La scala elicoidale della torre del complesso religioso della chiesa di San Domenico. Foto Ernesto Oliva-ReportageSicilia |
Fra tutte le grandi città della Sicilia, Trapani è l'unica ad essere descritta con una precisa forma, identificata già in tempi remoti dalla morfologia del suo territorio: quella della falce lucente che Cerere avrebbe perso in mare, durante le ricerche della figlia Proserpina.
Il racconto di quell'episodio ha influenzato generazioni di viaggiatori e geografi, al punto che qualsiasi moderna guida turistica, nella sommaria descrizione della città, non sfugge al millenario riferimento mitologico.
Nel suo recente "Gomito di Sicilia" ( Editori Laterza, 2019 ) il giornalista Giacomo Di Girolamo prova invece a descrivere Trapani in maniera diversa, nel tentativo anche di superare altri luoghi comuni che accompagnano la narrazione delle sue vicende.
Alla fine dell'analisi, Di Girolamo propone tre riferimenti per definirne la forma; un'ala spiegata sul mare, un apostrofo o - l'ultimo paragone possibile - una lente concava: uno specchio di inganni cioè che impedisce di identificare con chiarezza un qualsiasi luogo condizionato dal comportamento degli esseri umani.
Oltre alle possibili forme cittadine elencate dal giornalista, si potrebbe tuttavia considerare la variabile rappresentata dalla presenza di una elicoide: la scala in pietra arenaria della torre campanaria del complesso della chiesa San Domenico, nel poggio più alto del centro storico.
Qui, le maestranze locali del passato hanno creato un'opera la cui forma potrebbe a sua volta rappresentare la natura di un'identità cittadina che sembra avvitarsi su sé stessa, alimentando i dubbi di chi voglia capire la natura più nascosta della città.
Alla fine dell'elicoide, comunque, la vetta della torre mostra Trapani in tutta la sua chiara luminosità: quella stessa che spinse un poeta arabo a descriverla - altra immagine trapanese - come una "città bianchissima come una colomba".
"Impastata di vento, di acqua e di sale - ha scritto Di Girolamo - si dice che Trapani abbia forma di falce.
L'ho sempre considerato un accostamento inopportuno.
Le città hanno una forma che chi vive dà loro.
E poi questo accostamento con la falce ha in sé un'idea luttuosa.
Trapani città falcata, come la Nera Signora, dove tutto è oscuro, misterioso, funebre.
A me, vista dall'alto, Trapani sembra bella e lunga come un'ala spiegata.
Se proprio una forma dobbiamo darle, Trapani ha forma di apostrofo.
E in effetti, tutto sembra essere clamoroso a Trapani, è una città che fornisce sempre nuove narrazioni, iperboli.
Sì, Trapani ha forma di apostrofo.
Ed è anche la sua condanna.
Perché succede anche questo, che ogni narrazione, per il gusto di dover apostrofare, si gonfia, ridonda.
Un funzionario che prende una mazzetta ad Aosta è un pubblico impiegato infedele.
Se lo fa a Trapani, è invece un grande corrotto, al centro di logge segrete, vicino a qualche famiglia mafiosa, segno di una città corrotta e nera.
Ci vorrebbe una sana ribellione, innanzitutto, contro questo racconto che si fa di Trapani, come di una Sicilia irredimibile.
Che non significa sminuire i fatti, la loro gravità.
Significa evitare lenti deformi, con le quali si alterano le cose, con toni da fine del mondo che servono solo a chi, predicando la fine del mondo per ogni cosa che accade in questa parte della Sicilia, ha solo da guadagnarci.
Trapani non ha forma di apostrofo, allora, ma di lente concava, filtro deforme delle cose della vita"
Nessun commento:
Posta un commento