Una nassa intrecciata a Mazara del Vallo. Foto Ernesto Oliva-ReportageSicilia |
In passato, erano soprattutto gli anziani pescatori di Mazara del Vallo e Menfi a dedicarsi alla costruzione delle nasse: attrezzi di lavoro oggi utilizzati prevalentemente dai proprietari di piccole imbarcazioni e in grado di assicurare un pescato vario e freschissimo.
In quest'area della Sicilia - fra le province di Trapani ed Agrigento - i fili di "Juncus maritimus" utilizzati l'intreccio delle nasse provengono dall'area di Capo Feto, ricca di una vegetazione che comprende anche scirpi, carici e canneggiole.
La costruzione di questi oggetti richiede in media un paio di giorni, a seconda delle dimensioni.
Le nasse più grandi possono raggiungere 1,80 centimetri ed un diametro di base di 2 metri; quelle destinate alla cattura delle aragoste, sono alte circa 1,40 centimetri; le più piccole, 60 o novanta centimetri.
I pescatori più esperti sono soliti calarle in acqua soprattutto durante le ore notturne e senza eccessiva luce lunare, per poi recuperale la mattina.
"Tutte le nasse, ad eccezione di quelle a doppia entrata, pur variando di dimensioni - ha scritto Antonino Cusumano in "Le forme del lavoro- Mestieri tradizionali in Sicilia", Quaderni del "Servizio Museografico" della Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Palermo, 1986 - hanno eguale struttura.
Sono essenzialmente formate da due parti: una esterna ( 'chiasta' )a forma di campana e l'altra interna alla prima ( 'campa' ) con imboccatura ad imbuto, attraverso la quale facilmente entra il pesce senza poterne poi uscire.
Alla sommità della 'chiasta' vi è una piccola apertura circolare ( 'mussu' o 'vucca' ), con coperchio, che serve per estrarre il pescato.
Per la costruzione della nassa si preparano i culmi di giunco già essiccati e pronti per l'uso, le bacchette di oleastro adoperate per rinforzare i bordi e la parte centrale della struttura, e il filo di nailon raccolto nell'apposito ago per cucire ( 'avugghia' ), generalmente di legno con doppia cruna aperta, intagliato cioè alle estremità con due incavature ( 'anghi' )..."
Ancora Antonino Cusumano ha raccolto le indicazioni relative alle esche poste all'interno delle nasse dai pescatori trapanesi ed agrigentini:
"Per attirare le boghe si prepara un impasto di farina di fave e di sarde salate e sminuzzate, manipolato a palla, del peso di circa un chilo, e raccolto all'interno di una reticella conica.
Le correnti fanno sciogliere lentamente l'impasto e il forte odore che si sprigiona magnetizza le boghe e le spinge dentro la nassa.
Stesso effetto è prodotto con l'esca armata di pulci di mare inseriti in un sacchetto a maglia stretta, per la cattura dei sugarelli.
Pezzetti di polipi bolliti, infilzati in asticciole di canna e sistemati davanti all'imboccatura dell'imbuto, sono preferiti per la pesca delle murene.
Altri tipi di esca largamente impiegati sono le acciughe, i granchi o parti di pesci di scarto, distribuiti all'interno della gabbia..."
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