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venerdì 21 settembre 2018

LE LAUREEN BACALL DELLA VILLA DEL CASALE NEL REPORTAGE DI SALVALAGGIO

Un operaio pulisce i mosaici
da poco scoperti nella villa tardo romana del Casale,
a Piazza Armerina.
La fotografia è tratta dal settimanale "Epoca"
del 28 luglio del 1951 

Giornalista, saggista e scrittore - una carriera che lo ha visto via via scrivere su "Il Giorno", "Epoca", "Il Tempo", "Corriere della Sera" prima di fondare la rivista "Panorama" - ed orgogliosamente veneziano, Nantas Salvalaggio ( 1923-2009 ) ha lasciato parecchie tracce di solidi legami con la Sicilia.
In molte delle sue opere ( da "Il salotto rosso" a "Il campiello sommerso", da "Italia come non detto" a "La nave dei miliardari" ) l'Isola è presente in maniera più o meno diretta, con i suoi paesaggi ed i fenomeni di costume e sociali ( a cominciare da quello della mafia ).
Nella guida "Vedere la Sicilia", edita nel 1985 da Edizioni Primavera, Salvalaggio offre poi alcuni bozzetti di vita quotidiana della regione, frutto dei tanti reportage qui realizzati da inviato di quotidiani e riviste.
Una dei suoi primi articoli riguardanti la Sicilia ebbe per tema gli scavi archeologici della villa romana del Casale, a Piazza Armerina.
Il resoconto venne pubblicato il 28 luglio del 1951 dal settimanale "Epoca": un pezzo che un tempo si definiva "di costume", ( intitolato "In punta di piedi nella stanza delle ragazze" ) che raccontava l'approccio assai poco scientifico degli operai che in quel periodo stavano faticosamente riportando alla luce le strutture ed i mosaici dell'edificio di tarda età romana:
   
"Da Piazza Armerina, gli operai addetti agli scavi vanno in contrada Casale a dorso di mulo.
I tecnici vengono invece da Siracusa - dalla Sovrintendenza alle Belle Arti - e hanno un pò di 'charme' e la disinvolta alterigia dei divi del cinema che vanno a girare un film in un paesetto e lì trovano delle comparse assolutamente sconosciute.
Ma la passione della ricerca archeologica è tutt'altra cosa dal cinema.
E' come una febbre.


Solo qui si spiegano certi personaggi favolosi, che si innamorano di una statua, e non possono più continuare a vivere senza di essa.
Neanche i cercatori d'oro capiranno mai qualcosa di simile.
E' davvero stupendo scavare sotto un campo di cavoli, e trovare, per esempio, una statua immensa, pavimentata a mosaico, e dentro certe figure a colori, così vive, così fresche, che il cuore resta come gelato dall'emozione.
Che cosa dorme sotto i nostri piedi?
Quali città sepolte, quali meravigliose ville aspettano d'essere liberate?
A Casale, poco a poco, ho veduto resuscitare una villa quasi intatta.
Ecco le colonne dell'ingresso, ecco le sale dei ricevimenti, le immense stanze dei bagni.
Le colonne, che gli operai lavano al sole, fanno pensare, da lontano, a bianche donne che si svegliano, e hanno solo voglia di stirare le braccia.
Ansimano i cavalli nel trasportare i carri colmi di pietre e di terra.
La villa, per diciassette secoli, fu oppressa da venti e più metri di terra.
Il tempo vi aveva camminato sopra, senza troppe delicatezze, con passo orrendo degli elefanti in mezzo ai fiori.
E le colonne, sotto il peso di tanti secoli, avevano ceduto, si erano piegate di fianco; e sulle stanze levigate, sui mobili, sulle anfore, sui bei vestiti precipitò la rovina.
Ci sono ancora, qua e là, tracce di incendio.
Chi morì fra queste mura, chi fu ucciso?
Forse, se gli operai stesso molto attenti, e per un istante smettessero di battere il suolo coi picconi, udirebbero le voci che la terra tenne prigioniere per tanti secoli.
Solo verso l'una del pomeriggio, quando gli operai smettono di lavorare e mangiano pane e mortadella, c'è un grande silenzio.
Le api e le farfalle vengono a curiosare in mezzo alle colonne dissepolte, e tutto sommato hanno un'aria molto sorpresa e non si rendono conto di quello che succede.
Fino a oggi è venuta alla luce un'immensa villa, che dovette appartenere a una famiglia patrizia del terzo secolo dopo Cristo.
Senza dubbio era gente che non risparmiava, e ogni cosa è improntata al lusso, alla nobiltà, e soprattutto al buon gusto.


Nell'ora in cui gli operai si riposano, io mi siedo per terra, sui mosaici, e contemplo i draghi, i giganti, i putti che pigiano l'uva, i legionari con la svastica; e penso alla differenza che passa tra questo pavimento costruito diciassette secoli fa ( al tempo in cui si ignorava che la terra fosse tonda ) e la mia stanza da pranzo a mattonelle blu ( costruita al tempo della televisione e dell'aeroplano ultrasonico ).
Mentre mi perdo dietro queste malinconie, l'archeologo Biagio Pace così riassume la sua esperienza in materia:

'Amico mio, fra diciassette secoli vorrei sfidare i miei posteri a capire i quadri dei miei contemporanei; al contrario, guardi queste donne, questi soldati: parlano un linguaggio chiarissimo; ci sentiamo molto più legati a queste creature vissute tanti secoli fa, che alle donne di Picasso'

La sera, quando si chiudono le baracche e gli operai rimettono nel cestino le posate e il tovagliolo, una luce bluastra scende sulla contrada Casale.
Le colonne, dopo un così tetro sonno di secoli, tornano a guardare la luna, se c'è.
E gli operai, prima di andarsene, passano in punta di piedi davanti alla 'stanza delle ragazze'.
Non ho mai veduto niente di simile: sono dieci donne ( purtroppo solo dipinte ) che giocano.
Una ha in testa la corona di lauro, e negli occhi la superbia della vincitrice.
Le altre sono ferme nei loro passi di danza che nessuno ha ancora interrotto.
Non si sono accorte di nulla.
Il mondo è tanto cambiato, dal terzo secolo dopo Cristo, ma le dieci ragazze sono sempre lì, né liete, né tristi.
I loro corpi non ricordano la bellezza opulenta della Venere di Milo, ma piuttosto le asciutte figure delle donne del nostro secolo; sono più vicine a Laureen Bacall, che a Giunone.
Gli operai, vi dicevo, non le finirebbero mai di guardarle; qualcuno si sdraierebbe volentieri accanto a loro, sperando che a un certo punto, magari a notte alta, la piantino di correre e di danzare.
Tutto ha un limite, anche i 'ludi' del terzo secolo.
Ma il capo chiama dal cancello, ci sono ordini severissimi.

'Ah, se avessi una fidanzata così',

mormora l'operaio Turiddu.
Poi accende una sigaretta, abbassa la fiamma fino al viso della ragazza che ha il lauro fra i capelli.

'Buonanotte, buonanotte, Antonietta',

le mormora dolcemente.
Sì, perché m'ero dimenticato di dirvi che ogni ragazza di mosaico è stata battezzata, man mano che veniva liberata dal peso della terra.
Qualcuno assicura che , appena uscita dal sole, Antonietta ha tirato un lungo sospiro.


Ma credo che sia meglio andarci piano per quanto riguarda le storie che si raccontano qui, a Casale.
Pensate che, l'altra mattina, gli operai hanno sparso la voce che uno degli archeologi ( non faccio nomi per ovvie ragioni ) era scappato con le dieci ragazze e si era imbarcato in un battello clandestino, da Taormina.
Ma la storia non poteva essere vera per due ragioni: primo, le ragazze dei mosaici sono serissime e non accettano la corte da nessuno; secondo, la moglie dell'archeologo non abbandona mai il marito e gira sempre armata"



  

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