La diffusione in Sicilia del carretto per il trasporto di merci o di persone risale probabilmente agli inizi del secolo XIX, quando le condizioni della viabilità isolana cominciarono lentamente a migliorare.
Fu allora che un crescente numero di artigiani iniziò a specializzarsi nelle costruzione di questi mezzi a due ruote, che in seguito avrebbero iniziato ad impreziosirsi grazie alle fastose decorazioni commissionate dai proprietari più ricchi ad abili pittori.
"Fino al 1815 - ha notato lo studioso Antonino Buttitta nel saggio "Il carretto racconta", edito da Edizioni Giada" nel 1982 - le industrie straniere, soprattutto inglesi, occuparono letteralmente l'intero mercato della Sicilia con i loro prodotti. A partire da tale anno una nuova politica doganale del governo borbonico, intesa a favorire le esportazioni e colpire le importazioni, determina i primi segni di un risveglio economico.
Un progresso notevole in questa direzione si ha infine a seguito della nuova tariffa doganale del 30 settembre 1824 che veniva a sopprimere completamente i dazi nelle esportazioni mentre aggravava ulteriormente quelli sulle importazioni. Dai positivi effetti di questi fatti si origina quel progresso dell'economia isolana a metà dell'Ottocento cui è strettamente connessa l'espansione dell'universo culturale siciliano anche a livello popolare. Come conseguenza delle mutate condizioni economiche dell'isola si ha infatti la nascita di nuove attività artigianali o la rinascita di quelle da gran tempo già quasi estinte...".
La diffusione del carretto come mezzo di lavoro e di trasporto fu insomma uno dei segni di quell'epoca di sviluppo economico.
Questi strumenti di locomozione ebbero in Sicilia dimensioni piuttosto ridotte rispetto ai modelli costruiti in altre regioni italiane.
Trasporto di zolfo a bordo di una nave a Porto Empedocle. La fotografia è tratta ancora una volta dall'opera "Sicilia" edita da Sansoni e De Agostini ed è accredita a Foto Pedone |
Questa caratteristica sembra essere legata allo scarso sviluppo della rete viaria isolana, che per gran parte dell'Ottocento permetteva di percorre brevi distanze e che quindi scoraggiava la costruzione di carretti adatti ad affrontare lunghi viaggi.
Ancora nel 1865, l'isola aveva appena 500 chilometri di strade su una superficie di quasi 26.000 chilometri quadrati, e cioè neppure 2 chilometri di carreggiabili per ogni 100 chilometri di superficie; di fatto, ben 177 comuni siciliani erano privi di strade.
Carreti sul corso del fiume Oreto, nella Palermo della fine del secolo XIX. Anche questa fotografia è opera di Eugenio Interguglielmi ed è tratta, come quella che segue, dal volume "Fotografi e fotografie a Palermo nell'Ottocento" citato in precedenza |
Le fotografie riproposte nel post da ReportageSicilia offrono un'antologia di carretti siciliani per lo più privi dei decori che celebrano le gesta di Orlando e Rinaldo o di Garibaldi.
Sono i discendenti dei primi umili carretti da lavoro agricolo, generalmente dipinti in giallo.
"Il carro - ha scritto il giornalista e scrittore Orio Vergani nel saggio "Colori di Sicilia", edito da ERI nel 1953 - era costruito a stretta regola d'arte nelle misure e nel peso adatti alle irregolarità delle mulattiere sassose e alle forze non grandi dei cavallucci di razza siciliana, infaticabili e intelligenti, ma non certamente robusti come quelli delle razze nordiche.
Il carrettiere chiese al pittore del paese, che quasi sempre era un modesto pittore di ex-voto, di dipingere sulle fiancate del carro qualche immagine sacra: le scene della Passione o le storie di Santa Rosalia e di Sant'Agata.
Così, nella lenta marcia attraverso le solitudini dei latifondi e delle montagne, le immagini della fede accompagnarono di villaggio in villaggio i primi carrettieri...".
In seguito, la decorazione del carretto sarebbe diventata il segno di prestigio e di ricchezza dei proprietari; vi si contarono numerosi commercianti che ostentavano il loro stato sociale anche allo scopo di attirare la clientela verso la propria mercanzia.
Altri carretti palermitani dinanzi Porta Felice. Il periodo è lo stesso delle fotografie di Interguglielmi, ma in questo caso l'immagine si deve a Giovanni Crupi. |
Non per questo, ai nostri giorni queste immagini di semplici e nudi carretti hanno un minore valore documentario: con la loro semplicità costruttiva, testimoniano infatti l'attività di tanti anonimi artigiani costruttori e la vita del mondo rurale e commerciale di una Sicilia ormai scomparsa.
Alcuni di questi elementari mezzi di trasporto percorsero strade e trazzere siciliane sino a qualche decennio fa, quando già in gran parte del resto d'Italia circolavano motocarri e furgoni: un segno dell'arretratezza di una parte della società siciliana.
Non del tutto scomparso, in verità: la si può infatti cogliere ancora oggi in quartieri popolari e nelle zone più depresse dell'isola, dove vecchi carretti accompagnano il lavoro di anziani braccianti e venditori ambulanti.
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