Translate

sabato 9 agosto 2025

GLI AGRICOLTORI DELLE SALINE DI TRAPANI

Fotografie
Ernesto Oliva-ReportageSicilia


"Si scorge dall'alto di Erice, ai piedi del monte, lunga nella bassa penisola falcata che si stende sul mare, la fragile Trapani. Sembra stretta, quella città, da una parte e dall'altra, da grandi lastre di vetro, risplendenti nel sole, che sono i bassi bacini, le squadrate saline, punteggiate dai coni tronchi dei mulini a a vento sopra gli argini..."

Così Vincenzo Consolo descrisse il paesaggio della saline di Trapani nel saggio "Sicilia teatro del mondo", edito nel 1990 a Torino da Nuova Eri Edizioni Rai. Si racconta che siano stati i Fenici - popolo di mercanti in grado di creare decine di empori commerciali nel Mediterraneo dell'antichità - ad avviare la produzione trapanese del sale: un prodotto allora essenziale per la conservazione degli alimenti di origine animale.

L'attività prosegue ancor oggi, con il supporto di una meccanizzazione che non potrà mai cancellare del tutto le figure dei "salinari": agricoltori del mare muniti di scarponi di gomma, vanghe, pale e carriole.

Le vasche delle saline di Trapani, insieme a quelle di Marsala, superano i 1.000 ettari: una superficie sopravvissuta alla speculazione edilizia operata nel territorio nel secondo dopoguerra e che quest'anno dovrebbero produrre 140.000 tonnellate di sale, l'unico in Italia ad avere ricevuto il riconoscimento IGP.



Il prodotto - compreso quello pregiato ricavato dalla crosta esposta direttamente al sole, denominato "fiore di sale" - verrà esportato anche in Giappone, Canada e, con l'incognita rappresentata dai dazi, negli Stati Uniti

Quest'anno la raccolta del prodotto, che a Trapani vanta ottimali quantità di magnesio e sodio, è stata avviata con qualche settimana di anticipo. La si ripeterà a settembre, continuando un'attività di produzione e raccolta che negli ultimi sessant'anni non si è mai fermata. 



L'ultima volta, accadde nell'autunno del 1965, quando una disastrosa alluvione sommerse i cumuli di sale ed i macchinari, ricoprendo le vasche di melma: uno scenario oggi inimmaginabile al cospetto delle luccicanti "grandi lastre di vetro" descritte 25 anni dopo quella devastazione da Vincenzo Consolo.