserto in agosto, e senza lo scirocco del mese di settembre.



In questa stagione costeggiare l'intero margine della festosa conchiglia di Ortigia è quanto di più bello si possa immaginare, sempre con sotto gli occhi il mare verde e violetto popolato di gabbiani come i porti di Grecia, dal belvedere San Giacomo a castel Maniace fino a via Alfeo, intitolata al sotterraneo amante di Aretusa, le cui acque dolci sgorgano appunto in quelle vicinanze in mezzo ai papiri un tempo ricchissimi e rigogliosi.



Fu in questa viuzza a ridosso del mare che Giovanni Comisso vide protendersi una mano femminile dalle persiani verdi di una 'casa chiusa' per porgere una tazza al pecoraio: un quarto di latte appena munto dalla capretta, che insieme al piccolo gregge vagava al mattino per la città con un gran tintinnio di campanelli e un odore selvatico che rimaneva a lungo nell'aria immobile dei vicoli..." 



  

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