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martedì 22 ottobre 2019

RELIQUIE FOSSILI DELL'ANTICO MARE DI SICILIA

Fossili conchigliferi sulle rocce di Torre Pozzillo,
lungo la costa Ovest del palermitano.
Fotografie di Ernesto Oliva-ReportageSicilia

Una passeggiata con gli occhi bassi sulla scogliera di Torre Pozzillo, nel palermitano - un'irta roccia disseminata di fossili conchigliferi - svela lo scomparso mondo sottomarino qui presente in lontane età della Terra.
L'emersione dal mare della Sicilia non è stata né precoce ( secondo una datazione geologica, s'intende ), né si compì in un breve arco di tempo.
Antichi gioielli naturali incastonati sulla pietra, questi fossili marini ci portano a considerare l'esistenza di una Sicilia remotissima e sconosciuta; una condizione così descritta da Ferdinando Milone in "Sicilia, la natura e l'uomo" ( Boringhieri, 1960 ):    

"Cominciate con l'annotare nella memoria che l'Isola è geologicamente recente.



Se in essa incontriamo formazioni di ogni era geologica, dalla più antica alla più vicina a noi, pure, le rocce paleozoiche - e cioè quelle che appartengono all'era geologica in cui si manifestarono, probabilmente, le prime forme di vita: le più antiche, quindi, e le più semplici - sono quanto mai limitate...
Ma sono questioni che interessano i geologi, non la gente normale.
La quale può, anzi deve immaginare, per il lento volgere dei millenni e millenni senza numero, qui le onde del mare inesorabilmente chiuse, mentre altrove, sulle terre emerse, evolvevano le forme della vita...
Ma perché mi affanno tanto, quando tutti i lettori avranno a pié pari saltato queste pagine?





Per tutti costoro, basterà dire che l'Isola è sorta definitivamente dalle acque solo assai tardi, nei tempi geologici: probabilmente, appena poche centinaia di migliaia di anni fa, alla fine dell'era dalle forme recenti di vita, detta appunto cenozoica o terziaria.
Prima di allora, era emersa dalle acque dei mari geologici soltanto in regioni separate, in blocchi, in isole formanti un arcipelago.
Un arcipelago non dissimile, del resto, da quello rappresentato dalle eminenze dell'Appennino Meridionale, che sole emergevano dai mari durante il pliocene, in questa parte d'Italia.


Né sempre pur questa parte più elevata dell'Isola, che a un dipresso costituisce la fiancata settentrionale, oppure, a mezzodì, il tavolato ibleo, rimase fuori dalle acque.
Più di una volta, infatti, questi monti furono superati dai mari.
Quei mari, a testimonianza, vi lasciarono reliquie della loro vita..."


domenica 20 ottobre 2019

IL SOLITARIO PAESAGGIO DELLA TORRE DI VENDICARI

La Torre di Vendicari.
La fotografia - attribuita a Privitera -
illustrò un reportage di Erika Abramo
pubblicato nel dicembre del 1975 dalla rivista "Sicilia" 

"La massiccia costruzione, tutta in muratura a vista, mostra i segni dei rimaneggiamenti subiti nei vari secoli: all'interno si scorgono le strutture tardo-duecentesche; in tutta la parte basamentale sono visibili i grossi conci squadrati di marca aragonese; nella parte superiore rimangono le tracce del ponte levatoio ( ... ), le due piattaforme aggettanti su mensoloni sagomati, gli angoli sud-est e nord-ovest e la sopraelevazione della terrazza, tutti interventi cinquecenteschi.
La sicurezza e la capacità di resistenza erano affidate alle masse compatte, alle robustissime strutture ( muri fino a metri 3,15 di spessore ) ed al doppio minaccioso congegno difensivo che proteggeva la porta d'ingresso al piano terreno: classica caditoia esterna e condotto gettatoio ricavato nello spessore interno delle murature, entrambi serviti dal piano della terrazza"

La descrizione di Salvatore Mazzarella e Renato Zanca ( "Il libro delle torri", Sellerio, 1985 ) illustra perfettamente la storia della maestosa Torre di Vendicari, sulla punta Nord dell'omonimo golfo, lungo la strada fra Pachino e Noto.
Il luogo - 1330 ettari di area umida protetta, in un territorio che racconta la storia di antichi commerci navali ( vino, frumento, formaggio ) e delle scorrerie corsare - venne così raccontato dalla giornalista Erika Abramo nel reportage "Viaggio a Vendicari" ( rivista "Sicilia", dicembre 1975 ):

"Salendo sul terrazzo di questo maniero, si gode lo stupendo panorama della baia e dell'isolotto distante circa tre chilometri.
Il mare è di un meraviglioso tono di azzurro, le casette dei pescatori e le poche barche di legno mollemente adagiate sulla riva si inseriscono perfettamente nel paesaggio che anzi ne viene esaltato e valorizzato.
La costa è varia.
Ai lunghi arenili e alle strette insenature, in cui sfociano fiumi o pantani, si alternano lembi rocciosi più o meno alti, tormentati dai flutti e caverne sottomarine di incomparabile bellezza.
Quando il mare, specie in inverno, invade le dune, tanti piccoli pantani orlano in una collana continua il litorale..." 

venerdì 18 ottobre 2019

L'AMARO FRUTTO GELESE DI VINCENZO CONSOLO

Scorci di Gela pubblicati
il 4 luglio del 1968
dalla "Domenica del Corriere"

Dello stravolgimento ambientale ed umana inflitto a Gela negli ultimi sessant'anni hanno scritto fior di saggisti, sociologi, antropologi, economisti e giornalisti.
E della infausta sorte capitata a quella che fu una delle più importanti colonie greche di Sicilia - l'essere cioè diventata in età contemporanea una delle località per mano umana più devastate dell'Isola - ha finito con il rendere conto, nel 1994, anche la letteratura.
La purulenta presenza del petrolchimico, con i suoi veleni tossici per la natura e per gli uomini, venne allora così amaramente descritta da Vincenzo Consolo in "L'olivo e l'olivastro" ( Mondadori ):

"Dire di Gela nel modo più vero e più forte, dire di questo estremo disumano, quest'olivastro, questo frutto amaro, questo feto osceno del potere e del progresso, dire del suo male infinite volte detto, dirlo fuor di racconto, di metafora, è impresa ardua o vana ( ... )
Nacque la Gela repentina e nuova della separazione tra i tecnici, i geologi e i contabili giunti da Metanopoli, chiusi nei lindi recinti coloniali, palme, pitosfori e buganvillee dietro le reti, guardie armate ai cancelli, e gli indigeni dell'edilizia selvaggia e abusiva, delle case di mattoni e tondini lebbrosi in mezzo al fango e all'immondizia di quartieri incatastati, di strade innominate, la Gela dal mare grasso d'oli, dai frangiflutti di cemento, dal porto di navi incagliate nei fondali, inclinate sopra un fianco, isole di ruggini, di plastiche e di ratti; nacque la Gela della perdita d'ogni memoria e senso, del gelo della mente e dell'afasia, del linguaggio turpe della siringa e del coltello, della macchina fragorosa e del tritolo ( ... )" 

  

martedì 15 ottobre 2019

POTERE RELATIVO E POTERE DELLA MAFIA NELLA PALERMO DI COLLURA

Via Cappuccinelle,
all'interno del quartiere del Capo, a Palermo.
Fotografia di Ernesto Oliva-ReportageSicilia

"Palermo, come Napoli, come Bombay e Calcutta - ha scritto Matteo Collura in "Palermo" edito da Bruno Leopardi Editore ( 1999 ) - è città che costringe i suoi abitanti più poveri ad adattarsi a forme di vita altrove impensabili.
Una di queste, come ho già detto, è l'invisibilità; un'altra è l'orgogliosa ostentazione dell'indifferenza di chi troppo ha visto e tutto sa.
E' per questo che la fierezza dei suoi abitanti non ha limiti.
Tutto, visto dai quartieri popolari di questa città, è relativo, potere compreso, sia esso incarnato da un viceré, sia esso rappresentato da un deputato o un cardinale.
Se il potere ha il volto di un mafioso, allora il discorso cambia, perché in questo caso non si tratta di un potere usurpato, ma di qualcosa che naturalmente s'incarna in qualcuno del popolo, venendo a generare livelli di violenza bestiali"

domenica 13 ottobre 2019

UNA MISTERIOSA VACANZA DI ALFRED HITCHCOCK A LAMPEDUSA

Il porto di Lampedusa.
Fotografia di Ernesto Oliva-ReportageSicilia

La notizia - una breve nota di agenzia - apparve su alcuni giornali, il primo agosto del 1966.
Il "l'Ora" di Palermo la pubblicò così:

"Il regista cinematografico Alfred Hitchcock è arrivato oggi all'aeroporto di Fiumicino da New York.
Egli ha detto che intende trasferirsi subito a Lampedusa, dove resterà con la moglie una settimana, in vacanza, ospite di un suo amico"

Da Wikipedia - alla voce "Alfred Hitchcock" - ricaviamo alcune informazioni che permettono di ricostruire i giorni che precedettero quell'annunciata vacanza del regista inglese a Lampedusa, resa nota a Roma il primo di agosto di 53 anni fa.
Risulta infatti che il 27 luglio, Hitchcock si trovasse proprio a New York per presentare il film "Il sipario strappato", la cui prima aveva avuto luogo, il 14 dello stesso mese, a Boston.
Dunque, pochi giorni dopo la proiezione del film a New York, il "re del brivido" cinematografico avrebbe avuto tutto il tempo di trasvolare l'Atlantico per raggiungere dapprima Roma, e da qui Lampedusa.
All'epoca, l'isola era ignorata dai flussi turistici internazionali; ma forse Hitchcock aveva avuto modo di conoscerne l'esistenza e le attrattive naturali durante gli anni della seconda guerra mondiale, quando il regista seguì molto da vicino la campagna bellica degli anglo-americani in Europa.

La notizia della vacanza di Hitchcock
a Lampedusa pubblicata il 1 agosto del 1966
dal quotidiano "l'Ora"

Fra molte supposizioni sul prologo del suo viaggio lampedusano, il buio totale regna sulla ricostruzione dell'annunciato sbarco nell'isola delle Pelagie - ospite di un "amico" - in coppia con la moglie Alma Reville.
Nei giorni successivi a quel primo agosto, nessun quotidiano siciliano riporta notizie che parlino della presenza di Hitchcock a Lampedusa, che pure non sarebbe dovuta passare inosservata. 
Allo stesso modo, ai nostri giorni nessun isolano sembra avere memoria del presunto viaggio del regista inglese in quell'agosto del 1966.
La vacanza lampedusana di Alfred Hitchcock diventa così una sorta di giallo storico-documentario nella sua complessa biografia personale ed artistica: un piccolo mistero di vita privata di un uomo che ha fatto degli intrighi umani oggetto dell'arte cinematografica.

giovedì 10 ottobre 2019

I "PICCIOTTI" DEL FESTIVAL POP 1970

Ragazzi palermitani
al "Palermo Festival Pop 70".
Le fotografie riproposte da ReportageSicilia
vennero pubblicate dalla rivista "Il Mediterraneo",
opera citata

Insieme alle edizioni mondiali della Targa Florio che, tra la fine degli anni Sessanta ed il 1973 richiamarono nelle Madonie un popolo di appassionati, il "Palermo Pop Festival 1970" è l'evento oggi maggiormente impresso nella memoria collettiva dei palermitani che a suo tempo ebbero la ventura di parteciparvi.
Di tanto in tanto, la ricerca di ReportageSicilia - già testimoniata da un paio di post fra i più letti del blog - recupera articoli ed immagini che allora raccontarono il successo del Festival.
Ad incrementare la memoria del clima di quell'avvenimento - cui il musicista Carlo Loffredo ha fornito una gustosa descrizione in "Billie Holiday che palle!" ( Coniglio Editore, 2008 ) - contribuiscono ora alcune fotografie pubblicate dalla rivista "Il Mediterraneo" ( Camera di Commercio di Palermo ) nell'agosto del 1970.



Ad accompagnare le immagini non firmate riproposte da ReportageSicilia, un lungo testo anch'esso anonimo ricorda alcuni aspetti di una manifestazione destinata ad esaurire la sua energia musicale e di costume proprio al termine dell'indimenticata prima edizione:  

"I quattro giorni di 'Palermo Pop 70' sono stati paragonati alla kermesse dell'isola di Wight o di Woodstock, un'occasione di incontro della gioventù hippy, desiderosa di ascoltare buona musica e di estraniarsi dai riti e dalle banalità della vita corrente.
Lo accostamento è stato certamente esagerato, ma non c'è dubbio che la manifestazione si è conclusa con un bilancio sostanzialmente in attivo: è stata originale sul piano del costume, ed ha fornito l'opportunità di ascoltare buona musica.
Le 'quattro giornate' sono state quelle comprese fra il 16 ed il 19 luglio, il luogo prescelto per gli spettacoli lo stadio della Favorita.
Gli organizzatori hanno adottato opportunamente la formula del biglietto a prezzo unico e quasi popolare ( 1000 lire ).
Poi, in realtà, è capitato che a mezzanotte venissero aperte le porte e una massa di giovanissimi, che aveva atteso pazientemente, come è tradizione delle partite di calcio, si riversava dentro, invadendo il prato erboso del terreno di gioco.
L'incasso è stato perciò minore del previsto e di quanto era possibile.
La cornice in cui è svolta la manifestazione, ha costituito uno spettacolo nello spettacolo.



Accanto agli hippy venuta dal Club Mediterranèe di Cefalù o arrivati da altre zone d'Italia in cui erano in vacanza, migliaia di ragazzi palermitani, specialmente dei quartieri popolari, hanno indossato abiti incredibili, riuscendo in qualche occasione a darla a bere.
Qualcuno, infatti, li ha scambiati davvero per hippy, magari con la marijuana nascosta in una piega dei pantaloni.
Ci ha creduto in un certo senso anche la polizia, che ha organizzato un servizio d'ordine massiccio, come se da un momento all'altro dovesse scoppiare la rivoluzione.
Invece tutto è andato liscio, tranne la estemporanea esibizione del cantante inglese Arthur Brown che si è spogliato nudo, per interpretare meglio il suo successo, 'Fire', ed è finito dritto all'Ucciardone, sotto l'accusa di atti di libidine e atti osceni in luogo pubblico.
L'altro piccolo incidente, per cui sono stati arrestati cinque giovani, è una conseguenza dell'esibizione di Brown: i ragazzi, infatti, sventolavano all'interno della Favorita un cartellone nel quale era dipinto un poliziotto in ginocchio davanti ad Arthur Brown  e in posizione non proprio ortodossa.
Se si escludono questi due episodi, che hanno creato in qualche modo un'atmosfera simile alle grandi kermesse dell'isola di Wight, 'Palermo Pop 70' è stata solo un'occasione per ascoltare buona musica.
Orchestre come quelle di Duke Ellington e Kenny Clarke, cantanti come Aretha Franklin, Johnny Hallyday, Elza Soares, musicisti di valore come Albert Nicholas, René Thomas, Tony Scott, per non parlare che dei migliori, a Palermo non si riesce a vederli nemmeno uno per volta, figurarsi tutti insieme.


La celeberrima esibizione
del cantante Arthur Brown,
terminata con il discusso arresto
per atti di libidine

Il bilancio della manifestazione, insomma, si può considerare sostanzialmente positivo, e suscettibile di miglioramento in futuro.
La pretesa di trasformare Palermo in una capitale del 'pop' sembra eccessiva, ma non c'è dubbio che se la manifestazione fosse ripetuta e perfezionata, si potrebbe sperare in un afflusso turistico che per l'edizione 1970 non c'è stato.
Come veicolo di pubblicità, però, ha funzionato benissimo: nel bene e nel male ne hanno parlato i giornali di mezzo mondo, che alla manifestazione hanno dedicato ampi servizi.
Ed è anche questa una maniera - e tra le migliori - di propagandare all'estero il nome di Palermo, frequentemente citata, ma solo per questioni di mafia"
  

sabato 5 ottobre 2019

L'IMPALPABILE INCANTO DI UNA MILANESE A PALAZZO ADRIANO

Palazzo Adriano dalle falde di monte delle Rose.
Fotografia Ernesto Oliva-ReportageSicilia
Alla fine degli anni Cinquanta dello scorso secolo, Palazzo Adriano era uno dei tanti paesi dei monti Sicani quasi del tutto ignorati da viaggiatori e narratori di Sicilia.
La fama della sua scenografica piazza Umberto I sarebbe venuta solo molti anni dopo, grazie al film di Giuseppe Tornatore "Nuovo Cinema Paradiso".
Nel 1958, quella stessa piazza non aveva suscitato particolare ammirazione in uno dei pochi cronisti che all'epoca si spinsero fino a Palazzo Adriano, alla fine di un viaggio in auto iniziato a Palermo e completato - attraversando Misilmeri, Mezzojuso e la Rocca Busambra - dopo "un apocalittico crescendo di dossi torreggianti e asperrime rocche". 
Delfina Pettinati - questo il nome della narratrice ( piemontese di adozione, milanese di nascita, vincitrice nel 1977 del Premio Gozzano ) - riportò così le sue impressioni su Palazzo Adriano sulle pagine del quotidiano "La Stampa" pubblicato il 22 febbraio del 1958:
  "La sera è scesa quando giungiamo a Palazzo Adriano.
E' un paese tutto aperto sull'alto.
'Quasi una cittadina', postilla con un certo orgoglio il signorotto paesano che ci accoglie con cortesia.
Sa che vengo da Torino, e, mettendosi con vivacità al volante, scopre il suo desidero di farmi apprezzare le bellezze del suo paese, il suo progresso civile...
Ma in verità tali bellezze si riassumono per me nell'impalpabile incanto delle tacite strade che, allungate sotto la luna, sembrano scie di luce che raggiungono il cielo.
S'apre nel mezzo una piazza come tante, dove la gioventù dorata paesana, uomini vestiti di scuro con gli occhi neri, e brillanti, sono raccolti a conversare.
Alcune ragazze passeggiano, compostamente allineate, godendosi la sera.
Oltre questo fulcro di vita domestica, il paese appare deserto.
Il signorotto mi indica qualche villetta, qualche costruzione moderna. 
'Abbiamo tre ospedali', dice con un'ombra di compiacimento, 'e anche un castello...'
Con ingenuo rammarico depreca che sia diroccato, e anche non si dà pace che a me, venuta dal continente, le strade presentino un volto sgretolato, tutto roso dai camion.
Ma a me piacciono così: sotto la luna che le arabesca, sembrano le selci di una città dissepolta..."