Una scogliera di Pantelleria. Foto di Nino Teresi, pubblicata nel settembre del 1970 dalla rivista "Sicilia" |
L'ultima volta che ho messo piede a Pantelleria in aereo è stata la prima ed unica volta che ho sperimentato la paura provocata da una discesa fra violente raffiche di vento, accompagnate da una serie di interminabili cadute nel vuoto dell'ATR 42 seguite da una brusca risalita e dall'annuncio di un forzato ritorno a Palermo.
Se il mio viaggio non fosse stato reso necessario da motivi di lavoro, mi sarei risparmiato - qualche ora dopo - il brivido di un secondo tentativo di atterraggio sulla pista pantesca caparbiamente messo a segno dal pilota.
L'accaduto mi ha fatto riflettere su un'opinione corrente che circola su Pantelleria; quella secondo cui quest'isola aspra e nera di roccia vulcanica, priva di spiagge, con un mare blu cobalto, un lago luccicante incassato fra le colline, una montagna che supera gli 800 metri di altezza, una campagna ricca di frutti e di "dammusi" arabi abitati da milanesi, possa suscitare in un nuovo visitatore stati d'animo contrastanti.
Più di altre isole siciliane, cioè, Pantelleria si ama o si detesta, proprio per la forza dominante del paesaggio e di una natura in cui gli elementi padroni sono il vento, il mare e le rocce modellate dal fuoco vulcanico.
Di questo carattere di Pantelleria ha così scritto Giosuè Calaciura:
"Pantelleria - si legge in "Pantelleria. L'ultima isola" ( Editori Laterza, 2016 )- è diversa da tutte le altre per conformazione e sentimento, isola di magnetismi di poli opposti che si respingono, si attraggono, la mantengono galleggiante.
Contraddizioni palpabili, a volte sino al rifiuto.
Al molo, nei pomeriggi di 'malura' di pesce perché la corrente è 'cuntrariusa', o perché anche le creature acquatiche restano sgomente dei luoghi del sottomare, i pescatori di canna si raccontano leggende di viaggiatori sbarcati che nell'urgenza del loro malessere hanno trascinato i trolley lungo tutta la banchina, sono entrati nell'ufficio Siremar e hanno acquistato i biglietti per il loro ritorno immediato con lo stesso traghetto all'isola madre, a Trapani, nell'incongruenza di quanto sembri più rassicurante la Sicilia, tutto il mondo, da Pantelleria..."
L'accaduto mi ha fatto riflettere su un'opinione corrente che circola su Pantelleria; quella secondo cui quest'isola aspra e nera di roccia vulcanica, priva di spiagge, con un mare blu cobalto, un lago luccicante incassato fra le colline, una montagna che supera gli 800 metri di altezza, una campagna ricca di frutti e di "dammusi" arabi abitati da milanesi, possa suscitare in un nuovo visitatore stati d'animo contrastanti.
Più di altre isole siciliane, cioè, Pantelleria si ama o si detesta, proprio per la forza dominante del paesaggio e di una natura in cui gli elementi padroni sono il vento, il mare e le rocce modellate dal fuoco vulcanico.
Di questo carattere di Pantelleria ha così scritto Giosuè Calaciura:
"Pantelleria - si legge in "Pantelleria. L'ultima isola" ( Editori Laterza, 2016 )- è diversa da tutte le altre per conformazione e sentimento, isola di magnetismi di poli opposti che si respingono, si attraggono, la mantengono galleggiante.
Contraddizioni palpabili, a volte sino al rifiuto.
Al molo, nei pomeriggi di 'malura' di pesce perché la corrente è 'cuntrariusa', o perché anche le creature acquatiche restano sgomente dei luoghi del sottomare, i pescatori di canna si raccontano leggende di viaggiatori sbarcati che nell'urgenza del loro malessere hanno trascinato i trolley lungo tutta la banchina, sono entrati nell'ufficio Siremar e hanno acquistato i biglietti per il loro ritorno immediato con lo stesso traghetto all'isola madre, a Trapani, nell'incongruenza di quanto sembri più rassicurante la Sicilia, tutto il mondo, da Pantelleria..."
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