Torrido caldo di giugno a Roma; il desiderio montante del mare si sgonfia al pensiero della plumbea acqua di Ostia e Fregene e del penoso prologo della ricerca di un parcheggio, dopo estenuanti ore trascorse in auto od in vespa.
Meglio restare a casa, allora, e coltivare il desiderio di un ritorno in Sicilia, per un bagno vero, per il quale basterà portare con sè un telo da mare ed una bottiglia d’acqua.
Bisognerebbe spiegare ai romani cos’è quella strana euforica felicità che prende i siciliani all’idea stessa di un bagno in mare; e tentare di far intuire l’eccitazione che prende dopo un tuffo nell’acqua blu, dopo l’attesa di un breve tragitto da casa accompagnato dal piacere di una sosta per la brioche col gelato od il panino con le panelle.
In molti isolani il bagno amplifica la percezione sensoriale dei piaceri, in un fluente passaggio fra l’appagamento del desiderio marino appena realizzato e la percezione di prossime voluttà, gastronomiche ed ormonali.
In molti isolani il bagno amplifica la percezione sensoriale dei piaceri, in un fluente passaggio fra l’appagamento del desiderio marino appena realizzato e la percezione di prossime voluttà, gastronomiche ed ormonali.
Una straordinaria sintesi di questi sentimenti del siciliano in una giornata estiva al mare è contenuta nel prologo che il giornalista e scrittore catanese Ercole Patti scrisse nella raccolta di racconti che porta il titolo “Diario Siciliano”.
“L’odore del mare di Catania nel 1920, – scrisse Patti, che proprio a Roma visse a lungo nel ricorrente desiderio della Sicilia - quell’odore di vecchie tavole imbevute di salsedine, di scogli ricoperti di alghe verdi o avana pallido carnose e sensibili come branche di polpo.
L’aria marina trascorreva tra i pali e le passerelle di legno dei vecchi stabilimenti balneari. Qualche riccio bluastro si vedeva sul fondo ingrandito dall’acqua limpida sotto la verandina battuta dalla brezza marina.
L’aria marina trascorreva tra i pali e le passerelle di legno dei vecchi stabilimenti balneari. Qualche riccio bluastro si vedeva sul fondo ingrandito dall’acqua limpida sotto la verandina battuta dalla brezza marina.
Il mare salato penetrava nelle narici, attaccava le mucose, faceva lagrimare gli occhi durante i numerosi tuffi a chiodo fatti dal piccolo trampolino sporgente dalla scogliere di Guardia Ognina.
Mentre l’acqua marina scivolava sul corpo felice i pensieri confusi del meraviglioso pomeriggio da trascorrere ronzavano nella testa sommersa sott’acqua.
L’acqua scorreva sul corpo compatto ed abbronzato in un desiderio struggente della pasta con le melanzane che aspettava a casa sotto un piatto capovolto ancora tiepida. Il desiderio della pasta con le melanzane era simile come intensità a quello di vedere gli occhi della figlia dell’avvocato si affacciava alla bassa finestra della casa di fronte.
Il rombo leggero del mare che si insinuava fra gli scogli e ne tornava fuori con un movimento di risucchio scoprendo qualche patella che se ne stava leggermente sollevata sulla parete dello scoglio quasi per respirare pronta ad attaccarsi saldamente con la ventosa se qualcuno la toccava.
Durante quelle ore marine mentre l’acqua grondava e si asciugava subito sulla pelle la vita sembrava non dovesse mai aver fine ed era disseminata di ore bellissime, di risvegli dopo un leggero sonno pomeridiano nella stanza in penombra mentre attraverso le stecche dello storino abbassato arrivava il vento rinfrescato del meriggio…
Durante quelle ore marine mentre l’acqua grondava e si asciugava subito sulla pelle la vita sembrava non dovesse mai aver fine ed era disseminata di ore bellissime, di risvegli dopo un leggero sonno pomeridiano nella stanza in penombra mentre attraverso le stecche dello storino abbassato arrivava il vento rinfrescato del meriggio…
Il mare rotolava sulla sabbia liscia della spiaggia.
L’olio delle meduse marine vi galleggiava in piccole chiazze e causticava la pelle soltanto che la sfiorasse appena. Il braccio tenero bruciato dall’olio della medusa; si sentiva l’eco del grido di allarme dei ragazzi che risuonava fra gli scogli: ‘L’olio a mare! L’olio a mare!’. Nelle narici c’era l’odore delle erbe carnose verdine e ondulate come una frangia di stoffa. L’estate dilagava nel cielo a grandi ondate silenziose…”.
L’estate di Ercole Patti scopre la vena narrativa grazie alla quale lo scrittore svelò la sua ricerca della felicità nei paesaggi e negli umori della Sicilia etnea.
Un turista sulla spiaggia catanese della Plaia. L'immagine è attribuita ad Alario ed è tratta dal volume 'Sicilia' edito da Sansoni nel 1962 |
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