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mercoledì 30 dicembre 2020

CRONACHE DELLA GRANDE SETE DI LICATA

Distribuzione di acqua a Licata.
Le fotografie del post, non attribuite,
furono pubblicate dal settimanale 
"Domenica del Corriere" il 6 giugno del 1967


L'ultima ordinanza che vieta l'utilizzo dell'acqua per usi alimentari a Licata risale allo scorso mese di giugno; alla piaga dell'inquinamento si aggiunge poi quella ancora frequente degli allacci abusivi, che limitano la dotazione quotidiana di acqua per i licatesi.

Nella cittadina agrigentina il problema idrico appare irrisolvibile da sempre. Nel 1559, quando a Licata abitavano circa 6000 persone, non esistevano fontane pubbliche e bisognava rifornirsi dai pozzi di acqua piovana sparsi soprattutto nelle campagne. Qualche anno dopo - il 1538 - entrò in funzione un primo rudimentale acquedotto, con una tariffa fissata in un grano per ogni quartara ( circa dieci litri ).

Nel 1921, fu finalmente deliberata la costruzione di moderno acquedotto e di un impianto fognario; i licatesi dovettero aspettare il 1939 per ammirare i tubi che avrebbero dovuto garantire il trasporto dell'acqua dalle Madonie.




Il sollievo durò però pochi giorni. Il regime decise che quelle condutture sarebbero servite per la costruzione di un acquedotto in Albania: i tubi tornarono nel porto di Licata e da qui presero la rotta verso l'Adriatico. La soluzione del problema slittò così al secondo dopoguerra, quando l'Assemblea regionale siciliana prospettò una legge speciale, rimasta per sempre nel cassetto.

La protesta dei licatesi sfociò in tragedia il 5 luglio del 1960, quando una manifestazione che contestava anche la mancata costruzione di una centrale idroelettrica nel territorio comunale - poi sorta a Porto Empedocle - alimentò una sassaiola contro le forze dell'ordine nei pressi della stazione.

Oltre alle pietre, volarono anche colpi di arma da fuoco che uccisero il 25enne Vincenzo Napoli.  

In quegli anni, la distribuzione idrica a Licata continuò ad essere affidata a carri-botte trainati da cavalli o asini, inseguiti da una processione di uomini, donne e bambini in competizione per riempire pentole, bidoni e ogni altro tipo di contenitore.

Negli anni Cinquanta e Sessanta dello scorso secolo, le fotografie dei carri-botte di Licata diventarono il soggetto preferito di giornali e riviste che spedivano in Sicilia i loro inviati per raccontare la sete d'acqua nell'Isola.

Un esempio è rappresentato da un reportage firmato da Vittorio Paliotti e pubblicato sul settimanale "Domenica del Corriere" il 6 giugno del 1967. L'articolo, intitolato "Una rivoluzione contro la sete", prese lo spunto da un episodio ancor oggi ricordato dagli anziani licatesi: la spedizione da Licata di ventimila cartoline dirette alla Presidenza della Repubblica e del Consiglio, alle redazioni dei più importanti quotidiani italiani ed a cittadini di altre città scelti a casaccio dalle guide telefoniche ancora esistenti più di mezzo secolo fa.

Illustrate con fotomontaggi dei titoli dei giornali siciliani dedicati alla secolare crisi idrica, l'invio delle cartoline - regolarmente affrancate con francobolli da quindici lire - venne promosso da un "Comitato per la soluzione del problema dell'acqua" presieduto da Ernesto Licata, professore d'inglese ex consigliere comunale che molti anni dopo - nel 1994 - sarebbe diventato il sindaco della cittadina.


Ernesto Licata, al centro,
fra gli altri componenti
del "Comitato per la soluzione
del problema dell'acqua" a Licata

Nel suo reportage, Paliotti scrisse:

"Le cartoline vengono poste in vendita a venti lire ciascuna e i licatesi ( ... ) fanno a gara ad acquistarle e ad inviarle alle persone più impensate. E questa 'rivoluzione' già sta dando i suoi frutti, visto che, se non altro, è riuscita a far sapere agli italiani che in Sicilia c'è un città ove non si beve..."

Il motto coniato da Licata - morto quasi centenario nel giugno del 2019 - fu semplice ed esplicito, "Fatti e non promesse". L'esortazione arricchì le espressioni ed i modi dire dei licatesi ispirati dalla carenza della risorsa idrica: da "Se vince Maiorana l'acqua resta a Catania, se vince Lalumia l'acqua resta in ferrovia" ( frase legata ad una competizione elettorale ), a "Che, hai trovato l'acqua?", beffardamente pronunciata dai licatesi ai compaesani che mostravano contentezza. Sembra infatti che in quel 1967, la dotazione idrica pro-capite fosse di appena 19 litri al giorno, contro la media nazionale di 100: una situazione aggravata dalle frequenti infiltrazioni di acque nere nell'acquedotto Tre Sorgenti.

Rimanevano pure semplice promesse le indicazioni di un finanziamento da 10 milioni di euro da parte del ministero dei Lavori Pubblici per la soluzione della crisi idrica e di un risolutivo ma fantomatico progetto di un nuovo acquedotto che il Comune avrebbe dovuto approvare entro il mese di ottobre per dare il via ai cantieri. Di tanto in tanto, grazie ad un contratto fra l'amministrazione cittadina e l'Ente Acquedotti Siciliani per la costruzione di due serbatoi d'acqua, si iniziavano operazioni di scavo che venivano puntualmente interrotte.

Nell'attesa di un intervento concreto, a Licata il tifo e la tubercolosi affliggevano centinaia di persone, costrette a lavarsi contando su una sola ora di distribuzione idrica a settimana.

Spinto dall'immobilismo della politica, oltre a promuovere l'invio delle cartoline, il Comitato diede così corpo all'astensione dal voto dei licatesi in occasione delle elezioni regionali dell'undici giugno: iniziativa che ottenne il risultato sperato, in un clima incandescente di proteste in occasione dei comizi elettorali organizzati a Licata in vista dell'apertura dei seggi.

Accadde infatti che le iniziative guidate da Ernesto Licata costrinsero il presidente del Consiglio Aldo Moro a convocare a Roma il sindaco Giovanni Saito, che pure non gradiva affatto l'invito all'astensionismo portato avanti dal Comitato, accusandolo di strumentalizzare l'emergenza per fini politici e personali.

Dopo quell'incontro romano, la definitiva soluzione del problema idrico a Licata rimase ancora una volta disattesa. Nel 1972, una rete colabrodo ed ancora inquinata dalle acque nere assicurava poche ore di distribuzione settimanale, alimentando un "mercato nero" degno degli oscuri anni del dopoguerra.

Oggi a Licata, dopo vari interventi sulla rete idrica compiuti negli ultimi vent'anni, la soluzione definitiva del problema non è stata raggiunta; ed il ricordo di Ernesto Licata e del Comitato che lottò per l'acqua continua ad essere attuale, ponendosi come esempio di lotta civica per il diritto ad un bene essenziale, mal gestito e spesso sprecato qui e in altri luoghi della Sicilia.


 

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