L'obelisco con la statua dell'Elefante in piazza Duomo, a Catania. La foto è tratta dal numero speciale "Sicilia oggi" pubblicato dalla rivista "Illustrazione Nazionale" nel maggio del 1959 |
"L'ipotesi che noi crediamo più attendibile - ha scritto Santi Correnti a proposito dell'origine e del significato dell'elefante di pietra lavica in piazza Duomo ( il "liotru", simbolo della città ) - è la quinta, espressa dall'insigne archeologo sicilianio Biagio Pace.
Il quale - ha scritto Correnti in "Leggende di Sicilia" ( Palumbo, Palermo, 1993 ) - basandosi sulle descrizioni del geografo arabo Idrisi, che viaggiò in Sicilia nel periodo 1145-1154, per ordine del re normanno Ruggero II, ne ha accettato l'interpretazione, confermando che si tratta di una statua magica, cioè di un vero e proprio talismano, costruito in età bizantina, e posto fuori le mura della città, per difendersi dalle offese dell'Etna.
Ma perché i catanesi vollero scegliere proprio un elefante come loro simbolo?
La ragione profonda è insita nella coscienza popolare, che ha creato la leggenda antica da noi già ricordata, secondo la quale un elefante avrebbe messo in fuga tutti gli animali nocivi alla nascente Catania.
E i catanesi vollero addirittura avere sotto i loro occhi il talismano: nel dodicesimo secolo, secondo la testimonianza di Idrisi, la statua fu trasportata dentro la città; nel sedicesimo secolo, e precisamente nel 1508, secondo la testimonianza dello storico catanese G.B. De Grossis, fu posta nel lato ovest del palazzo municipale, allora completato in piazza Duomo, e sofferse molto nel catastrofico terremoto dell'undici gennaio 1693, che distrusse quasi completamente Catania e fece circa 18.000 vittime su 27.000 abitanti; si spezzarono infatti la proboscide e le gambe anteriori del pachiderma, che furono rifatte in occasione della sistemazione vaccariniana del 1735-37...
Circa il nome popolare della statua, Liotru o Diotru, possiamo dire che anch'esso è legato alla storia di Catania, perché questo nome altro non è che la corruzione dialettale di Eliodoro, descritto dal grandissimo storico siciliano come Michele Amari come 'nobile uomo, candidato una volta alla sede vescovile, poi molesto nemico di san Leone, i cui partigiani lo dissero poi discepolo degli ebrei, negromante e fabbro di idoli'.
Tra le arti magiche attribuite ad Eliodoro, ci fu anche quella della costruzione dell'elefante di pietra, e il popolo favoleggiava che Eliodoro fosse solito cavalcarlo per i trasferimenti necessari alla sua attività di mago..."
Il legame fra i catanesi ed il simbolo civico della città è indiscutibile, tanto che molti di loro si autodefiniscono ironicamente "marca elefante".
Malgrado questo orgoglio ( a Catania il comune porta in nome di palazzo degli Elefanti, l'università e la squadra di calcio ne hanno fatto il proprio simbolo ed in passato è stato celebrato un festival della canzone che assegnava "l'Elefante d'oro" ) il rapporto fra Catania ed i veri elefanti non è stato però troppo fortunato.
Malgrado questo orgoglio ( a Catania il comune porta in nome di palazzo degli Elefanti, l'università e la squadra di calcio ne hanno fatto il proprio simbolo ed in passato è stato celebrato un festival della canzone che assegnava "l'Elefante d'oro" ) il rapporto fra Catania ed i veri elefanti non è stato però troppo fortunato.
Proprio per il fatto di essere rappresentata da questo animale, nel corso dei decenni la città ne ha ricevuto in dono almeno tre esemplari.
Il primo di cui si abbia memoria, nel 1890, fu "Menelicche", regalo spedito dal negus d'Etiopia Menelik ad Umberto I, che subito lo destinò a Catania.
Qui, l'animale - un elefantino di razza nana - visse per pochi anni segregato con una catena ad una zampa in un fossato di villa Bellini; finì imbalsamato, ad eternarne la triste storia.
Un secondo elefante, di nome "Remo", fu omaggiato nel 1955 dal comune di Roma, ma arrivò a Catania già morto.
Non più fortunata fu "Tony", nome dato ad un'anziana e malata elefantessa che il circo di Darix Togni decise di lasciare in città nell'agosto del 1965.
Durante il tragitto fra il tendone, allestito nell'area del porto, e piazza Duomo, il pachiderma sfuggì al controllo di Togni.
Seminando il panico fra i catanesi e danneggiando un paio di autovetture, "Tony" riuscì a tornare nel recinto che ospitava gli altri elefanti del circo.
Solo dopo essere stata sedata, venne definitivamente trasferita all'interno di villa Bellini; vi morì un paio di anni dopo, trascorrendo forse giorni meno infelici rispetto a quelli sofferti dal povero "Menelicche".
Il primo di cui si abbia memoria, nel 1890, fu "Menelicche", regalo spedito dal negus d'Etiopia Menelik ad Umberto I, che subito lo destinò a Catania.
Qui, l'animale - un elefantino di razza nana - visse per pochi anni segregato con una catena ad una zampa in un fossato di villa Bellini; finì imbalsamato, ad eternarne la triste storia.
Un secondo elefante, di nome "Remo", fu omaggiato nel 1955 dal comune di Roma, ma arrivò a Catania già morto.
Non più fortunata fu "Tony", nome dato ad un'anziana e malata elefantessa che il circo di Darix Togni decise di lasciare in città nell'agosto del 1965.
Durante il tragitto fra il tendone, allestito nell'area del porto, e piazza Duomo, il pachiderma sfuggì al controllo di Togni.
Seminando il panico fra i catanesi e danneggiando un paio di autovetture, "Tony" riuscì a tornare nel recinto che ospitava gli altri elefanti del circo.
Solo dopo essere stata sedata, venne definitivamente trasferita all'interno di villa Bellini; vi morì un paio di anni dopo, trascorrendo forse giorni meno infelici rispetto a quelli sofferti dal povero "Menelicche".
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