Ventidue mesi di viaggio solitario in auto, fra le strade di tre continenti e di 33 Paesi, per un totale di 72.000 chilometri. L’impresa, che ai nostri giorni manterrebbe intatto il suo fascino, assume maggiore valore se la collochiamo temporalmente nella metà del secolo scorso. Esattamente il 31 dicembre del 1950, una vettura allestita dalla carrozzeria Monterosa di Torino su autotelaio Fiat 1100 partì da Palermo con il cofano rivolto verso Oriente e destinazione finale New York. Autore della maratona meccanica fu Franco Nacci, da poco fondatore e direttore della rivista ‘Italia Mondo’, bimestrale di “vita italiana nel mondo” pubblicato a Palermo ( la redazione era ubicata in via Mariano Stabile 60 ) e nato – come recitava nel suo box di presentazione – “per l’aiuto morale e per il contributo materiale di molti italiani ed amici d’Italia”.
Il ‘lancio’ del bimestrale, appunto, fu preceduto dal viaggio fra Palermo e le coste orientali degli Stati Uniti, per un periodo complessivo di 22 mesi: il resoconto dell’impresa venne pubblicato sul primo numero di ‘Italia Mondo’, datato aprile-maggio 1953. Il reportage della traversata automobilistica raccolto ora da REPORTAGESICILIA trasuda spirito di pionierismo. “Dopo avere attraversato lentamente tutta l’Italia – vi si legge - valicammo ai primi di marzo del 1951 il confine svizzero, dirigendoci da Domodossola su Ginevra, in una marcia notturna disperatissima, sotto una eccezionale tempesta di neve, con un tergicristallo fuori uso, un thermos senza caffè ed una radio senza musica”. Il racconto di Nacci restituisce oggi pezzi di storia europea, così come essa si presentava pochi anni dopo la fine del secondo conflitto mondiale. “Attraversate velocemente una Germania in evidente ripresa ed un’Austria ancora incrociata da pattuglie internazionali, siamo entrati da Maribor nella Jugoslavia dell’oggi presidente Tito, dove abbiamo goduto la rara possibilità di vagare e di fermarci liberamente, immagazzinando interessanti osservazioni e preziosi insegnamenti ed entrando abbastanza profondamente in contatto con l’animo di questo popolo ed i riflessi di quelle situazioni”.
La corsa europea della Monterosa-Fiat 1100, curiosamente targata PA18000, proseguì da Graz, attraverso Zagabria e Nish, sino al confine bulgaro di Dimidrograd, dove Nacci ebbe modo di notare “una pattuglia senza sorrisi, che, inesorabilmente, ci rimbalzò indietro malgrado i regolari visti dalla indivisibile ‘ cortina di ferro’”. Poi, dopo un complicato giro attraverso la Macedonia e Salonicco, il tour toccò la Turchia ed il traghettamento del Bosforo, “con un commosso arrivederci all’Europa ed un primo, preoccupato sguardo a quella temibile Asia che con le sue immense distanze, brucianti deserti e religiosi fanatismi si ergeva minacciosa ed implacabile dinanzi ad un piccolo uomo ed ad una fragile auto, soli in un mondo strano, senza la minima speranza di comprensione, simpatia od assistenza”. Da qui, il viaggio promozionale proseguì in Medio Oriente – Beirut, Damasco e Baghdad “con il suo clima impossibile e l’atmosfera poco amichevole” – sino alla capitale dell’Iran, Teheran, allora scossa dalle tensioni che anticiparono il colpo di stato ai danni del primo ministro Mohammad Hosaddeq.
Di lì a poco, il lungo viaggio avrebbe conosciuto il tratto più duro: i quasi 4.000 chilometri dei deserti dell’Iran, dell’Afghanistan e del Pakistan, percorsi in pieno agosto. Nel diario di bordo, Nacci ricordò “la temperatura media di 60°, dove uomini e vita venivano incontrati soltanto a grandissimi intervalli di vuoto, dove la benzina era difficile a trovarsi, i viveri assolutamente immangiabili e l’acqua così sporca che a guardarla attraverso un bicchiere, con un po’ di buona volontà, si potevano osservare i microbi giocare a pallanuoto”. Nel “deserto del sale”, una depressione fra Bam e Zahedan, il viaggio cominciato a Palermo rischiò di finire anzitempo, a causa di un profondo insabbiamento dell’auto, risolto “dopo 16 ore di solitario lavoro di scavo”.
L’arrivo in India – una tappa anche a Nuova Dehli ed al Taj Mahal – fu quindi il prologo all’imbarco sul ‘Bintang’, per una traversata di 22 giorni attraverso Indonesia, Filippine, Giappone ed Hawai, sino alla “grande bocca senza denti del Golden Gate bridge di San Francisco, dove ricevemmo l’affettuoso benevenuto di quella magnifica comunità italiana che, come prima cosa tenne ad offrirci una completa revisione e riverniciatura della vettura oltre al primo grosso nucleo abbonati di questa rivista”. Da qui, Nacci e la sua Monterosa-Fiat 1100 percorsero 8.000 chilometri attraverso 80 città degli Stati Uniti, confortati dall’accoglienza – e dalle sovvenzioni – delle comunità di siculo-americani. Le fatiche di guidatore e vettura ebbero quindi termine a New York; qui, dopo un mese di soggiorno e di intense ‘pubbliche relazioni’, il fondatore e direttore di ‘Italia Mondo’ si imbarcò sul ‘Biancamano’ diretto a Genova, in vista del “conclusivo colpo di freno a mano a Palermo”.
A distanza di 60 anni da quel giro del mondo targato Palermo, non conosciamo quale sia stata la sorte di Franco Nacci, né del suo bimetrale, né dell’automobile che affrontò il faticoso viaggio: e così, quel vecchio reportage rimane oggi una delle poche testimonianze di quella che Nacci definì “la storia semplice e breve di un uomo, di un’auto e di una idea proiettati in un eccezionale messaggio mobile della nostra Italia sulle più difficili ma anche più belle ed indimenticabili strade del mondo".
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