Una pagina di Edmondo De Amicis celebra la gloria dimenticata di quella che fu una delle più ricche e influenti metropoli del Mediterraneo
Fu nel 1906 che Edmondo De Amicis compì nell'Isola quel tour che due anni dopo sarebbe stata postuma materia di "Ricordi d'un viaggio in Sicilia", edito a Catania da Giannotta.
Fu nel 1906 che Edmondo De Amicis compì nell'Isola quel tour che due anni dopo sarebbe stata postuma materia di "Ricordi d'un viaggio in Sicilia", edito a Catania da Giannotta.
Quello di De Amicis fu un viaggio concentrato soprattutto nel capoluogo etneo, grazie all'ospitalità offertagli da Luigi Capuana e alla vecchia amicizia con Mario Rapisardi.
Nelle 160 pagine dell'opera, lo scrittore di Oneglia raggiunse Siracusa.
L'impressione che ne ebbe fu quella di una città dalla grandezza perduta; i pochi monumenti ancora visibili di una delle più ricche città dell'antichità impediscono allo scrittore di percepire l'atmosfera di quella gloria persa da secoli.
L'impressione che ne ebbe fu quella di una città dalla grandezza perduta; i pochi monumenti ancora visibili di una delle più ricche città dell'antichità impediscono allo scrittore di percepire l'atmosfera di quella gloria persa da secoli.
Siracusa - la metropoli un tempo protetta da ventidue chilometri di mura e decaduta a partire dalla conquista dei Romani - gli appare ristretta nel vecchio budello urbano di Ortigia, sede periferica di una Prefettura e priva pure di un quotidiano che ne racconti le cronache locali.
La modestia della città moderna - nota De Amicis - è espressa anche dal carattere dei siracusani, da lui indicati più "miti e gentili" rispetto al resto dei siciliani; un giudizio in seguito espresso da altri viaggiatori e materia di velato dileggio nel resto dell'Isola ( "Siracusa provincia babba" ):
"Quale delle città decadute, o scomparse, del mondo antico ha conservato, dopo Atene e Roma, una così vasta fama come Siracusa?
C'è un uomo in Europa o in America, tra i meno colti delle classi non affatto ignoranti, il quale nel naufragio delle memorie scolastiche non ritrovi quel nome, e legati con quelli altri ricordi confusi d'uomini grandi, di grandi fatti, d'opere meravigliose dell'ingegno umano?
E si può ben sapere che la grandezza della città famosa non è più ora che nel suo nome; ma chi non la vide mai si avvicina con la mente così piena delle antiche memorie che, arrivandovi, dal contrasto del suo stato e del suo aspetto presente con la Siracusa della propria immaginazione riceve come la scossa di un disinganno, dal quale durerà fatica a riaversi.
Quella che un tempo la città più famosa d'Europa per ricchezza, potenza, cultura - la più vasta del mondo greco - che aveva un'area maggiore di quella di Roma fra le mura di Aureliano e poco minore di quella che ebbe Parigi sotto Napoleone III - quella Siracusa contro cui si spezzò la potenza di Atene, e a cui rimase per secoli legata la sorte della Sicilia, da ogni parte della quale accorreva gente a stabilirvisi come in una metropoli inespugnabile, predestinata al dominio del mondo - e non è più che una piccola città ristretta in quella piccola Isola d'Ortigia, dove ebbe nascimento or son ventisette secoli, una modesta sede di Prefettura di men di trentamila abitanti, che ha per presidio due battaglioni di soldati e non ha alcun giornale quotidiano.
Anche le sue vie maggiori sono strette, fiancheggiate di case modeste, e le minori così anguste che le carrozze, non potendovi passare, debbono fare spesso dei lunghi giri per andare da un punto della città a un altro vicinissimo, dove un pedone si reca in pochi passi.
Nell'aspetto degli edifici, nell'andamento della vita cittadina, nell'aria stessa degli abitanti c'è un non so che di quieto e di raccolto in cui il vostro spirito si riposa come nella serenità di un villaggio tranquillo.
Hanno infatti fama i Siracusani d'essere la più mite e gentile popolazione dell'isola.
Del passato non rimangono che poche colonne di un tempio di Diana, poche rovine di bagni, qualche casa d'epoca normanna.
Si può chiamare un resto del passato la celebrata Fontana?
La povera Aretusa, cangiata in sorgente da Alfeo innamorato, che la inseguì dall'Elide fino in Sicilia, è chiusa in profondo bacino semicircolare, piantato da papiri e occupato in parte da un giardinetto, del quale un custode tiene le chiavi, e dove i buoni borghesi conducono i bambini a veder guizzare i pesci rossi.
Eppure, che meraviglioso fascino hanno ancora le antiche favole mitologiche!
Voi vi trattenete là a guardar quell'acqua, fantasticando, cercando intorno qualche cosa, non sapete che cosa, e vi riscotete come da un sogno quando, nell'alzar gli occhi sopra la facciata di una delle case di fronte, vedete annunziato che quella sera si rappresenta 'Il Barbiere di Siviglia'..."
Nessun commento:
Posta un commento