Translate

mercoledì 7 agosto 2019

IL CIMITERO DEI FEROCI CANI DI VILLA PICCOLO

Il cimitero dei cani
di villa Piccolo di Calanovella,
a Capo d'Orlando.
Fotografie Ernesto Oliva-ReportageSicilia

"Sono tutti da guardia, e troppe volte, per avere dimenticato questa formalità, arrivando qui ad accogliere i miei ospiti, non riuscivo a vederli.
Eran tutti arrampicati sugli alberi, compreso qualche vecchierello con l'artrite: i miei cani avevano fatto il miracolo..."

Con queste parole la giornalista e saggista Camilla Cederna venne accolta dal poeta Lucio Piccolo di Calanovella durante la visita della villa di famiglia sulle colline messinesi di Capo d'Orlando che guardano le Eolie.
Il racconto di quell'incontro fra la Cederna ed il cugino di Giuseppe Tomasi di Lampedusa venne pubblicato nel 1966 in "Signore & Signori", edito da Longanesi.
Del rapporto fra i cani di famiglia ed il barone autore di "Canti barocchi" si trova traccia nelle cronache di molti altri scrittori e viaggiatori che hanno visitato la villa di Capo d'Orlando, da tempo sede di una Fondazione.
Al suo interno, un cartello avvisa oggi che i cani sono ben accolti nel vasto giardino che ospita il singolare cimitero dei meticci che un tempo terrorizzavano i visitatori di casa Piccolo.



Dentro un recinto rettangolare costruito con mattoni si contano 36 tombe ricoperte da aghi di pino e sovrastate da piccole lapidi in marmo; in ognuna, è scolpito il nome dei cani defunti sino alla morte di Lucio Piccolo.
La visita di questo singolare camposanto - insieme a quella della villa e del resto del vastissimo giardino - permette di avvicinarsi al mondo del fantastico e dell'esoterico che accompagnò l'esistenza di Lucio Piccolo e dei fratelli Casimiro e Agata Giovanna: un universo un pò opprimente, intriso di riferimenti poetici ed extrasensoriali molto lontani dalla luce mediterranea che avvolge la villa di Capo d'Orlando.
Del cimitero dei feroci cani di casa Piccolo ha così scritto Stefano Malatesta in "Il cane che andava per mare e altri eccentrici siciliani" ( Neri Pozza Editore, 2000 ):
  
"Il cimitero dei cani, una delle tappe obbligate per i visitatori continentali che venivano a trovare gli eccentrici fratelli, ha preso un aspetto nobilmente abbandonato.
Ma si leggono ancora sulle lapidi storte i nomi mediorientali degli animali, Alì, Mustafà, Emir, Muhammed, Pascià, insieme con quelli occidentali di Puck, Tock e Crabb.



Erano bestie enormi, incroci tra razze selezionate in base al peso e alla robustezza, che di notte venivano lasciate libere, e andavano a sgozzare le pecore nei dintorni, ritornando con i musi sporchi di sangue.
Allora niente pane fritto nell'origano, il loro pasto preferito.
Quando morivano, si celebrava un tenero funerale e i Piccolo s'inginocchiavano a pregare su degli inginocchiatoi.
Uno di questi inginocchiatoi me l'ha mostrato Calogero Bellini che è stato cameriere per vent'anni nella villa.
I cani avevano importanza smisurata nella vita affettiva e psichica dei fratelli.
Casimiro confessò a Vanni Roncisvalle, un giornalista siciliano venuto a girare un documentario sulla famiglia, di aver visto consecutivamente tre volte un cane morto da nove anni.
Due volte in carne ed ossa, la terza in trasparenza.
Poi il cane aveva fatto il giro della villa bussando a tutte le porte: "E' stato visto anche dallo chauffeur".



Bisogna dire che il barone dormiva di giorno e di notte girava per le stanze con un ingombrante macchina fotografica nella speranza di riprendere spiriti, anime vaganti di scomparsi, apparenze di umani e di animali defunti da tempo.
Di animo gentile, si preoccupava di lasciare bacinelle ricolme d'acqua lungo i corridoi, nel caso che le presenze, affaticate nello sforzo di materializzarsi, avessero avuto sete"

Nessun commento:

Posta un commento