L'appassionata ricerca dei legami storici tra l'isola e il suo Paese nel saggio "La Sicilie" di un diplomatico francese, edito in Italia nel 1968 da Cappelli
Primo segretario dell'ambasciata di Francia a Roma fra il 1946 ed il 1955, Pierre Sébilleau fu un appassionato cultore dell'Italia ( al punto da occuparsi della questione meridionale in "L'Italie des contrastes" ) e, soprattutto, viaggiatore attento della Sicilia.
All'isola il diplomatico francese dedicò infatti il saggio "La Sicilie", pubblicato in Francia nel 1966 da Editions Arthaud e tradotto in Italia da Cappelli nel 1968.
L'opera si legge ancor oggi con il gusto della scoperta di numerose notazioni sulla vita e sul costume della Sicilia e dei suoi abitanti, ben oltre le scontate descrizioni di Palermo, Catania, Agrigento, Siracusa, Taormina o Erice.
Al termine delle 148 pagine del reportage, l'autore potrà così scrivere parole di lucida verità sull'identità siciliana:
"Abituati come vi siete, ormai, ai contrasti siciliani, vi sembrerà del tutto naturale che l'Isola triangolare possa essere luminosa e scura, immensamente ricca e immensamente povera, Paradiso terrestre e paese fra i meno sviluppati d'Europa.
Voi lo vedete adesso come realmente è, terra ad immagine dell'uomo, cioè con pregi e difetti, e in cui l'uomo che è in voi, quale esso sia, ha conosciuto in pieno la gioia di vivere"
Le attenzioni di Sébilleau - viaggiatore girovago e amante delle divagazioni su strade interne e vallate solitarie dell'isola - furono rivolte anche alla ricerca dei legami storici fra la Sicilia e la Francia.
Nel libro sono ad esempio ricorrenti i riferimenti alla guerra del Vespro:
"E' inutile che cerchiate a Palermo tracce sicure dell'occupazione francese.
Tuttavia, se il vostro patriottismo non se ne avrà a male, potrete andare a vedere, in un vecchio cimitero posto a Sud della città, l'austera chiesa di Santo Spirito, sul cui sagrato quella occupazione si concluse nel bagno di sangue dei Vespri Siciliani..."
Pierre Sébilleau invita quindi il lettore francese a viaggiare lungo le tortuose strade della provincia di Enna per raggiungere Sperlinga.
Il pretesto di questa tappa siciliana rimanda ancora una volta ai fatti del 1282:
"Questa misera borgata, infatti, ha meritato il motto che potrete leggere sulle rovine della sua piccola fortezza, sempre che ve la sentiate di scalare la colossale lastra di pietra inclinata in cima alla quale esso è scolpito, 'quod Siculis placuit, sola Sperlinga negavit', quando, cioè, i siciliani si decisero a fare i 'Vespri Siciliani', solo Sperlinga si rifiutò di associarsi alla cacciata dei Francesi e diede, anzi, loro asilo.
Per questo, sembra che sussista qualche traccia della nostra lingua nella parlata locale..."
Quindi il diplomatico francese raggiunge Nicosia, ammirando la sua disposizione scenografica sui fianchi di quattro rupi.
Sébilleau ricorda che durante il medioevo il paese fu ripopolato da immigrati "venuti dall'Italia del Nord e principalmente dal Piemonte".
Da qui, il dubbio di questo attento narratore della Sicilia:
"Ci domandiamo, allora, donde può venire il suo nome ellenistico, e anche cipriota, quando sappiamo benissimo che nel periodo della dominazione greca essa si chiamava Herbita.
Non potrebbe trattarsi di una fantasia del suo benefattore, l'imperatore Federico II, sempre lui, la cui memoria e le cui infinite cognizioni sarebbero state colpite dall'aspetto singolarissimo di questa zona?
In realtà, quando, venendo dall'Ovest, salirete verso Nicosia in mezzo a un bosco di pini a ombrello, vi vedrete comparire davanti delle rocce che vi faranno subito pensare alle Meteore di Tessaglia.
Questi pani di zucchero di calcare che sorreggono, l'uno un castello, l'altro una chiesa, sono stati, del resto, la disgrazia della città, precipitando su di essa nel 1757.
Ne deriva che Nicosia è essenzialmente XVIII secolo, con prospetti barocchi un pò ricercati ma piacevoli.
Le frane hanno tuttavia risparmiato la cattedrale, il suo campanile e il portico laterale, che sono gotici.
Davanti a questo insieme gotico circondato da costruzioni rococò, in questa cittadina siciliana che porta un nome greco, dove si usano parole di origine quasi francese, vi sentirete abbastanza lontani dal regno di Demetra e, forse, anche dalla Sicilia, e avrete la fuggevole impressione di essere a casa vostra.
Sarà come una sosta nel vostro viaggio, che, senza dubbio, non vi farà rimpiangere la variante di Nicosia"
"Trasporto in comune a Nicosia", questa la didascalia della fotografia di M. Bernard Aury pubblicata nel saggio di Pierre Sébilleau "La Sicilie", edito in Italia nel 1968 da Cappelli |
Primo segretario dell'ambasciata di Francia a Roma fra il 1946 ed il 1955, Pierre Sébilleau fu un appassionato cultore dell'Italia ( al punto da occuparsi della questione meridionale in "L'Italie des contrastes" ) e, soprattutto, viaggiatore attento della Sicilia.
All'isola il diplomatico francese dedicò infatti il saggio "La Sicilie", pubblicato in Francia nel 1966 da Editions Arthaud e tradotto in Italia da Cappelli nel 1968.
L'opera si legge ancor oggi con il gusto della scoperta di numerose notazioni sulla vita e sul costume della Sicilia e dei suoi abitanti, ben oltre le scontate descrizioni di Palermo, Catania, Agrigento, Siracusa, Taormina o Erice.
Al termine delle 148 pagine del reportage, l'autore potrà così scrivere parole di lucida verità sull'identità siciliana:
"Abituati come vi siete, ormai, ai contrasti siciliani, vi sembrerà del tutto naturale che l'Isola triangolare possa essere luminosa e scura, immensamente ricca e immensamente povera, Paradiso terrestre e paese fra i meno sviluppati d'Europa.
Voi lo vedete adesso come realmente è, terra ad immagine dell'uomo, cioè con pregi e difetti, e in cui l'uomo che è in voi, quale esso sia, ha conosciuto in pieno la gioia di vivere"
Le attenzioni di Sébilleau - viaggiatore girovago e amante delle divagazioni su strade interne e vallate solitarie dell'isola - furono rivolte anche alla ricerca dei legami storici fra la Sicilia e la Francia.
Nel libro sono ad esempio ricorrenti i riferimenti alla guerra del Vespro:
"E' inutile che cerchiate a Palermo tracce sicure dell'occupazione francese.
Tuttavia, se il vostro patriottismo non se ne avrà a male, potrete andare a vedere, in un vecchio cimitero posto a Sud della città, l'austera chiesa di Santo Spirito, sul cui sagrato quella occupazione si concluse nel bagno di sangue dei Vespri Siciliani..."
Pierre Sébilleau invita quindi il lettore francese a viaggiare lungo le tortuose strade della provincia di Enna per raggiungere Sperlinga.
Il pretesto di questa tappa siciliana rimanda ancora una volta ai fatti del 1282:
"Questa misera borgata, infatti, ha meritato il motto che potrete leggere sulle rovine della sua piccola fortezza, sempre che ve la sentiate di scalare la colossale lastra di pietra inclinata in cima alla quale esso è scolpito, 'quod Siculis placuit, sola Sperlinga negavit', quando, cioè, i siciliani si decisero a fare i 'Vespri Siciliani', solo Sperlinga si rifiutò di associarsi alla cacciata dei Francesi e diede, anzi, loro asilo.
Per questo, sembra che sussista qualche traccia della nostra lingua nella parlata locale..."
Quindi il diplomatico francese raggiunge Nicosia, ammirando la sua disposizione scenografica sui fianchi di quattro rupi.
Sébilleau ricorda che durante il medioevo il paese fu ripopolato da immigrati "venuti dall'Italia del Nord e principalmente dal Piemonte".
Da qui, il dubbio di questo attento narratore della Sicilia:
"Ci domandiamo, allora, donde può venire il suo nome ellenistico, e anche cipriota, quando sappiamo benissimo che nel periodo della dominazione greca essa si chiamava Herbita.
Non potrebbe trattarsi di una fantasia del suo benefattore, l'imperatore Federico II, sempre lui, la cui memoria e le cui infinite cognizioni sarebbero state colpite dall'aspetto singolarissimo di questa zona?
In realtà, quando, venendo dall'Ovest, salirete verso Nicosia in mezzo a un bosco di pini a ombrello, vi vedrete comparire davanti delle rocce che vi faranno subito pensare alle Meteore di Tessaglia.
Questi pani di zucchero di calcare che sorreggono, l'uno un castello, l'altro una chiesa, sono stati, del resto, la disgrazia della città, precipitando su di essa nel 1757.
Ne deriva che Nicosia è essenzialmente XVIII secolo, con prospetti barocchi un pò ricercati ma piacevoli.
Le frane hanno tuttavia risparmiato la cattedrale, il suo campanile e il portico laterale, che sono gotici.
Davanti a questo insieme gotico circondato da costruzioni rococò, in questa cittadina siciliana che porta un nome greco, dove si usano parole di origine quasi francese, vi sentirete abbastanza lontani dal regno di Demetra e, forse, anche dalla Sicilia, e avrete la fuggevole impressione di essere a casa vostra.
Sarà come una sosta nel vostro viaggio, che, senza dubbio, non vi farà rimpiangere la variante di Nicosia"
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