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domenica 12 agosto 2012

FULCO DI VERDURA, RICORDI E GOSSIP PALERMITANI

Disegnatore di gioielli per Coco Chanel, frequentatore dei salotti parigini e dei divi di Hollywood, Fulco di Verdura è un personaggio legato alla Palermo
dei salotti del primo dopoguerra.
In questo post, ReportageSicilia ripropone stralci di un'intervista da lui concessa a Londra al quotidiano "La Stampa" nel gennaio del 1978, meno di 6 mesi prima la data della sua morte, il 15 agosto dello stesso anno.
L'immagine è tratta dal sito www.verdura.com  

“A Palermo cercavo chi avesse conosciuto Fulco di Verdura, il disegnatore di gioielli, l’amico di Coco Chanel e di tanti nel bel mondo. Al solito, un’infinità di gente sapeva tre o quattro aneddoti, sempre gli stessi e non riuscivo ad andare oltre una storia semiufficiale che lo imbalsamava in un personaggio caustico e brillante e basta”.
Con questo incipit, Stefano Malatesta dedicò nel 2000 un capitolo de “Il cane che andava per mare ed altri eccentrici siciliani” alla figura di Fulco di Verdura: un nome – il suo – agile come un cavallo da corsa, cui aggiungere però i ridondanti  attributi nobiliari di duca di Santostefano della Cerda e principe di Niscemi.

Il palazzo di famiglia di Fulco di Verdura a Palermo, in via Montevergini.
Il disegnatore di gioielli lo vide per l'ultima volta nel 1973, quando l'edificio - posizionato nei pressi della casa cittadina del Fascio - portava ancora i segni delle bombe alleate.
La fotografia è tratta dal sito www.amopalermo.com
Malatesta cercò di trarre dalla principessa G. qualche ricordo inedito sullo stilista dei gioielli vissuto tra i salotti mondani di Parigi, di Los Angeles, di New York e di Londra.
Si trattava di una frequentatrice degli stessi ambienti giovanili siciliani di Fulco di Verdura, e con un passato sufficientemente inserito nei salotti dell'aristocrazia palermitana. 
L’anziana nobildonna tuttavia deluse le sue aspettative.
Nulla ricordava del famoso disegnatore di gioielli; in compenso non perse l’occasione per consegnare a Malatesta copia di alcuni suoi racconti inediti: pagine che non citavano neppure il nome dell'artista dei preziosi nato a Palermo nel 1899 e morto a Londra il giorno di Ferragosto del 1978. In cambio di tale offerta, lo scrittore e giornalista romano tuttavia finì con l’inserire proprio quella “vecchissima signora” nella sua lista degli eccentrici siciliani.
Di Fulco di Verdura non mancano oggi notizie sparse in rete www.verdura.com  né opere letterarie che ricostruiscono la sua singolare storia di nobile palermitano passato dai salotti di Villa Niscemi a quelli dei divi di Hollywood. I suoi gioielli furono indossati infatti anche da Katharine Hepburn nel film del 1940 “The Philadelphia Story”, mentre Frank Sinatra - origini familiari palermitane, da Lercara Friddi -gli commissionò una preziosa scatola smaltata.

Una celebre immagine di Fulco di Verdura in compagnia di Coco Chanel.
Il duca e principe palermitano si trasferì a Parigi a 27 anni; dieci anni volò oltre l'Atlantico sino a New York, aprendo un suo negozio il giorno prima dell'entrata degli Stati Uniti nel secondo conflitto mondiale.
Anche questa fotografia è tratta da www.verdura.com
L’amico Cole Porter, invece, dopo avere ricevuto in regalo una scatola d’oro, eternò il nome del duca stilista nel testo del musical “Let’s Face It” ( “Liz Whitney has on her bin of manure a clip designed by the Duke of Verdura” ).


Da YouTube, un omaggio all'arte orafa di Fulco da Verdura.
Da decenni ormai il nome del disegnatore palermitano
 è diventato il marchio di un'azienda americana, la E.J. Landrigan 

Tra le opere dedicate al personaggio, segnaliamo il libro autobiografico “Estati felici, un’infanzia in Sicilia”, edito dallo stilista dapprima in Inghilterra ( con il titolo “The Happy Summer Days: A Sicilian Childhood” ) e poi pubblicato con sostanziali modifiche in Italia da Feltrinelli. Nel 2002 Novecento avrebbe quindi edito il saggio di Patricia Corbett “Fulco di Verdura, la vita e le opere di un maestro gioielliere”.
Vi sono poi numerose altre tracce utili a ricostruire la storia di Fulco di Verdura – che lasciò Palermo per la Parigi di Coco Chanel nel 1927, per poi sbarcare a New York dieci anni dopo -  ed il suo rapporto con la Sicilia.

Una locandina del film "The Philadelphia Story", prodotto nel 1940. 
Katharine Hepburn indossava in scena i gioielli realizzati
da Fulco di Verdura: una consuetudine affermatasi allora
tra molte attrici di Hollywood, tra le quali Greta Garbo e Rita Hayworth
Nell’isola, tornò per l’ultima volta nel 1973, quando il palazzo di famiglia, in via Montevergini, portava ancora i rovinosi segni dei bombardamenti alleati.
Una di queste documentazioni è contenuta fra le pagine del quotidiano torinese ‘La Stampa’ del 21 gennaio 1978, vale a dire poco tempo prima la sua morte.
In un articolo intitolato “Gattopardini a Palermo”, Gaia Servadio firmò una delle ultime interviste rilasciate a Londra da Fulco di Verdura.
“E’ sulla Sicilia – scrisse allora la giornalista - che Fulco possiede una miniera di racconti, cammei, diamanti sfaccettati che riflettono una Palermo finita. E ogni tanto, questo anziano signore esplode in dialetto palermitano, come usavano gli aristocratici siciliani, interponendolo al suo francese, al suo inglese, alla sua mimica straordinaria che riprende personaggi e brani di libretti d’opera…”.
Ed eccoli, i ricordi citati allora da Fulco di Verdura: i principali riguardano Palermo e la famiglia dei Florio, che agli inizi del Novecento fece della capitale dell’isola una fra le più mondane città europee.
La memoria dello stilista - che accenna appena agli studi liceali all'Umberto I ed all'esperienza militare da alpino - lasciò allora ampio spazio all’odierno “gossip”.
“Allora, quando ero ragazzo – racconta a Gaia Servadio – Palermo era una capitale di provincia, come per dire una capitale da operetta: chi tirava i fili delle marionette erano i Florio. Donna Franca, moglie di Ignazio, era una donna bellissima, ma ci si dimentica che Ignazio stesso era uno degli uomini più belli della sua generazione, biondo con gli occhi celesti. Le Domitille, le Floriane, le Salviati, le Arabelle, hanno gli occhi di Ignazio Florio. Com’è che si sono rovinati è un mistero. La loro fortuna era tale che non è possibile che se la siano mangiata in una generazione. Avevano compagnie di navigazione, il marsala, le zolfatare, la maggior parte delle tonnare, il teatro Massimo”.
Fulco di Verdura non risparmia poi commenti taglienti sulla famiglia Giuseppe Tomasi di Lampedusa, a lui legato da lontani rapporti di parentela. “Giuseppe Tomasi di Lampedusa – si legge nell’intervista – era tutto tasca di Cutò. Ciccio Lampedusa, zio di Giuseppe, lo chiamava ‘becco di Siviglia’, e l’altro zio ‘piedi fitusi’. Giulio, marchese di Torretta, era ambasciatore e poi c’erano le due signorine che sono nel ‘Gattopardo’. Ciccio sposò una dama di Ferrara che veniva da un casino, una brava donna. Quando Luchino Visconti girava ‘Il Gattopardo’, io gli davo consigli. In una scena, in mezzo alle comparse, c’era la figlia di Ciccio Lampedusa. La indicai a Luchino: ‘vedi, quella là è l’unica Lampedusa che resta, vera’. Beatrice Palma di Lampedusa aveva avuto invece un’avventura con Ignazio Florio, scandalosa a quell’epoca; ci furono regali e braccialetti di diamanti, per questo ci fu sempre un odio fra i Lampedusa ed i Florio, istigato dalla mamma. I Lampedusa chiamavano donna Franca ‘la signora Florio’”.
Dall’intervista pubblicata su “La Stampa”, infine, apprendiamo che Fulco di Verdura avrebbe voluto scrivere un secondo libro autobiografico, questa volta dedicato ai personaggi del bel mondo conosciuti fra Europa e Stati Uniti.
“Mi piacerebbe scrivere – rivelò - un libro sulla gente che ho conosciuto. Un capitolo su Chanel, uno sui Yusupoff: ero amico loro intimo, perché vennero a Palermo nel 1922 e poi a Parigi ero sempre da loro. Anche su Cole Porter e Rogers e Gershwin che ho conosciuto benissimo. Gli anni di Parigi, i balli in costume a casa de Beaumont e dei Noailles, delle follie senza nome”.
Meno di sette mesi dopo questa intervista, Fulco di Verdura morì.
Le sue ceneri vennero riportate in Italia da un amico inglese, dapprima a Pisa e poi a Palermo.
A questo epilogo della sua esistenza si lega un episodio che avrebbe davvero meritato di essere raccontato da Malatesta come esempio della bizzarra vita anche da morto del disegnatore di gioielli.
A Pisa, colui che trasportava  le ceneri venne fermato da un poliziotto sospettoso circa la composizione di quella polvere. “Ashes, ashes” – spiegò all’agente – che, ignorante d’inglese, trattenne per qualche minuto i resti di Fulco di Verdura, convinto di avere bloccato un trafficante di hashish. 

Una recente immagine di Villa Niscemi, da anni sede di rappresentanza
del Comune di Palermo.
Era questa la dimora estiva della famiglia di Fulco di Verdura, dove il disegnatore di gioielli trascorse le estati palermitane della sua adolescenza, poi narrate nel libro autobiografico intitolato
"Estati felici, un'infanzia in Sicilia".
La fotografia è tratta da palermo.comune.it
  
  

3 commenti:

  1. Ho trovato in questo post notizie che non conoscevo su Fulco di Verdura :-) Interessante.

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  2. Sì, molto interessante anche per me. Un vero peccato che poi questa personalità, la sua arte e soprattutto l'artigianalità delle sue creazioni siano oggi solo un 'nome', un marchio svuotato di tutto.
    E questo non è l'unico caso di marchio di 'made in Italy' storico finito così...nelle maglie della grande finanza, dei mega gruppi finanziari del 'lusso' che, nel corso del tempo, hanno polverizzato le arti manifatturiere ed artigianali per vendere 'aria fritta'.
    Katia

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  3. Complimenti per questi bei profumi del passato riportati al noioso presente! Mi leggero questo blog post dopo post, grazie!
    Monica

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