Il pasto dei "pistaturi" durante una vendemmia. La fotografia è di Enzo Sellerio ed è tratta dalla rivista "Sicilia" pubblicata a Palermo nel marzo del 1964 |
Nell'ottobre del 1923, Ercole Patti fu testimone del rito della spremitura dell'uva sul cratere avventizio di monte Ilice, fra Trecastagnani e Zafferana Etnea.
Nell'area di un palmento, gruppi di "pistaturi" - i pestatori - diedero allora vita ad un'attività agricola legata alla vendemmia che per secoli ha rappresentato uno dei momenti di più forte aggregazione e coesione per i braccianti in Sicilia.
Pur nella durezza delle condizioni di lavoro proprie di una vendemmia, infatti, i "pistaturi" avevano infatti l'occasione di rivendicare ed ottenere alcune concessioni dal padrone della vigna, a partire dal vitto e dall'alloggio.
Come ha ricordato Eugenio Magnano di San Lio in "Le architetture del vino" ( pubblicato in "La Sicilia del vino", Giuseppe Maimone Editore, Catania, 2003 ), la loro fatica
"Era una festa durante la quale, almeno nel linguaggio, era permesso più di quello solitamente lecito, un baccanale che si ripeteva così da secoli, a dispetto dei padroni della vigna e dei sorveglianti che arcignamente badavano solo al lavoro.
Si mangiava insieme e il vitto era a carico del padrone ch'era tenuto a rispettare certi diritti consuetudinari, come quello per cui nella minestra dovevano essere lasciati i gambi dei prelibati peperoni, affinché il capo ciurma ne potesse verificare il numero, per come stabilito negli accordi.
Le donne dormivano in locali separati da quelli degli uomini ma la vendemmia era ugualmente una buona occasione per conoscersi e combinare qualche matrimonio..."
Di quella rude convivialità fra i "pistaturi", Ercole Patti fu attento e felicissimo narratore, grazie ad una scrittura nitida e voluttuosa, attenta a cogliere gesti e umori dei suoi protagonisti ( qualità presenti nella fotografia di un pranzo di pestatori scattata anni dopo da Enzo Sellerio, riproposta nel post da ReportageSicilia ):
"Davanti alla porta del palmento verso le otto del mattino - si legge in "Diario siciliano", Bompiani, Milano, 1971 - la massara prepara la colazione per i pigiatori; taglia grosse fette di formaggio salato e oleoso, dispone le acciughe e i peperoni arrostiti su ruvidi piatti, stacca grandi fette triangolari di pane fitto e pesante, riempie un bariletto di vino rosato e limpido che diffonde intorno nell'ora mattutina un profumo inebriante.
I pigiatori con le gambe inzaccherate di mosto e di chicchi di uva spremuti scendono giù dalle scalette di lava siedono sull'orlo di una tina, cavano fuori i coltelli e cominciano a mangiare piano piano.
Mangiano con gusto e attenzione tagliando strisce di pane su cui adagiano con cura un'acciuga, un pezzetto di peperone.
Il bariletto passa di bocca in bocca, gli uomini lo sollevano in aria, incollano le labbra al buchino laterale e mandano giù tre o quattro sorsate di vino senza versarne neanche una goccia..."
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