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lunedì 1 luglio 2019

LA METAFORA DELLA PIETA' DEL CRETTO DI BURRI A GIBELLINA

Fotografia
Ernesto Oliva-ReportageSicilia

Il Grande Cretto che Alberto Burri ha costruito sulle rovine di Gibellina è probabilmente un'opera unica al mondo.
L'idea di compattare in 122 isole di bianchissimo cemento buona parte delle macerie del paese del Belìce distrutto dal terremoto del 1968 è stata del resto il frutto di una personale e folgorante suggestione.
Storia vuole infatti che l'artista di Città di Castello, invitato da Ludovico Corrao a Gibellina Nuova nel 1981, abbia deciso di realizzare il suo Cretto dopo una visita al tramonto alle rovine del paese.


Fotografia
Ernesto Oliva-ReportageSicilia

Alberto Burri e le rovine di Gibellina.
La fotografia è esposta all'interno
del Museo del Grande Cretto,
allestito nella ex chiesa di Santa Caterina


In precedenza, Burri era stato condotto da Corrao dinanzi ai resti di quella Sicilia "classica" pure così lontana dalle espressioni di architettura contemporanea realizzate nel progetto urbanistico di Gibellina Nuova: il tempio di Segesta e le immense rovine di Selinunte.


Costruzione del Grande Cretto, e, in basso,
altre immagini della progettazione
e realizzazione dell'opera.
L'ultima immagine ritrae Alberto Burri
accanto ad un isolato colmato dal cemento.
Fotografie esposte all'interno della
ex chiesa di Santa Caterina

Il Grande Cretto di Gibellina - esteso circa 12 ettari - è così un grande sudario che ha eternato la memoria del catastrofico evento ( le vittime, a Gibellina, furono 111 ) sigillando le pietre, gli intonaci, gli arredi e gli oggetti di quella vita quotidiana interrotta per sempre dalla forza della natura e dalla fragilità costruttiva degli edifici.
L'opera - che ricostruisce il tessuto urbanistico del vecchio paese - venne avviata nel 1984; dopo un'interruzione nel 1989, è stata definitivamente completata e restaurata nel 2015.






Da qualche settimana, un vicino Museo allestito all'interno della ex chiesa di Santa Caterina ( anch'esso, come il Grande Cretto, bianchissimo ) ne illustra efficacemente la storia.
   
"Se quel gran lenzuolo bianco steso da Burri sulle rovine del terremoto è metafora quasi esemplare della pietà - ha scritto Antonino Cusumano in "La strada maestra, memoria di Gibellina" ( Comune di Gibellina, 1997 ) la morfologia delle crepe che scolpiscono il paesaggio sembra essere figurazione della terra che ha tremato, riproposizione simbolica dell'antico tracciato viario.
Rimuovendo e rimodellando i segni della catastrofe nelle forme di un eccezionale sacrario, si restituisce paradossalmente la vita a ciò che che sarebbe destinato a diventare 'natura morta', si ricostituisce nei percorsi riportanti alla luce la trama spezzata della comunità, si ricompone l'orizzonte del paese nel quale è ancora possibile identificarsi, pur nell'inarrestabile allargarsi e dilatarsi delle latitudini dell'universo.
In quel magico labirinto di stretti varchi e tortuosi passaggi nessun pellegrino rischierà di perdersi, se seguirà la strada maestra della memoria" 

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