Nelle pagine del geografo Aldo Pecora, storia e funzioni degli edifici che hanno accompagnato lo sviluppo dell'economia rurale siciliana nell'età del latifondo
Una 'masseria' nelle deserte campagne agrigentine. La fotografia di Gaetano Armao è tratta dal volume "Sicilia", edito nel 1961 dal TCI per la collana "Attraverso l'Italia" |
"Questo Roccella," disse il commissario "è un diplomatico, console o ambasciatore non so dove. Non viene qui da anni, chiusa la casa di città, abbandonata e quasi in rovina quella di campagna, in contrada Cotugno appunto... Quella che si vede dalla strada: in alto, che sembra un fortino...".
"Una vecchia masseria," disse il brigadiere "ci sono passato sotto tante volte".
Così Leonardo Sciascia inserì l'elemento architettonico della masseria nella breve ed abilissima trama de "Una storia semplice" ( Adelphi, 1989 ); un lustro letterario procuratogli anche da altri scrittori e narratori dell'isola.
Altro esempio di 'masseria' sulle pendici del monte Erice, nel trapanese. La fotografia è attribuita a "Stefani-Milano" ed è tratta dall'opera "Sicilia" del TCI citata in precedenza |
Piuttosto diffuse sino a qualche decennio fa nelle campagne siciliane, le masserie sopravvissute all'abbandono dell'economia agricola latifondistica e al degrado causato dal tempo e dagli uomini vennero così descritte nel 1973 dal geografo Aldo Pecora:
"A me pare opportuno limitare il termine 'masseria' a quelle forme complesse di dimora rurale, che rappresentano il tipico frutto del latifondismo fondiario.
Sorta al centro dei feudi, in posizione rilevata e dominante, da cui lo sguardo liberamente e largamente spazia all'intorno, essa rappresenta il simbolo di una struttura agricola particolare, che in parte è stata distrutta, in parte ancora resiste ma in modo sempre meno tenace, e che comunque si mostra, dove costituisce un nucleo di più fervida attività agricola, protesa alla ricerca di un nuovo equilibrio.
Elemento distintivo della masseria è il cortile, che appare ben delimitato, quasi sempre, sui suoi quattro lati, da costruzioni dalle funzioni originariamente ben definite, ad un solo piano.
Solo su un lato la fabbrica mostra un secondo piano, oltre al terreno: è la parte riservata al proprietario, che via abita solitamente per un breve periodo durante il raccolto.
Accanto a questa - denominata villa o casa di campagna - cioè sullo stesso lato o su quello direttamente opposto, il giro delle costruzioni trova una breve soluzione di continuità nella porta, alta e ad arco leggermente svasato, che immette nel cortile.
La fabbrica massiccia, la relativa ristrettezza del cortile rispetto alla superficie occupata, dimostrano in modo chiaro che il cortile della 'masseria', a differenza di quello della 'cassina' lombarda, ha costituito un'area libera destinata al disbrigo di alcune faccende domestiche e al sicuro abbeveraggio degli animali stabulati.
In questo cortile, cioè, come capita oggi, non si doveva effettuare alcuna operazione agricola: tutto si svolgeva nei campi, e i prodotti arrivavano qui già pronti per essere immagazzinati. Del resto, il cortile della masseria è quasi sempre in ombra, e troppo stretto per un agevole movimento dei carri: il fieno stesso e la paglia dovevano essere riposti nei fienili ( 'pagghialore' ), come avviene ancora oggi nelle 'masserie' degli altipiani, per mezzo di asini che ne curavano il trasporto a soma dei campi.
Così considerata, la 'masseria' si presenta come una forma complessa, le cui caratteristiche dominanti sono da una parte l'area relativamente notevole occupata dal corpo edile, dall'altra la presenza di uno spazio racchiuso o cortile...".
"La 'masseria' - analizza infine Pecora - è sorta - e si è sviluppata soprattutto nei secoli dal sedicesimo al diciottesimo - come una manifestazione del capitale, come centro di direzione e di coordinamento della produzione: cioè come centro di sfruttamento, che delle piantagioni di tipo coloniale presentava alcuni dei più peculiari e negativi aspetti sociali, senza mostrarne la stessa intensità e perfezione di coltura.
La 'masseria' non era, e non è, in genere, un centro permanente di abitazione: come oggi, i contadini vi si portavano giornalmente al lavoro dai centri abitati, dove risultava più facile tenerli soggetti, imbrigliarne la volontà, ostacolarne il miglioramento economico e sociale, tenerli in uno stato di passività culturale le cui conseguenze sono tuttora palesi nel diffuso analfabetismo della classe contadina.
Il disgregamento del latifondo, iniziato in forma timida dall'inizio del secolo scorso ( il XIX, ndr ), doveva ovviamente comportare la decadenza di questo tipo di insediamento, così strettamente legato a forme economiche e sociali sorpassate ed anacronistiche.
Molte 'masserie' sono pertanto decadute con l'estinzione o la quotizzazione dei feudi, e rimangono nell'aperta campagna come il simbolo o testimonio di una struttura agraria opportunamente, anche se tardivamente, venuta meno: lo stato di abbandono e di diroccamento non impedisce tuttavia di afferrare il senso della decaduta potenza dei signori feudali...".
In questo cortile, cioè, come capita oggi, non si doveva effettuare alcuna operazione agricola: tutto si svolgeva nei campi, e i prodotti arrivavano qui già pronti per essere immagazzinati. Del resto, il cortile della masseria è quasi sempre in ombra, e troppo stretto per un agevole movimento dei carri: il fieno stesso e la paglia dovevano essere riposti nei fienili ( 'pagghialore' ), come avviene ancora oggi nelle 'masserie' degli altipiani, per mezzo di asini che ne curavano il trasporto a soma dei campi.
Così considerata, la 'masseria' si presenta come una forma complessa, le cui caratteristiche dominanti sono da una parte l'area relativamente notevole occupata dal corpo edile, dall'altra la presenza di uno spazio racchiuso o cortile...".
Una 'masseria' di più recente costruzione nelle campagne di Cammarata, nell'agrigentino. La fotografia è di Italo Zannier, opera citata in precedenza |
"La 'masseria' - analizza infine Pecora - è sorta - e si è sviluppata soprattutto nei secoli dal sedicesimo al diciottesimo - come una manifestazione del capitale, come centro di direzione e di coordinamento della produzione: cioè come centro di sfruttamento, che delle piantagioni di tipo coloniale presentava alcuni dei più peculiari e negativi aspetti sociali, senza mostrarne la stessa intensità e perfezione di coltura.
La 'masseria' non era, e non è, in genere, un centro permanente di abitazione: come oggi, i contadini vi si portavano giornalmente al lavoro dai centri abitati, dove risultava più facile tenerli soggetti, imbrigliarne la volontà, ostacolarne il miglioramento economico e sociale, tenerli in uno stato di passività culturale le cui conseguenze sono tuttora palesi nel diffuso analfabetismo della classe contadina.
Il disgregamento del latifondo, iniziato in forma timida dall'inizio del secolo scorso ( il XIX, ndr ), doveva ovviamente comportare la decadenza di questo tipo di insediamento, così strettamente legato a forme economiche e sociali sorpassate ed anacronistiche.
Molte 'masserie' sono pertanto decadute con l'estinzione o la quotizzazione dei feudi, e rimangono nell'aperta campagna come il simbolo o testimonio di una struttura agraria opportunamente, anche se tardivamente, venuta meno: lo stato di abbandono e di diroccamento non impedisce tuttavia di afferrare il senso della decaduta potenza dei signori feudali...".
Nessun commento:
Posta un commento