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giovedì 13 gennaio 2022

LO SPAESAMENTO DEL SACRESTANO DI GIBELLINA

Il sacrestano di Gibellina
dopo la devastazione della Chiesa Madre.
Foto tratta da "'68 terremoto in Sicilia",
opera citata


"Qui era la mia chiesa - dice il sacrestano di Gibellina - ci resto, non me vado finché non la rimettono in piedi come prima. Io, a fare il sacrestano ci sto bene e un'altra cosa non posso fare. La campana era la più bella del paese, quando tiravo le corde più forte era domenica. Oggi è pure domenica, ma dov'è la domenica?"

Questa didascalia accompagnò la fotografia riproposta da ReportageSicilia tratta dall'opera "'68 terremoto in Sicilia", pubblicata da Andò Editori il 10 febbraio 1968: il primo lavoro editoriale dedicato al terremoto nel Belìce, a nemmeno un mese dallo sciame sismico - iniziato alle 13.29 di domenica 14 gennaio - che devastò parte delle province di Trapani ed Agrigento. Il saggio ( una raccolta di articoli e reportage scritti in quei giorni di morte e devastazione, a firma - tra gli altri - di Leonardo Sciascia, Felice Chilanti, Mario Farinella, Roberto Ciuni ed Anselmo Calaciura ) è ancor oggi un insostituibile documento per comprendere il dramma di quel disastro e la sua perdurante attualità. Nelle parole pronunciate 54 anni fa dal sacrestano di Gibellina si percepisce il senso di spaesamento collettivo provocato dal terremoto sulle popolazioni dei paesi che ne furono vittime. Il suo disorientamento temporale ( "dov'é la domenica?" ) altro non è che un aspetto di quella distruzione della "geografia mentale che guida alla partizione degli orizzonti, alla definizione dei percorsi, delle distanze e dei confini" - ha scritto Antonino Cusumano in "La Strada Maestra, memoria di Gibellina", Comune di Gibellina, 1997 - di coloro che nel gennaio del 1968 uscirono vivi da quelle scosse.    


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