"Fra i vecchi quartieri palermitani, quello occidentale del Capo è stato in ogni tempo il più depresso, costantemente disertato dalle grandi costruzioni civili e religiose. Formatosi in età araba, fu ricetto di mercanti di schiavi, di marioli di ogni risma, di plebe minuta; nè diverso è oggi il paesaggio umano della povera gente che vive di espedienti, al margine della legge e della civilità".
Agli inizi degli anni Sessanta dello scorso secolo, quando il centro storico di Palermo visse il periodo di più oscuro abbandono - e cioè negli anni del furioso 'sacco edilizio' politico-mafioso delle aree urbane lontane dal centro storico - il critico d'arte palermitano Giuseppe Bellafiore così descriveva il degrado del Capo, uno dei vecchi mercati di origine araba in città.
In quel periodo, il mercato popolare per eccellenza a Palermo era ancora quello della Vucciria; lo animavano decine e decine di venditori ambulanti che sarebbero stati il soggetto, nel corso del 1974, della più nota opera pittorica di Renato Guttuso.
Oggi, la Vucciria ha perso quasi completamente l'aspetto vivido e vociante delle sue botteghe, insieme affascinante e repulsivo; ed è il mercato del Capo, da 11 secoli incassato nella bassura urbana stretta fra il Palazzo di Giustizia, la piana del Papireto e la via Maqueda, ad eternare nell'era degli ipermercati e dei centri commerciali l'acquisto 'faccia a faccia' con il pescivendolo, il carnezziere, il droghiere od il fruttivendolo.
La ricchezza dei suoi generi alimentari veniva così spiegata già nel 1615 da Vincenzo Di Giovanni, che nell'opera 'Palermo restaurato' descriveva il Capo come una "buona piazza ed abbondante di ogni sorta di frutti, per essere più propinqua ai giardini, e di pesci per essere nella strada di Carini e di Castellammare" ( Rosario La Duca, 'La città passeggiata', L'Epos, volume III, 2003 ).
Rispetto al degrado descritto 50 anni fa da Bellafiore, nella Palermo del 2011 poco o nulla è cambiato al Capo: neppure quella evidente pratica dell'espediente - insieme a verdure e pesci, vengono offerti cd contraffatti, oggetti frutto di ricettazione e dosi di hashish o cocaina - che rimane l'ineludibile prospettiva di chi continua ad abitare nello sfascio edilizio delle vie del quartiere.
Immergersi tra le viuzze del Capo, lasciarsi quasi guidare dalla corrente umana dei suoi abitanti o dei palermitani che ancora vi acquistano i generi alimentari, è un'esperienza che, superata la prima barriera del folclore ( compreso quello sul rischio degli scippi ), conduce direttamente al cuore dell'essenza palermitana: una città che è l'immagine della speranza ed insieme è la sua negazione, prigioniera di una antica abitudine a sopravvivere al degrado.
Tutte le foto postate sono realizzate da REPORTAGE SICILIA
Adoro il mercato del Capo: attraversarlo è un'esperienza che ogni volta mi arricchisce come essere umano e, culturalmente, come donna mediterranea; ma, soprattutto, smuove i sensi con i suoi colori, i profumi e le voci di una Palermo di cui mi sono innamorata.
RispondiEliminaK