Il ricordo del palermitano Francesco Cappelli Uzzo in una pagina scritta nel 1932 dal drammaturgo Alessio Di Giovanni.
Combattente a 13 anni, raggiunse la fama anche in Messico recitando nella Compagnia Teatrale Siciliana
In tempi in cui la rete conserva anche la memoria dei nomi dei partecipanti ad una gita parrocchiale, quello del palermitano Francesco Cappelli Uzzo non compare in alcun motore di ricerca.
La sua dimenticata storia di garibaldino ed attore teatrale girovago è raccontata in un libro del poeta e drammaturgo Alessio Di Giovanni ( Cianciana, 1872 - Palermo, 1946 ) trovato da ReportageSicilia tra gli scaffali di una libreria antiquaria romana ( l'episodio dimostra che internet, senza la fonte cartacea, è destinata a rimanere una memoria monca ).
Il libro di Di Giovanni - "Teatro Siciliano", edito a Catania nel 1932 dallo Studio Editoriale Moderno - raccoglie le sue opere teatrali in dialetto rappresentate con successo anche nelle Americhe ed in vari Paesi europei: "Scunciuru", "Gabrieli lu carusu" e "L'ultimi siciliani".
Nella prefazione al volume, Di Giovanni ricostruisce l'arte e la personalità di Francesco Cappelli Uzzo, lodandone l'interpretazione parigina di massaro Paolo in "Malìa" - con Giovanni Grasso e Mimì Aguglia - e di frate Liborio, in "Scunciuru".
Prima di recitare con la Compagnia Teatrale Siciliana - al fianco di altri attori isolani, e fra questi Virginia Balestrieri, Maria Longo, Totò Majorana e Salvatore Lo Turco - Cappelli Uzzo si era definitivamente affermato come caratterista nella compagnia di Achille Lupi, a Fano.
Quando Di Giovanni scrisse di lui in "Teatro Siciliano", definendolo "povero e candido amico", l'attore palermitano era già morto da tempo imprecisato.
A ricordarne le doti teatrali - sino a questo post ignote ad internet - fu in quegli anni lontani anche la rivista messicana "El Mundo Ilustrado".
Il critico teatrale Carlos Gonzales Pena lodò infatti la sua "hermosa diccion" che ricordava "las tradiciones clasicas".
Questa è invece la storia di Francesco Cappelli Uzzo tramandata da Alessio Di Giovanni in "Teatro Siciliano":
"Il Cappelli era una singolare figura d'artista.
Egli oramai è ingiustamente un dimenticato.
Del resto, anche in vita fu poco noto in Italia e perfino in Palermo, sua patria, perché recitò sempre all'estero, prima nelle compagnie d'operette, poi con il Grasso e infine con l'Aguglia.
Fu un po' dappertutto.
Garibaldino a tredici anni, combatté a Bezzecca, a Mentana, a Monterotondo, a Digione.
Dopo, giovanissimo, debuttò come primo attore comico nella Compagnia Lupi, insieme con Maria Frigerio.
Fra gli attori siciliani di allora era il più colto e il più fine: un vero gentiluomo come Totò Majorana.
Francesco Cappelli Uzzo ( a sinistra ) in posa insieme ad Alessio Di Giovanni, opera citata |
Conosceva bene il francese e lo spagnolo, non ignorava il greco e il latino, che insegnò, per tre anni, nel Collegio Nazionale di Buenos Aires; scriveva anche buoni versi ed era un artista cosciente.
Alto, robusto, quando appariva sulla scena spiccava fra gli altri, non solo per la statura ma soprattutto per la sua personalissima arte scenica.
Egli non aveva impeti vulcanici, urli di dolore, schiamazzi, ma un'olimpica compostezza nei gesti e nelle parole, con la quale riusciva a strappare agli spettatori quegli applausi a scena aperta che sono, senza dubbio, i più spontanei e i più sinceri.
Aveva la suprema arte di farsi capire anche da quelli che ignoravano il siciliano, tanto la sua recitazione era chiara, spiccata, precisa e il suo gestire parco ed eloquente..."
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