La disagiata vita quotidiana e la sofferta convivenza dei 1255 isolani con i 130 detenuti al confino in un reportage di Flavio Colutta pubblicato dalla rivista "Le Vie d'Italia"
Nel dicembre del
1955 la rivista mensile del TCI "Le Vie d'Italia" pubblicò un reportage su
Ustica.
L'isola 36 miglia al
largo di Palermo non era allora ancora diventata una località turistica; i suoi
1255 abitanti - in gran parte contadini e pescatori - vivevano lontani
da quel modello di evoluzione dei costumi e dei consumi che all'epoca stavano
per cambiare il volto di gran parte dell'Italia.
Il resoconto del
giornalista Flavio Colutta è così un documentato e dimenticato quadro delle
condizioni di vita degli usticesi di sessant'anni fa, quando l'isola ospitava 130
confinati ed una cinquantina fra poliziotti e carabinieri.
Il cronista de
"Le Vie d'Italia" diede subito conto delle suggestioni naturali
dell'isola e della sua natura vulcanica, sulla quale l'uomo non ha potuto
neppure imporre una qualche significativa opera architettonica:
"Le acque, chiare e profonde, a loro volta vi
assumono colorazioni stupende, sembrano sprigionare fumo.
A stento si supera il primo momento dell'angoscia, e
quello della meraviglia...
... Ustica selvatica lo è, da alcuni versanti;
insomma, è un'isola ora di travolgente bellezza, ora impervia e primordiale; e
sui cui dardeggia una luce candida e perpetua, che definisce le cose con
precisione geometrica.
Spesso i venti la investono creandovi il diavolo a
quattro. Opere d'arte non ve ne sono...
... Risalendo per le stradine che percorrono il paese,
s'incontrano casette amabili dipinte di colori tenui con un aspetto tra idilliaco
e abbandonato, dai tetti di battuto o coperte di tegole giallastre, scalette
esterne e alcune ville signorili, basse e bene abitabili, come isole circondate
da freschi giardini pieni di fiori.
Il vecchio piroscafo "Ustica" getta l'ancora nella cala piccola di Santa Maria |
La campagna appare disseminata di casette, piccoli
dadi bianchi nello stile appreso dalle fogge eoliane, dalle finestre piccole e
dagli spessi muri.
Serbano queste una fattezza idilliaca.
Davanti sorgono da un ripiano in muratura, che
sostiene poca terra, la vite a pergolato, e il loggiato a colonne cilindriche.
Ve ne sono esempi bellissimi...
... Su questo atollo, ora rossastro, ora nero, ora
bianco come di calce, placidi ripiani, contrade pianeggianti verdi di grano e
di siepi di fichidindia, prati, qualche boschetto, coltivi cinti da muretti a
secco, campi di vite bassissime, ci hanno accompagnati lungo tutto il cammino.
S'incontrano olivi, alberi da frutta, mandorli,
salici, qua e là fiori stranissimi fanno ressa, i contadini lavorano ogni
giorno a respingere la vegetazione invadente.
Quando si giunge alla Fortezza, in vetta all'altura
del Capo Falconara, è un colpo di scena, si spalanca un panorama ridente, e
siccome la natura non fa scorgere gli uomini che l'abitano, una grande visione
di pace e di serena bellezza premia chi è salito lassù e si è arrestato un
attimo prima di scendere fra le basse casette del paese.
Quattro volte alla settimana ci va, da Palermo, una
nave veneranda, l'"Ustica", un bastimento di 550 tonnellate (
velocità oraria miglia 12 ) costruito nel 1905 da un cantiere inglese.
Lo scorbutico braccio di mare che separa l'isola dalla
Sicilia è di quelli che fanno tremare i polsi, ma la vecchia carretta tiene
ancora benissimo.
Un gruppo di usticesi nel 1955, composto per lo più' da contadini e pescatori. Il reportage di Flavio Colutta mise in luce le difficili condizioni economiche degli isolani |
Rare sono le volte che l'"Ustica" non esce
dal porto di Palermo per il maltempo, ce lo dissero in molti all'isola, buttando
là la notizia con l'aria di poco conto.
La nave entra come in punta di piedi nella piccola
cala di Santa Maria, e getta l'ancora a qualche centinaio di metri dalla costa.
Il porticciolo si presenta ameno.
Subito le barche degli isolani si avvicinano per
venire a prendere i passeggeri.
Il paese, chiaro se non proprio bianco, sta poco sopra
il molo, e per raggiungerlo si percorre una strada a rampe dal fondo bitumato
che si svolge tra due file di casette.
Il piano dell'abitato, con al centro una lunga piazza
rettangolare, e con le vie ad angolo retto, è organico e simmetrico.
Sulla piazza si ammassano le botteghe dei generi
diversi, il cinema, l'ufficio postale, due rivendite di tabacchi, qualche
caffè.
In fondo sta la chiesa moderna, di architettura pretenziosa,
di fianco alla chiesa emerge il palazzo municipale..."
Lo sguardo del
cronista esamina quindi a fondo le disagiate condizioni economiche degli
isolani.
Il frazionamento
della proprietà terriera e l'assenza di adeguate attrezzature per l'agricoltura
e la pesca costringevano decine di famiglie - notò Colutta - "ad una vita ben grama, una miseria
crescente e spaventosa".
"Veramente si vorrebbe che il Paese - scriverà ancora il giornalista del TCI - cui gli usticesi diedero
nelle guerre la loro parte di morti, si facesse una buona volta perdonare un
abbandono che dura da decenni, interessandosi subito, e a fondo, dell'esistenza
di quei 1200 italiani sperduti in mezzo al mare, a sessanta chilometri da
Palermo.
L'emigrazione ha svuotato l'isola.
Tutto andò bene fino alla metà del secolo scorso.
Allora la popolazione era di 3600 abitanti.
Poi cominciò l'esodo.
I dati del 1931 indicavano una popolazione di 2171
anime.
Ora gli abitanti sono 1255, e sembra prevedibile che
entro qualche decennio l'isola si faccia deserta.
La colpa è della scarsezza dei mezzi di sussistenza.
La popolazione può dividersi in due categorie:
contadini e pescatori.
Una strada interna dell'isola, con i muretti a secco a dividere la frazionata proprietà terriera |
Il territorio è coltivato per il cinquanta per cento (
450 ettari ); l'altro cinquanta per cento è costituito da zone improduttive.
Il frazionamento della proprietà è straordinario; la
media è di due tre ettari a famiglia, un boccone di terra.
Che cosa ricava una famiglia?
Sette quintali di grano, un pò di uva, fave,
lenticchie, orzo, un asino, un bue.
Può vivere con questo una famiglia?
L'ottanta per cento dei contadini ha debiti con i
bottegai.
Tanti quanti siamo riusciti a interrogarne, a
mezzogiorno mangiano un pezzo di pane e una manciata di fichi, la sera un
piatto di pasta.
Le tasse li opprimono.
La terra è sfruttata fino all'inverosimile; i metodi
agricolo sono antiquati, l'aratura si fa ancora con il vomere a chiodo; l'uso
dei fertilizzanti è stato introdotto da appena un anno.
Alle 250 famiglie di contadini ( coltivatori diretti e
affittuari ) si debbono aggiungere i braccianti agricoli, una trentina in
tutto, che qui si pagano dalle 500 alle 800 lire al giorno.
La parte più infelice è però costituita dai pescatori.
Il mare di Ustica è ricchissimo, raramente le reti
vengono su vuote, abbiamo udito dire.
Ma i pescatori di Ustica non sono attrezzati meglio
dei contadini.
Non c'è un solo motopeschereccio, né una barca a
motore.
Pochissime le barche armate di reti, le reti costano
molto, e soldi non ce ne sono.
Fatti i conti, un pescatore, in una stagione di buona
pesca, riesce a guadagnare in media 300 lire al giorno.
Ma sono da calcolare le tasse e i periodi d'inazione,
quando il mare è cattivo ( d'inverno s'incrociano le braccia per mesi ).
La situazione è poi aggravata dalla concorrenza dei
motopescherecci che vengono dalla Sicilia e setacciano il mare, e dai pescatori
di frodo che catturano il pesce con le bombe.
Una vita ben grama, una miseria crescente e
spaventosa..."
Agli occhi di Flavio
Colutta, l'Ustica della metà degli anni Cinquanta è un'isola con gravi disagi
infrastrutturali, che la isolano ancora di più dal resto dell'Italia:
"Ustica ha avuto l'edificio scolastico, poi
l'ospedale, poi cinque chilometri di strade carrozzabili, poi dodici case
dell'INA.
Ma le strade attendono nuovi fondi per essere
completate, la costruzione di un pontile da sbarco è ritenuta a ragione
indispensabile, occorre un acquedotto, l'energia elettrica per tutte le
ventiquattro ore al giorno, l'armadio farmaceutico aspetta da tempo una
dotazione di medicinali.
Il paese ha fognatura, luce elettrica, limitatamente
però alle ore serali e notturne; quasi ogni casa è fornita di cisterna, in più
ci sono sei cisterne comunali alimentate dall'acqua potabile che viene da
Palermo e da Messina coi mezzi della Marina Militare.
L'acqua di cisterna è purissima, ci ha detto il medico
condotto, dottor Fazio.
La proporzione fra natie morti è generalmente di 25
nati e 15 morti.
Le scuole sono ben frequentate; presentemente gli
allievi delle elementari sono 160.
Poche sono le famiglie che non posseggono un
apparecchio radio; alla sera i giovani si danno convegno nelle stanzette del
Circolo della Cultura, fondato nel 1954..."
Colonia di confinati
sin dai tempi dei capi abissini di Dogali e di Adua, poi
dei prigionieri di Cirenaica e, fra il 1930 ed il 1932, di alcuni notabili
libici, nel 1955 Ustica viveva il recente ricordo dei confinati politici qui
raccolti dal fascismo.
L'isola continuava
ancora ad ospitare una colonia di detenuti per reati comuni, quasi tutti
alloggiati in affitto nelle abitazioni degli usticesi.
Le regole
permettevano loro di vivere nel centro del paese e imponevano di non
allontanarsi verso il mare o le zone interne, tramite l'indicazione lungo le
strade di nere strisce di catrame.
La loro parziale
libertà di movimento era limitata alle ore diurne; al tramonto e sino alle
sette del mattino, i detenuti avevano l'obbligo di rimanere nei loro alloggi.
"Pochi sono
quelli che lavorano: uno fa il calzolaio, un altro il sarto, qualche sardo mena
le greggi al pascolo - documenta il reportage di Flavio Colutta - tuttavia i
più passano la giornata senza far nulla.
Le baruffe sono
all'ordine del giorno. Non si sa che cosa mangino.
La fetta più vistosa
della 'mazzetta', le 350 lire che lo Stato corrisponde loro, la lasciano dai
due tabaccai e al bar della piazza.
Gli usticesi,
unanimi nel negare che i 130 confinati, con 30 carabinieri e 18 agenti di
polizia, portino un valido contributo all'economia dell'isola, d'altra parte
attribuiscono alla zona di confine i guai che l'affliggono e ne ritardano il
progresso"
Al termine del suo
racconto, Colutta affronta il tema dello sviluppo del turismo, all'epoca quasi
del tutto inesistente ad Ustica.
Il cronista incontrò
la baronessa Anna Notarbartolo di Sciara, all'epoca da nove anni sindaco dell'isola
e personaggio ancor oggi qui ricordato per avere allora guidato l'accesa protesta
di una delegazione di pescatori usticesi a Roma.
"La
baronessa Anna Notarbartolo di Sciara è chiamata da tutti la Sindaco.
E' una donna
energica, dalle risorse infinite, piena di entusiasmo, che non sta certo chiusa
nella sua casa, ma combatte quotidianamente per il suo paese, scrive lettere,
spedisce telegrammi, tempesta Palermo e Roma con domande e proposte
appassionate.
Parlandoci
della sua isola, quasi si commuove..."
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