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mercoledì 5 ottobre 2016

LA LONTANA ETA' DELL'ORO DELLE ARANCE DI PATERNO'

Un reportage di Vincenzo Musco pubblicato nel 1957 dalla rivista "Sicilia" rievoca la ricchezza produttiva e commerciale di bionde, sanguigne, moro e tarocchi paternesi


"Riposo nell'aranceto" ( 1954 ),
opera di Giuseppe Migneco 

Ricordava Aldo Pecora in "Sicilia" ( UTET, 1974 ) che lo sviluppo dell'agrumicoltura siciliana, bloccato dalla seconda guerra mondiale, riprese insolito vigore dopo il 1945.
Aggiungeva Pecora che "le superfici agrumetate si erano raddoppiate lungo l'arco di cinquant'anni, fra il 1880 ed il 1930; ed ora più che si raddoppiano in poco più di vent'anni: 38.000 ettari in coltura specializzata nel 1946, 48.000 nel 1957, 84.500 nel 1969".
Luogo di produzione e centro commerciale degli agrumi - ed in particolare delle arance - fu allora e continua ad essere oggi Paternò.
Una descrizione dell'attività di raccolta e di esportazione del frutto negli anni Cinquanta si deve ad un reportage del giornalista e scrittore Vincenzo Musco ( Niscemi 1895 - Roma 1963 ).


"Raccolta delle arance" di Giuseppe Migneco ( 1957 )
Con l'abituale pseudonimo di Giacomo Etna, Musco - la cui vita culturale si sviluppò a Catania e in numerosi Paesi esteri di cui scrisse in saggi, racconti ed articoli - raccontò delle arance di Paternò in un articolo pubblicato dalla rivista "Sicilia" nel luglio del 1957: 

"L'arancio è venuto in Sicilia dall'oriente.
Per giungervi ha dovuto fare un lungo viaggio, costeggiando l'Africa, sostando in Portogallo e in Spagna; ma quando è arrivato, nel Seicento, nell'isola, si è sentito come in casa propria e ha preso radici ovunque, riscaldandosi e rinnovandosi al tiepido sole mediterraneo.
Se incantevoli sono gli aranceti della Conca d'Oro e di Palagonia, qualche cosa di regale hanno quelli di Paternò su cui vigila la mole quadrata del castello.
Essi si stendono sopra uno sperone basso del vulcano da tempo non funestato dalle eruzioni.



Le antichissime lave lavorate dalle intemperie e dalla paziente fatica dell'uomo sono diventate feconde e offrono agli eleganti alberetti una terra ricca di humus per cui i frutti acquistano un sapore che altrove non hanno.
Qui maturano le qualità pregiate come il 'biondo' il colore della cui polpa di un giallo dorato sono macchiate di striature rosso-cupo; il 'sanguigno' dalla buccia dorata e dalla polpa di rubino; il 'moro' dal rosso tanto cupo da sembrare quasi nero.
Dal 'biondo' al 'moro' il gusto diviene sempre più squisito fino a carezzare la gola con un succo che è ambrosia.
A novembre maturano i voluttuosi 'tarocchi' dalla buccia rigata da filettature d'oro; a maggio i 'calabresi', ultima offerta dell'Etna alla gioia delle mense.
Tra gennaio e febbraio trionfa il 'vaniglia' dal sapore dolcissimo e dalla buccia così delicata che non consente il trasporto ai mercati lontani.
La raccolta delle arance si svolge più intensa tra dicembre e i primi tre mesi dell'anno ed ha la solennità di un rito.
Si comincia coi 'manderini' che allietano i giorni di Natale e ornano, appesi a festoni di spinasanta, i presepi e le icone.
I raccoglitori con la berretta catalana pendente sulle spalle appoggiano leggere scale a pioli ai tronchi, e, muniti di panieri foderati all'interno di tela di sacco per attutire la caduta dei frutti, vi salgono su.



I frutti vengono tagliati ad uno ad uno e lasciati cadere nel paniere che pende da un piolo della scala.
Appena il paniere è colmo, un garzoncello ne porge un secondo al raccoglitore che continua la sua opera.
Quando ne sono colmi sei, il ragazzo se ne carica due coppie agganciate tra loro sulle spalle e s'infila gli altri, per i manici, nelle braccia e corre a depositarli nelle spiazze chiamate 'scalo'.
Gruppi di uomini seduti a gambe divaricate su sgabelli bassi e su seggiole senza spalliera, attingono a tre o quattro le arance dal paniere che hanno davanti, con un'affiliata cesoia recidono da esse i peduncoli, con i quali i raccoglitori le hanno staccate dai rami.
Così il frutto è preservato da urti che potrebbero minacciarne l'integrità durante i lunghi viaggi.
I 'peduncolari', selezionano anche i frutti secondo la loro qualità ed il loro stato di maturazione.
Con un gesto leggero, lanciano le arance nelle brillanti e odorose piramidi che si formano attorno a loro.
Altri operai le raccolgono e le depongono, secondo la loro qualità, in ceste foderate anch'esse di tela di sacco o in 'coffe' di giunco che vengono caricate su autocarri e carrette e trasportate ai magazzini di Catania.
Quivi le brune e agili 'aranciare' lavano i frutti e li asciugano nelle madie, passandole alle svelte 'incartatrici' che le avvolgono in quadratini di carta velina a fiorami vivacemente colorati.
Altre mani le depongono nelle cassette tra strisce di carta e così partono verso le navi che attendono nel porto o verso la stazione ferroviaria.



Un'aura di festa corre dai giardini alle case coloniche, dai magazzini in cui le arance subiscono l'ultima tolettatura ai cortili in cui si allineano le cassette e borbottano gli autocarri che le portano lontano.
La Sicilia manda il suo sole nei brumosi mercati di Londra e di Liverpool, nelle nere banchine di Amsterdam e di Oslo.
'Queste sono arance di Paternò' si dice e si sogna il paese appollaiato, come un gatto, sotto la bocca fumante del vulcano.
In alto, verso Zafferana, Maletto, Nicolosi, cade la neve.
In basso gli aranceti fioriscono al piagnucolio delle ciannamelle e al borbottio dei riottoli che saltellano verso la valle del Simeto"

Con la commercializzazione in Europa degli agrumi prodotti in California, Cile, Turchia, Algeria, Marocco, Grecia e Sudafrica, già agli inizi degli Settanta l'arancia di Paternò fece registrare una consistente crisi di mercato.
Oggi, le esportazioni verso Londra, Liverpool, Amsterdam od Oslo - solo per ricordare le città citate da Vincenzo Musco nel 1957 - sono solo un lontano ricordo. 
I produttori di Paternò, adeguandosi ai prezzi delle arance non siciliane, non riescono a vendere ad un prezzo superiore ai 10 centesimi al chilogrammo.



In pratica, le spese di produzione vengono recuperate a stento e la tentazione di abbandonare la coltivazione delle varie qualità si fa strada fra un numero crescente di piccole e medie aziende.
Di contro, malgrado l'istituzione di consorzi e di un distretto produttivo, mancano reali iniziative in grado di valorizzare il prodotto locale http://catania.meridionews.it/articolo/40459/piana-di-catania-arance-vendute-a-otto-centesimi-non-si-recupera-nulla-meglio-abbandonare-tutto/
Così, la fama delle arance di Paternò rischia di rimanere una storia del passato; e reportage come quello di Musco, un nostalgico tributo ad un pezzo di cultura agricola cancellata dalle logiche di mercato e dall'insipienza degli uomini.




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