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domenica 31 agosto 2025

VILLAROEL ED I CARATTERI DEI SICILIANI NELL'OPERA DI VERGA

Una fotografia di Giovanni Verga.
Nel post, anche una scena di
"Cavalleria Rusticana"
disegnata da Edoardo Calandra
e la scrivania in casa Verga.
Le fotografie sono tratte
dall'opera "L'Illustrazione del Medico",
opera citata nel post 


"Il siciliano, con tutte le varianti e le deformazioni inevitabili, è tipicamente cupo, restio, egocentrico. Sotto le apparenze morbide, cedevoli, remissive c'è un irriducibile nòdulo di orgoglio che si oppone o reagisce alla violenza e alla sopraffazione fisica e morale della vita e della storia. Il siciliano è un testardo timido ed ha timidi l'audacia inconsulta o la disdegnosa fierezza..."

Così il critico letterario e scrittore catanese Giuseppe Villaroel descrisse il carattere dei siciliani in un articolo dedicato a Giovanni Verga pubblicato nel gennaio del 1948 dalla rivista bimestrale "L'Illustrazione del Medico" ( Laboratori Maestretti, Milano ). 




"Il mondo verghiano - aggiunse Villaroel - è popolato di personaggi di siffatta natura, da "Jeli il pastore" a "Padron Toni" a "Mastro Don Gesualdo", ai fratelli Trao: gente semplice, ma dura, capace di soffrire in silenzio, di resistere al sacrificio, ma salvaguardando sempre la propria personalità. Anche la rinuncia è un atto di superbiosa alterigia..."


venerdì 29 agosto 2025

IL PICCOLO PORTO DI TOTO' BONANNO

 


CALTAGIRONE, PASSATO E FUTURO DEI CERAMISTI CHE SI ASSOCIANO

Ceramista a Caltagirone.
Foto tratta dall'opera
"Questa nostra Sicilia"
di A.Rigoli, L.Cibella e S.Cibella,
S.I.A.C.E Palermo, 1976


Fu nel secolo XVI che le ceramiche di Caltagirone - già prodotte nel periodo della dominazione musulmana in Sicilia, grazie alla presenza di numerose cave di argilla - ebbero larga diffusione in tutta l'Isola. Spente in quei decenni le fornaci delle maggiori città costiere - a Palermo, Messina e Siracusa - "si mantengono attive quelle di centri minori o lontani dai porti, pressocchè impossibilitati ad acquistare ceramiche di importazione, come ad esempio, Caltagirone..." ( Antonino Buttitta, "La terra colorata", saggio pubblicato nell'opera "I colori del sole. Arti popolari in Sicilia", S.F. Flaccovio Editore, Palermo, 1985 ).

Già prima di allora, a Caltagirone erano attive tre corporazioni di ceramisti, ciascuna specializzata in una specifica lavorazione. Gli "stazzonari", chiamati anche "ciaramitari", si occupavano della fabbricazione di tegole e laterizi; i "quartarari", modellavano al tornio brocche destinate alla conservazione dell'acqua ( "quartare", "bummuli" e "'nziri" ); i "cannatari" producevano invece vasellame di terracotta invetriata e ceramica generica.

Ancora nel secolo XIX, Caltagirone ebbe due maestri di cui si conserva memoria: Giacomo Bongiovanni e Giuseppe Vaccaro, capaci di modellare figure in terracotta che rappresentavano una serie di personaggi della società rurale e urbana della Sicilia di allora.

Oggi - in una Sicilia che tradizionalmente rifiuta l'associazionismo - il futuro della produzione delle ceramiche calatine affida la sua tutela alla recente costituzione dell'"Associazione Produttori Ceramica di Caltagirone". Il consorzio riunisce 14 aziende locali, allo scopo di ottenere il marchio IGP ( Indicazione Geografica Protetta ), fronteggiando così la diffusione di ceramiche definite "di Caltagirone" prodotte lontano dai laboratori della cittadina catanese. 

martedì 19 agosto 2025

IL MIRACOLO DELLA "SANTUZZA" CHE ISPIRO' L'ELOGIO DI GOETHE

Fotografie di
Federico Patellani,
opera citata nel post


In un "Fascicolo Speciale" pubblicato in occasione del Natale del 1952 e dedicato alla Sicilia, la rivista "L'Illustrazione Italiana" diede conto della fede dei siciliani verso i santi patroni: da Sant'Agata a San Corrado, da Santa Lucia a Sant'Alfio. L'argomento fu esaminato in un reportage che curiosamente - e a differenza degli altri presenti nel periodico - venne firmato con le semplici iniziali dell'autore: M.R.

Buona parte dell'articolo in questione tratta della devozione dei palermitani nei confronti di Santa Rosalia, che secondo la tradizione nel 1625 liberò Palermo dalla peste. Accompagnato dal fotoreporter Federico Patellani, l'anonimo cronista scrisse il racconto dopo avere visitato il Santuario della "Santuzza", sulle pendici di monte Pellegrino



All'interno della grotta che conserva la teca con la statua della santa e gli ex voto che ne celebrano la fama di patrona, M.R. attribuì ai palermitani l'opinione secondo cui un famoso giudizio espresso da Goethe sul monte Pellegrino sia stato il frutto di un miracolo di Rosalia:  

"Fra i pellegrini del passato venuti quassù in visita al Santuario c'è anche Goethe, il quale ha descritto il monte Pellegrino come "il più bel promontorio del mondo". Una tale asserzione, secondo i palermitani, rappresenta uno dei tanti miracoli di Santa Rosalia: dopo essersi scelto questo monte per guardare dall'alto la sua città, per avere un occhio sui marinai che si spingono al largo sui fragili legni, quelli che partono in cerca di fortuna, quelli che vanno a costruirsi lontano una nuova esistenza, ha guidato la mano di Goethe, ha scritto per mano sua che è il più bel sito dell'universo..."

venerdì 15 agosto 2025

IL VOLTO LUSITANO DEL PAESAGGIO MARINO DI CEFALU'

Fotografia
Ernesto Oliva-ReportageSicilia


"Cefalù ha una dimestichezza così naturale con il mare, così modesta nelle abitudini, da ricordare certi angoli costieri lusitani. Ed è singolare - ha considerato Matteo Collura ( "Cefalù", Salvatore Sciascia Editore, Caltanissetta, 2012 ) - che si possa dire questo di un paese il cui aspetto rupestre sembra avere il sopravvento su tutto. 



Mare e pietra, ( ... ) volendo significare un connubio naturale che incanta gli amanti del mare e nello stesso tempo quanti, come me, prediligono il paesaggio rupestre"



giovedì 14 agosto 2025

IL "TRIONFO DELLA MORTE" PALERMITANO CHE ( FORSE ) ISPIRO' PICASSO

Fotografia
Ernesto Oliva-ReportageSicilia


Il "Trionfo della Morte", esposto dal 1953 all'interno di Palazzo Abatellis, a Palermo, è una delle opere d'arte più enigmatiche presenti in Sicilia; e per la mancata attribuzione - un tema di irrisolto confronto fra studiosi - e per l'ipotesi ( una suggestione sinora mai diventata documentata certezza ) che questo affresco possa avere ispirato il "Guernica" di Picasso.

Il pittore e scultore di Malaga eseguì la sua opera nel 1937, poche settimane dopo il devastante bombardamento della città basca da parte di aerei tedeschi ed italiani. Il debito di ispirazione di Picasso nei confronti del "Trionfo della Morte" sarebbe suggerito dalle analogie presenti nelle due strutture compositive e in alcuni comuni dettagli anatomici del cavallo, in particolare la testa. Su come Picasso abbia fatto dell'affresco palermitano un modello di riferimento le ipotesi offrono più variabili. La prima, indica la possibilità che l'artista spagnolo - che nel 1917 raggiunse per la prima volta l'Italia, visitando Roma, Firenze, Napoli e Pompei - abbia conosciuto il "Trionfo della Morte" palermitano attraverso una fotografia della collezione Alinari datata 1910



In un'intervista concessa al "Corriere della Sera" nel gennaio del 1998, Jean Clair, all'epoca direttore del Museo Picasso di Parigi, non escluse l'ipotesi - in verità, tiepidamente - che durante quel viaggio l'autore di "Guernica" possa avere raggiunto anche Palermo. Qui Picasso potrebbe avere avuto l'occasione di osservare l'affresco quattrocentesco ancora conservato all'interno di Palazzo Sclafani, prima del suo distacco e di un temporaneo trasferimento all'interno della Sala delle Lapidi di Palazzo Pretorio. In quell'intervista, Clair suggerì l'ipotesi che Picasso conobbe il "Trionfo della Morte" tramite una riproduzione pubblicata da un libro o da una rivista; ma infine, scelse quella secondo cui la fonte di ispirazione di "Guernica" sia stato un altro "Trionfo della Morte" attribuito al fiammingo Pieter Bruegel il Vecchio e conservato al Museo del Prado di Madrid:

"Picasso vide quel dipinto proprio durante la guerra civile spagnola. Anche se viveva a Parigi, nel 1936 venne nominato, dai repubblicani, direttore onorario del Prado. Non si può però escludere che lo stesso Bruegel abbia eseguito il suo "Trionfo" dopo un viaggio compiuto in Italia fra il 1552 ed il 1555, nel corso del quale sbarcò anche a Palermo. La sua opera è del 1562-1563. E' possibile, quindi, che il fiammingo abbia visto l'opera siciliana e che, a sua volta, Picasso, guardando quella del Prado e avendola "digerita", l'abbia fatta sua. Si potrebbe pensare che Picasso lavorò a "Guernica" avendo in mente il "Trionfo" palermitano, filtrato attraverso Bruegel il Vecchio. Le vie dell'arte sono infinite..."



Infine, ad accrescere la suggestione dell'ipotesi che accosta il "Trionfo della Morte" palermitano al nome di Picasso, c'è da ricordare una testimonianza riferita anni fa da Fabio Carapezza. Il figlio adottivo di Renato Guttuso ha affermato che il pittore di Bagheria - che ebbe modo di frequentare l'artista spagnolo - chiese proprio a Picasso se il "Guernica" fosse stato ispirato dall'affresco oggi conservato a Palazzo Abatellis. Picasso avrebbe confermato la circostanza. Non è però chiaro se abbia precisato se la scoperta sia avvenuta al cospetto dell'opera o grazie alla visione di una semplice fotografia. Chissà se un giorno un archivio o una fonte documentaria potranno sciogliere questo che è solo uno dei tanti interrogativi che rendono l'opera palermitana del secolo XV un affascinante affresco di misteri. 

 

sabato 9 agosto 2025

GLI AGRICOLTORI DELLE SALINE DI TRAPANI

Fotografie
Ernesto Oliva-ReportageSicilia


"Si scorge dall'alto di Erice, ai piedi del monte, lunga nella bassa penisola falcata che si stende sul mare, la fragile Trapani. Sembra stretta, quella città, da una parte e dall'altra, da grandi lastre di vetro, risplendenti nel sole, che sono i bassi bacini, le squadrate saline, punteggiate dai coni tronchi dei mulini a a vento sopra gli argini..."

Così Vincenzo Consolo descrisse il paesaggio della saline di Trapani nel saggio "Sicilia teatro del mondo", edito nel 1990 a Torino da Nuova Eri Edizioni Rai. Si racconta che siano stati i Fenici - popolo di mercanti in grado di creare decine di empori commerciali nel Mediterraneo dell'antichità - ad avviare la produzione trapanese del sale: un prodotto allora essenziale per la conservazione degli alimenti di origine animale.

L'attività prosegue ancor oggi, con il supporto di una meccanizzazione che non potrà mai cancellare del tutto le figure dei "salinari": agricoltori del mare muniti di scarponi di gomma, vanghe, pale e carriole.

Le vasche delle saline di Trapani, insieme a quelle di Marsala, superano i 1.000 ettari: una superficie sopravvissuta alla speculazione edilizia operata nel territorio nel secondo dopoguerra e che quest'anno dovrebbero produrre 140.000 tonnellate di sale, l'unico in Italia ad avere ricevuto il riconoscimento IGP.



Il prodotto - compreso quello pregiato ricavato dalla crosta esposta direttamente al sole, denominato "fiore di sale" - verrà esportato anche in Giappone, Canada e, con l'incognita rappresentata dai dazi, negli Stati Uniti

Quest'anno la raccolta del prodotto, che a Trapani vanta ottimali quantità di magnesio e sodio, è stata avviata con qualche settimana di anticipo. La si ripeterà a settembre, continuando un'attività di produzione e raccolta che negli ultimi sessant'anni non si è mai fermata. 



L'ultima volta, accadde nell'autunno del 1965, quando una disastrosa alluvione sommerse i cumuli di sale ed i macchinari, ricoprendo le vasche di melma: uno scenario oggi inimmaginabile al cospetto delle luccicanti "grandi lastre di vetro" descritte 25 anni dopo quella devastazione da Vincenzo Consolo.