Leonardo Sciascia e Renato Guttuso alla presentazione, nel 1974, del libro "Palermo felicissima" di Rosario La Duca. Fotografia tratta dalla rivista "Mediterraneo", opera citata nel post |
""Palermo è ancora una città?". L'interrogativo lo ha sollevato Leonardo Sciascia, nell'introduzione al libro che ha scritto Rosario La Duca, "Palermo felicissima", edito dal Punto. La pubblicazione, stampata in mille copie numerate, è stata presentata nella sala Basile di Villa Igea, alla presenza degli autori. Il dibattito si è spostato ben presto sul decadimento urbanistico della città della quale, secondo La Duca, "non ci sono rimaste altro che le immagini". Sulla tesi di Sciascia ci sono stati interventi contrastanti. Palermo è mai stata una vera città? Ha mai avuto un cuore? Il pittore Renato Guttuso, in un bell'intervento, non ha sostanzialmente condiviso la tesi dello scrittore, pur apprezzandone il sapore provocatorio e accogliendone tutti i motivi di riflessione. "Più il tempo passa", ha detto Guttuso, "e più mi sento legato a questa città, sia pure a questo simulacro di città. Più essa è violentata, deformata, sfiancata, più mi pare esista nella sua essenza. Resiste e continua ad essere la città della mia giovinezza; il suo sapore, malgrado tutto, riesco a ritrovarlo ogni volta che ci torno"
Con questa didascalia, nell'ottobre del 1974 la rivista "Mediterraneo" edita dalla Camera di Commercio di Palermo commentò la fotografia della presentazione del saggio di Rosario La Duca "Palermo felicissima"; un evento svoltosi all'interno di quella Villa Igea che ancor oggi testimonia i lontani fasti dell'architettura "liberty" nel capoluogo dell'Isola. Alla presentazione, oltre allo storico palermitano ed allo scrittore agrigentino - del quale Einaudi aveva da poco pubblicato "Todo modo" - prese parte Renato Guttuso, che in quei mesi era impegnato nell'opera forse più rappresentativa del suo legame con la città: "La Vucciria". Sei anni dopo quell'incontro segnato da una diversità di opinioni su Palermo, Sciascia e Guttuso avrebbero rotto per sempre il loro rapporto di amicizia.
La premessa di questa svolta avvenne il 23 maggio del 1980, allorché Sciascia - all'epoca deputato radicale e componente della commissione d'inchiesta sul "caso Moro" - dichiarò di avere appreso da Enrico Berlinguer dell'esistenza di collegamenti fra la Cecoslovacchia ed ambienti terroristici italiani. A supporto di questa indicazione Sciascia aggiunse che Guttuso, allora senatore del partito comunista, era stato partecipe di quell'incontro e della rivelazione di Berlinguer. Quando il segretario del partito comunista smentì di avere fornito a Sciascia quella notizia, querelando lo scrittore per diffamazione, Guttuso confermò la versione fornita da Berlinguer, screditando l'amico: una ferita mai più sanata fra due tra i principali esponenti siciliani della cultura italiana del secondo dopoguerra, malgrado i tentativi ( falliti ) del pittore di un incontro riparatorio.
"Non si incontrarono né si parlarono più. Due amici, due siciliani, due celebrità siciliane: eppure - ha scritto Matteo Collura in "Il Maestro di Regalpetra. Vita di Leonardo Sciascia" ( Longanesi & C., 1996, Milano ) - niente poteva essere più lontano e diverso di quanto lo erano loro. Il pittore, passionale, impulsivo, narciso, protagonista mondano, ideologicamente fedele al partito comunista; lo scrittore, freddo, timido, schivo, le abitudini borghesi, assolutamente refrattario alla mondanità, alle ideologie. Quando, nel 1987, Guttuso morì, Sciascia, piangendo, confessò ad un amico: "Ora sento come un rimorso. Il rimorso di non aver più voluto stringergli la mano...""
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