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mercoledì 4 settembre 2024

LA VUCCIRIA SCOMPARSA IN UN RACCONTO DI DOMENICO REA

Mercato della Vucciria, a Palermo.
Le due fotografie, accreditate a Nino Teresi
e Lucio Tezza, vennero pubblicate
dalla rivista "Sicilia" nel giugno del 1979


"Io sono del parere che per capire Palermo, la sua storia, il carattere della sua gente, è necessario fare una passeggiata per le strade della Vucciria. Ogni altro monumento, moresco o spagnolo, impallidisce al confronto. Il Mercato dei Vergini di Napoli, tutto sommato, resta un piccolo, tipico, piccolo, pittoresco mercato, legato alla "napoletanità". La Vucciria, invece, è uno dei grandi mercati del Mediterraneo. Il primo si trova a Barcellona, il secondo è la Vucciria di Palermo, il terzo è il Bazar della vecchia Costantinopoli..."

Così, nel marzo del 1957, lo scrittore e giornalista napoletano Domenico Rea poteva ancora raccontare sulle pagine del "Corriere d'informazione" ambiente e personaggi di un mercato nel frattempo diventato solo uno specchietto delle allodole per i turisti che credono ancora di trovarvi l'anima di Palermo. Da molti anni, la Vucciria ed i suoi pochi venditori ambulanti - persa la loro funzione mercantile a favore di una clientela cittadina vasta ed eterogenea - recitano la parte di se stessi, pronti soprattutto ad accogliere un affollamento notturno fatto di schiamazzi e risse alcoliche. Rea visitò la Vucciria quando il mercato stava vivendo gli ultimi anni di vitalità; un declino determinato nel secondo dopoguerra - ha scritto Rosario La Duca il 26 giugno del 1988 sulle pagine del "Giornale di Sicilia" - "dallo spopolamento del quartiere Castellammare, dovuto soprattutto al suo mancato risanamento edilizio... dalla lunga chiusura degli uffici comunali della via Roma ed anche dalla rara apertura della contigua chiesa parrocchiale di Sant'Antonio Abate... Così la disaffezione dei vecchi clienti, il venir meno di molte altre fiorenti attività commerciali di un tempo, la riduzione degli orari di vendita, la chiusura nel pomeriggio, soprattutto delle rivendite di pesce, lo hanno fatto via via declinare..."

In quella Vucciria da lui accostata al mercato di Barcellona ed al bazar di Costantinopoli, Domenico Rea potè ancora trovare un'ambientazione simile a quella di una "una paranza a mare, nella furia sanguinolenta di una mattanza, illuminata dalle stesse lampade fluorescenti che portano le lampare a prua" .



In questo scenario, ecco il friggitore di polpi, buttati "nella padella ribollente d'olio sotto i vostri occhi e quando sono diventati corruschi e croccanti li ritira e li depone sopra un banchetto"; e i pescivendoli, che espongono "dalle alici alle sarde grosse come cefalotti, dagli scorfani alle aguglie, dal pesce luna ad un mastodontico tonno, dalle murene ai polpi piccolissimi o grandi come piovre, dai calamari alle ostriche, fino ai figli dei tonni - i tonnarelli - lunghi un mezzo metro, lucidi e sodi, con le code arcuate e taglienti che, con loro colore di piombo lucidato, fanno pensare ad apparecchi aerei supersonici..."

In molti angoli della Vucciria, Domenico Rea si imbatte nei venditori di olive, "dalle olive curate senza sale alle olive sott'olio o infornate o schiacciate o secche, sempre grandi come noci e morbide come prugne, esposte a forma di cataste piramidali piene di erbette aromatiche"; alcune di queste sono vendute da "giovani contadini dalle facce oleose, seduti dietro un banchetto che sembrano pastori dell'Asia..."

In quella Vucciria di quasi settant'anni fa scomparsa per sempre, Rea perse ogni nozione materiale del tempo. La vita gli sembrò come un'eterna vigilia mangereccia di Natale o di Pasqua, al punto da fargli scrivere:

"Si dice che i siciliani che hanno amici o parenti inappetenti li conducano a fare un giro per la Vucciria, certi che alla fine l'inappetenza guarisce. E' una diceria, ma assai verosimile: perché ove non potesse la roba esposta vi riuscirebbero i venditori, l'ambiente, l'illuminazione, l'odore, l'esempio altrui, l'oblio dei propri guai e di se stesso..."

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