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mercoledì 28 settembre 2016

SCATTI A MARGINE DELLA FESTA DEL SANTO PATRONO

Dall'archivio di Paolo Di Salvo, una raccolta di fotografie che insieme ai festeggiamenti per San Giuseppe raccontano uno spaccato sociale e culturale di Bagheria nel 1978

La statua lignea di San Giuseppe
viene rimossa dalla cappella della Chiesa Madre di Bagheria
in occasione della festa del santo patrono,
nell'estate del 1978.
Le fotografie del post fanno parte
dell'archivio di Paolo Di Salvo,
che le ha gentilmente concesse a ReportageSicilia.

Nell'estate del 1978, Giuseppe Tornatore e Paolo Di Salvo furono impegnati in un'intensa attività di documentazione a Bagheria.
Cinepresa e macchina fotografica furono utilizzati in primo luogo per raccontare il lavoro degli artigiani del carretto: i Ducato, gli Accomando, i Sottile, i Gagliardo.
Ad un certo punto, il loro lavoro coincise con la celebrazione a Bagheria della festa di San Giuseppe, patrono della cittadina palermitana: un evento capace allora di rendere partecipi gran parte dei "bagarioti", ed a cui Tornatore - molti anni dopo - avrebbe fatto omaggio in alcune scene di "Baaria".


"Il comitato organizzatore della festa del santo patrono commissionò a Tornatore un documentario sull'evento. 
La cosa non poteva non coinvolgermi - ricorda ora Di Salvo - e mi ritrovai così a fare l'attrezzista, l'autista, il fonico e, di straforo, anche il fotografo.
Quando non guidavo giravo con un registratore Nagra che penzolava dalla spalla sinistra, la borsa fotografica dalla spalla destra, le macchine fotografiche al collo, la cuffia in testa e il microfono in mano"



Prima, durante ed alla fine dei festeggiamenti per il santo patrono gli scatti di Paolo Di Salvo furono centinaia.
Quelle fotografie, in linea con la discrezione intessuta dall'autore intorno alle sue diverse attività di ricerca antropologica a Bagheria, sono rimaste chiuse per anni in un archivio.
Solo ora Paolo Di Salvo - per il quale vale il celebre aforisma sciasciano "io credo nei siciliani che parlano poco, nei siciliani che non si agitano... questo popolo ha bisogno di essere conosciuto ed amato in ciò che tace, nelle parole che nutre nel cuore e non dice" - ha voluto divulgare quelle immagini tramite ReportageSicilia; che è insieme una conferma delle sue doti di modestia proprie dei migliori uomini ed una gratificazione per questo piccolo blog.



Alla documentazione fotografica di quella festa patronale bagherese, l'autore ha aggiunto alcune notazioni che aiutano a guardare i suoi ( bellissimi ) scatti oltre il significato del semplice evento devozionale:
       
"La festa patronale, nei rituali in cui il popolo esprime la propria devozione, nel modo in cui si veste, in quello che mangia, nei divertimenti, in tutto quello che costituisce il distacco dal quotidiano, rappresenta uno straordinario spaccato culturale.
Essa continua a esistere nella forma in cui il popolo la rielabora, la rifunzionalizza, la vivifica mantenendone aspetti, cerimoniali ed elementi depositati dalla tradizione".





Quando nel 1978 ho fotografato la festa del santo patrono avevo chiare le modificazioni che erano intervenute rispetto ai ricordi che ne avevo di quando, bambino, gironzolavo tutto il giorno tra baracconi e bancarelle.
Forse è stato per questo che, con approccio documentaristico, ho preso ad esplorarne, nell'arco di tutta la giornata, gli aspetti che maggiormente appartenevano all'esperienza ed ai ricordi che ne conservavo.
Da questi scatti, che mi piace definire 'a margine della festa del santo patrono', è venuta fuori la documentazione dell'attività degli artifici materiali della festa e dell'immutata giocosa partecipazione dei bambini"




Grazie al reportage di Paolo Di Salvo, prendono così visibilità le scene della festa di San Giuseppe ricordate da Dacia Maraini in "Bagheria" ( Rizzoli, 1993 ), da lei definita:

"la festa in cui i bagarioti, che pure si lamentavano dell'estrema loro povertà, si svenavano regolarmente ogni anno.
Tre famiglie di fuochisti venivano pagate profumatamente per buttarsi in una gara di splendori il cui unico giudice sarebbe stato il popolo.
Intanto, il corso si accendeva di mille lampadine colorate.
Centinaia di bancarelle disseminate per le strade, esponevano allegramente, in mezzo a festoni di carta rossa e argento, granaglie di ogni genere: semi di zucca, di girasole, nocciole, noccioline, ceci, mandorle salate, mandorle caramellate; nonché gelati di campagna, gelo di mellone, sfinciuni, cucuzzate, cannoli, liquorizia in trecce, in fiocchi, in bastoncini" 



I processi di omologazione culturale degli ultimi decenni renderebbero oggi difficile la ricerca di quei rituali popolari legati alla festa religiosa colti quasi quarant'anni fa dalle fotografie di Paolo Di Salvo.
Anche la devozione collettiva nei confronti di santi e patroni - generatrice di quelli che Di Salvo individua come modelli culturali di una comunità - vive infatti lo stesso disimpegno che ha quasi cancellato l'ideologia dalla pratica della politica. 





Quanti bambini poi continuerebbero ai nostri giorni a giocare in strada, rinunciando alla bolla solitaria dello schermo di uno smartphone?
E quanti di loro possono oggi raccontare di avere gironzolato da mattina a sera fra i baracconi e le bancarelle di quella festa del santo patrono che riempì le ore del Di Salvo bambino?
Così, le fotografie di quella ormai lontana celebrazione di San Giuseppe diventano testimonianza dell'identità perduta di un'intera comunità, con i suoi caratteri personali ma perfettamente riconosciuti da ciascuno dei "bagarioti" di allora.

     

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