Le fotografie di Palermo riproposte in questo post da ReportageSicilia furono pubblicate dalla rivista del TCI “le Vie d’Italia” nel novembre del 1961.
Le immagini – attribuite a Carlo Anfosso – illustrarono un reportage intitolato “A zonzo per le vie di Palermo” firmato dal giornalista Glauco Licata.
Nel sommario dell’articolo, la rivista così riassunse il senso di quelle pagine: “Un tuffo nella Palermo popolare di oggi, un formicaio di vicoli e di stradette dense di folla, una folla geniale, bisognosa e ricca di colore”.
Pescatori a bordo di un'imbarcazione ormeggiata all'interno del porticcolo palermitano della Cala |
L’obiettivo di Anfosso dedicò le attenzioni ad una schiera di personaggi dei quartieri popolari palermitani – a cominciare dall’immancabile Vucciria - non del tutto scomparsi ai nostri giorni: cocchieri, venditori di fritture, pescatori, venditrici ambulanti di ceri religiosi ed artigiani.
Sono fotografie che documentano il trapasso sociale vissuto dalla città alla fine degli anni Cinquanta, quando la devastante spinta dell’espansione edilizia e la “nuova economia” burocratica regionale misero in ombra la vitalità del vecchio centro storico.
Di questo trapasso in corso, il reportage di Glauco Licata riesce a cogliere alcuni segnali, senza però allungare la vista sul contesto di interessi mafiosi che lo governavano.
Cocchieri sotto l'ombra degli alberi di ficus di piazza Marina, un tempo principale luogo di sosta dei vetturini palermitani |
“La città sta attraversando un periodo di rigoglio edilizio. E’ logico che ne risentano non soltanto le vie; anche gli abitanti, di queste vie.
Con l’aumento dei consumi, un fatto questo legato, in parte, anche all’ingresso di nuove leve nella burocrazia ( costituzione dell’ente Regione ), i prezzi tendono a salire, portando Palermo ai primi posti tra le città più care d’Italia; e questo viene a nuocere a coloro, pure numerosi, che non sono occupati o sono sottoccupati.
Ci si obietterà che, sull’esempio dei grandi magazzini del nord, si sono creati tre supermercati.
Vero è però che a Palermo il reddito medio per abitante si aggira sulle 160mila lire, mentre la media nazionale arriva a 250mila. Questi contrasti, ovviamente, si riflettono sulla composizione e sugli atteggiamenti della gente che incontreremo nelle strade. Vedremo le splendenti portinerie degli edifici di viale Libertà, e in quartieri oggi imputriditi i superstiti palazzi insidiati dalla veloce trasformazione sociale e invasi da povera gente.
Un venditore di souvenir mostra al fotografo la riproduzione di un paladino. Già all'epoca dello scatto, i Teatri dei Pupi palermitani avevano chiuso i loro battenti |
Chi si reca da un artigiano spesso si trova con stupore entro nobili cortili selciati con in mezzo una palma e intorno un’atmosfera di favola.
Nondimeno il numero delle automobili, in proporzione, è altissimo: 76mila, contro 600 carrozzelle e in più 80 lustrascarpe, 2000 venditori ambulanti e un numero imprecisabile di poveracci che ogni mattina inventano un mestiere nuovo per sbarcare il lunario…
Ogni tanto qualcosa muore, come ramo secco.
E’ il caso dell’antica pasticceria Gulì, che un tempo esportava dolci ( martorana e cassate ) in tutto il mondo; poi decadde, di pari passo con piazza Marina, Porta Felice e Corso Vittorio Emanuele”.
Riguardo poi lo scempio urbanistico subito in quegli anni da Palermo, Licata riuscì solo ad intravedere un fenomeno macroscopico e ad ignorare gli omicidi compiuti fra gruppi mafiosi che si contendevano allora le aree edificabili ed il controllo degli appalti.
“In genere – si legge ancora nel suo reportage – le nuove costruzioni si allineano nel semicerchio delle periferie, ma qualcuna è penetrata a lato dei preziosi palazzi ammantati di barocco. Ancora il morto non ci scappa, dato che il piano regolatore assegna a ciascuno il suo compito, ed è prevista un’armonizzazione delle pietre e delle memorie, com’è sempre stato”.
Un inconfondibile scorcio del mercato della "Vucciria", teatro di posa per ogni fotoreporter nella Palermo degli anni Cinquanta e Sessanta |
Ecco allora che le pagine dell’articolo di Glauco Licata dimostrano quanto l’ascesa dell’economia e della violenza mafiosa a Palermo sia stata a volte percepita e raccontata in maniera lacunosa.
Basta rileggere i dati sui 33 omicidi compiuti a Palermo nel 1961 ( contro i 26 dell’anno precedente ) per rendere incomprensibile l’indicazione secondo cui in città – in quei mesi – il morto non ci scappasse ancora.
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