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domenica 6 febbraio 2022

I SANTI SALVATI IN MARE DEI PESCATORI SICILIANI

Il molo di Porticello, nel palermitano.
La fotografia attribuita a "Foto Randazzo"
venne pubblicata dal mensile
"Panorama" nell'aprile del 1964


Fu nel corso del secolo XVIII - ha scritto Orietta Sorgi in "Santi a mare. Ritualità e devozione nelle comunità costiere siciliane" ( Soprintendenza del Mare di Sicilia, 2009 ) - che il culto di Maria Santissima del Lume si diffuse tra i pescatori palermitani di Porticello. La diffusione di questa devozione, secondo una tradizione orale diffusa tra gli stessi pescatori in contrasto a fonti d'archivio parrocchiali, riconduce ad un evento drammatico del lontano passato. Durante una tempesta o a seguito all'abbordaggio da parte di un legno di "turchi", un vascello fu costretto ad alleggerire il proprio carico; in mare, sarebbe finito anche un dipinto su ardesia della Madonna del Lume, poi recuperato dai pescatori e diventato così oggetto di culto per la borgata di Porticello.

La storia di questa devozione rimanda a quella di molte altre comunità di pescatori siciliani, spesso legata al recupero in mare di oggetti poi diventati materia di venerazione. Ha scritto a questo proposito l'antropologo culturale Giampiero Finocchiaro nell'introduzione al saggio fotografico di Giuseppe Viviano "Terramare, storie di luoghi, di cose e di uomini" ( FLAG, Golfi di Castellammare e Carini, 2018  ):  

"Nonostante l'insularità, la propensione della Sicilia verso il mare è sempre stata un'oscillazione, un sentire pentito o semplicemente inibito dalla paura dell'inoltro senza ritorno. Vi è un verso di un proverbio tradizionale che chiarisce:

"Cui pò iri pri terra, nun vaja pri mari", "Chi può andare via terra, non vada per mare"



... I siciliani si sono rivolti al mare là dove la terra si mostra arcigna ed ingrata, là dove le rocce e la selva degli impedimenti sociali, negava ipotesi differenti ed occasioni alternative... Le comunità marinare si sono così strette a figure di santi miracolosamente trovati a mare, resuscitati dai fondali, ma che viaggiavano per raggiungere una terra, fortunatamente restituiti dalle onde e il rito celebrativo, pagano un tempo e cattolico dopo la disciplina della Chiesa, sempre ne ha ricordato l'unicità irripetibile per dare un senso ad una vita dura e ingrata. Il mare, cioè, nella simbologia della festa marinara ha solitamente portato a terra qualcosa, un sembiante dell'aldilà, una voce superiore, come se il mare fosse ventre cosmogonico e la terra sua fatale epifania. Perché nell'universo delle rappresentazioni collettive, il mare dei siciliani è luogo ostile e pauroso...



Della Sicilia, il mare è, appunto, un destino. Ne segna i confini, ne dischiude gli orizzonti ma ne inasprisce la condizione di isola, ne salta le forme ma ne acceca lo splendore, ne conserva la storia ma ne segna il futuro. Il mare è quel brodo primordiale in cui si genera il caos della vita senza misura, fonte di tutte le contraddizioni del continente siciliano. Un pezzo di "terra a mare" che da secoli, millenni, se ne sta in disparte, restio ai trascinamenti, diffidente ai passaggi, poco incline agli entusiasmi. La Sicilia, dentro al suo mare, semplicemente sta..."


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