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venerdì 14 marzo 2014

LA SEGRETA LISTA CHE DIEDE INIZIO ALLO "SCELLERATO PATTO"

Una pagina di Corrado Stajano ricorda l'inutile ricerca di un allegato al trattato di armistizio che dopo il 1943 avrebbe disposto il lasciapassare ai mafiosi che collaborarono allo sbarco in Sicilia  

Un tribunale alleato costituito
nel distretto di Agrigento.
L'anno è il 1943 e la fotografia
è riproposta dall'opera di Sandro Attanasio
"Gli anni della rabbia. Sicilia 1943-1947"
edita nel 1984 da Mursia

Il processo sulla trattativa fra Stato e mafia in corso da mesi a Palermo procede quasi a fari spenti.
In un Paese civile, la gravità dell'ipotesi accusatoria e gli episodi al centro del dibattimento - fra gli altri, il movente delle stragi di mafia del 1992 e del 1993 - meriterebbero ben altra attenzione da parte dei grandi mezzi di informazione.
Invece, questa dirompente materia processuale sembra poco appassionare la stampa  ( e di conseguenza i cittadini ) rispetto alle sorti del comandante Schettino o alle interviste rilasciate da Amanda Knox.


Due immagini dello sbarco alleato in Sicilia,
fra Agrigento e Palermo, nel luglio del 1943.
Le fotografie sono tratte
dall'altra opera di Sandro Attanasio "Sicilia senza Italia",
edita da Mursia nel 1976



La discussione dei rapporti fra Stato e mafia è come l'osservazione di un sottile foglio di carta velina in controluce: ombre e figure di quello storico rapporto si intuiscono con nettezza, ma nessuno sembra interessato a strappare il velo e indicare con chiarezza protagonisti e singoli episodi di quel legame.
Non è un caso che il primo grande "mistero d'Italia" riguardi ancora ai nostri giorni le reali responsabilità della strage di Portella delle Ginestre ed i retroscena dell'uccisione di Salvatore Giuliano.


Salvatore Giuliano nel 1948,
e, sotto, i funerali di due giovanissime vittime
della strage di Portella delle Ginestre.
Le immagini sono ancora tratte da
"Gli anni della rabbia. Sicilia 1943-1947",
opera citata



A questi ambigui temi si potrebbe poi aggiungere quello, ad esempio, dei motivi dell'ascesa criminale in Sicilia della mafia di Corleone, favorita dalle lunghissime latitanze di cui hanno goduto dapprima Luciano Liggio e poi i suoi fedelissimi Salvatore Riina e Bernardo Provenzano.
L'impressione che la ricerca delle verità sugli intrecci fra Stato e mafia sia opera velleitaria ed esposta ai rischi di isolamento - "chi tocca quei fili muore", diceva Giovanni Falcone - trova conferme da quanto scritto nel 2003 da Corrado Stajano.


Una fototessera giovanile
di Luciano Liggio.
L'immagine è tratta dall'opera
"Quelli della lupara"
di Rosario Poma ed Enzo Perrone,
edita da Edizioni Casini nel 1964 

Il giornalista e scrittore così analizzò la questione, ricordando nel saggio "Patrie smarrite, racconto di un italiano" ( Garzanti ) una corrispondenza epistolare di quarant'anni fa tra il presidente della Commissione Parlamentare Antimafia, Luigi Carraro e il ministro degli Esteri, Aldo Moro.
L'argomento riguarda l'appoggio fornito nel 1943 da Cosa Nostra allo sbarco alleato in Sicilia ed il sospetto delle garanzie in seguito fornite alla mafia per quell'ausilio:  
         
"Sulla mafia che ha favorito con ogni mezzo lo sbarco alleato in Sicilia del 10 luglio 1943 le mie informazioni sono ancor oggi incomplete perché toccano il nervo etico e di dignità degli Stati.
Gli alleati, gli americani, soprattutto, sono stati determinanti nella ricomposizione della mafia, l'hanno politicamente avallata, se ne sono serviti con cinismo. Ma mancano certi riscontri, difettano, non per caso, fonti e particolari.
Che cosa ha preteso la mafia in cambio della sua azione di favoreggiamento? Qual'è stato il 'pactum sceleris'?
Il 20 luglio 1974, il presidente della Commissione antimafia Luigi Carraro scrisse una lettera al ministro degli Esteri dell'epoca, Aldo Moro:

'La Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno della mafia in Sicilia che mi onoro di presiedere è stata informata dell'esistenza di un documento, fino ad ora non reso pubblico, che sarebbe allegato all'articolo 16 del trattato di armistizio stipulato nel 1943 tra l'Italia e le Potenze Alleate.
Poiché detto documento - che conterrebbe l'indicazione di numerosi elementi mafiosi cui sarebbe stata assicurata l'impunità - si rivela di enorme interesse ai fini della ricostruzione dell'evoluzione del fenomeno mafioso in Sicilia, oggetto, com'è noto, delle indagini demandate a questa Commissione, la Commissione medesima ha deliberato, nella seduta del 19 c.m., di acquisirlo ai suoi atti".

L'articolo 16 del Trattato di Pace
con l'Italia firmato a Parigi
dai Paesi alleati.
L'indicazione "New York" tra parentesi
indica il luogo della riunione
del Consiglio dei Ministri ed il Paese
del ministro proponente.
La pagina riproposta da ReportageSicilia
è tratta dall'opera
"Documenti della pace italiana"
a cura di Basilio Cialdea e Maria Vismara,
Edizioni politica estera, Roma, 1947.
La stessa pagina è presente nell'opera
"Omertà di stato" di Michele Pantaleone,
edita da Tullio Pironti nel 1993


Il 20 agosto di quell'anno, il ministro degli Esteri rispondeva: 

'Ho subito disposto accurate ricerche di archivio: Le rimetto, allegato alla presente, un appunto attinente ai primi risultati delle ricerche medesime'.

L'appunto era deludente come la lettera del ministro:

'Dalle ricerche all'uopo svolte tra i documenti di archivio in questo Ministero, non è stato possibile accertare, in punto di fatto, l'esistenza di un documento nel senso predetto.
Esso non risulta allegato al testo del così detto 'armistizio lungo' ( firmato a Cassibile il 3 settembre 1943 ) nè al così detto 'armistizio lungo' ( condizioni aggiuntive o 'atto di resa dell'Italia' ), sottoscritto a Malta il 29 settembre 1943 ( ... ).
Si è quindi portati a ritenere che la notizia, almeno nei termini in cui si è prospettata, non sia esatta ( ... ).
Sono comunque in corso, da parte del competente Ufficio Storico e Documentazione, ulteriori ricerche che si estenderanno in ogni possibile direzione, e sul cui eventuale esito si riserva di dare notizia'.

Non sapremo mai quello che è accaduto.
E' vero o non è vero che è stata concessa l'impunità a un consistente numero di cittadini italiani in cambio della loro collaborazione con le truppe alleate nella campagna di Sicilia?
Si parla di un elenco di 10 mila nomi di cui un migliaio di affiliati a Cosa nostra".


Una famosa immagine
di Giuseppe Genco Russo.
La fotografia è tratta
da "Gli anni della rabbia. Sicilia 1943-1947",
opera citata

L'articolo 16 del trattato di armistizio cui faceva riferimento Luigi Carraro recita così:
"L'Italia non incriminerà né altrimenti perseguiterà alcun cittadino italiano, compresi gli appartenenti alle forze armate, per solo fatto di avere, durante il periodo di tempo corrente dal 10 giugno 1940 all'entrata in vigore del presente Trattato, espressa simpatia od avere agito in favore della causa delle Potenze Alleate ed associate".
E' chiaro che un simile principio possa avere prestato il fianco ad un uso poco trasparente delle garanzie a favore di quanti hanno favorito le operazioni militari alleate in Sicilia; soprattutto se - come scriveva Carraro a Moro - l'articolo 16 di quel trattato conteneva un allegato "non ufficiale" con nomi di persone che in virtù dei loro servigi resi nell'isola agli Stati Uniti avrebbero da allora goduto dell'impunità nel territorio della Repubblica Italiana.
Chissà se, a leggere quell'elenco di 10.000 nomi ( fra questi, favoreggiatori e sodali dei governi e delle truppe alleate sbarcate in Sicilia ), la logica di certe lunghissime latitanze di mafia non sia poi così inspiegabile. 


martedì 11 marzo 2014

IL MOSAICO EDILIZIO DI NICOSIA


La fotografia riproposta da ReportageSicilia è tratta dall'opera "Sicilia" edita nel 1961 dal TCI ed è attribuita a Stefani-Milano.
L'immagine fissa lo scenografico aspetto dell'edilizia di Nicosìa, disposta sui declivi di quattro rupi: più che una fotografia, l'occhio sembra osservare un pannello nel quale tetti, finestre e portoni dei vecchi edifici compongono le tessere di un grande mosaico. 


domenica 9 marzo 2014

LE BIANCHE QUARTARE DI LENTINI

"Bummuli" e "nziri" in terracotta descritti nel 1966 nel "Repertorio dell'artigianato siciliano" 


Le "quartare" sono state in passato oggetti molto diffusi nelle produzioni isolane di utensili in terracotta, specie in quelle località dove esistevano cave d'argilla.
Se ne costruivano di fogge diverse e ciascuna aveva un nome specifico, cambiando definizione da provincia a provincia.
Destinati al trasporto di piccole provviste d'acqua, i "bummuli" avevano un collo lungo e stretto, in modo da evitare la fuoriuscita del liquido durante il viaggio; le "quartare" con la bocca e il collo larghi, invece, si definivano "nziri", e spesso disponevano anche di un coperchio.



"Le 'quartare' di Lentini - si legge in "Repertorio dell'artigianato siciliano", edito nel 1966 da Salvatore Sciascia con fotografie di Arno Hammacher - sono costruite di un'argilla leggera e porosa che, all'uscita dei forni, ha un colore bianchissimo.
Per una antica tradizione, i 'quartarari' di Lentini trattano l'argilla a lungo con comune sale di cucina e, nella fabbricazione al tornio, dedicano una cura particolare a rendere sottili le pareti delle brocche.
Le 'quartare' di Lentini sono famose e ricercate in tutta la Sicilia orientale in quanto conservano l'acqua a un giusto punto di freschezza sotto qualunque temperatura.
Una varietà caratteristica delle 'quartare' di Lentini è costituita da quelle a rilievi e con i manici intrecciati...".





venerdì 7 marzo 2014

STELLE MERCEDES ALLA TARGA FLORIO

Immagini dell'edizione 1955 della gara madonita, vinta dalla casa tedesca e dai suoi piloti d'eccezione: da Moss a Collins, da Fangio a Kling

La Mercedes SRL 300
di Moss e Collins vincitrice
della Targa Florio nel 1955.
Quell'edizione della gara madonita
è rimasta nella memoria
per la eccezionale e vincente partecipazione
della scuderia tedesca.
Le immagini del post sono di Bernard Cahier
e vennero pubblicate
nell'annuario "Autocorse 55/56 -
Review of International Motor Sport"


L'edizione numero 39 della Targa Florio, disputata il 16 ottobre del 1955, è rimasta impressa nella memoria degli annali dei cultori della corsa madonìta.
La gara vide infatti la vittoria di una Mercedes-Benz 300 SRL: una delle più prestigiose vetture nella storia dell'automobilismo mondiale, guidata da due leggendari piloti, Stirling Moss e Peter Collins.
Alle spalle dei fuoriclasse inglesi si piazzò l'altra Mercedes guidata addirittura da Juan Manuel Fangio, il campionissimo argentino in coppia con il tedesco Karl Kling.
Per gli appassionati siciliani, la Targa Florio di quell'anno offrì insomma la possibilità di ammirare piloti e vetture di una scuderia allora al massimo delle potenzialità agonistiche e tecniche.

Ancora un passaggio della Mercedes
di Moss e Collins.
La scuderia tedesca preparò
la Targa Florio sbarcando in forze
in Sicilia un mese prima della gara.
Il successo finale consentì alla Mercedes-Benz
di strappare alla Ferrari
il successo nel campionato del mondo marche

L'impegno della casa tedesca venne testimoniato dalla meticolosità di preparazione delle vetture in vista della gara, che ebbe luogo sulla durata di 13 giri per complessivi 936 chilometri; già un mese prima dell'evento, collaudatori, piloti e tecnici si erano trasferiti a Termini Imerese per provare il difficile circuito stradale.  
Grazie al successo ottenuto alla Targa - quell'anno ultima gara in calendario della stagione del campionato marche - la Mercedes-Benz riuscì a conquistare il titolo di campione del mondo, superando in classifica di un solo punto ( 24 a 23 ) la Ferrari.

Moss e Collins dopo la vittoria.
Al loro fianco, Vincenzo Florio

Il trionfo Mercedes-Benz venne completato anche dal nuovo record di velocità media sul giro - il terzo - realizzato da Moss: oltre 100 chilometri orari, con un tempo di percorrenza di 43'.07".
Il pilota inglese fu il vero mattatore di quella Targa, perdendo la testa della gara al quarto giro per un'uscita di strada nei pressi del rettilineo di Buonfornello; grazie all'aiuto del pubblico sarebbe riuscito a tornare alla guida, recuperando la prima posizione quattro giri dopo. 

Una nota immagine
della Ferrari 857 S
di Eugenio Castellotti e Robert Manzon,
terzi alla fine dei 936 km di gara

Altri protagonisti di quella Targa:
sopra, una Maserati A6 GCS,
sotto, nell'ordine,
la Ferrari 500 Mondial
di Antonio Pucci e Franco Cortese
e l'altra Maserati di Luigi Bellucci
e Maria Teresa De Filippis




La scuderia di Maranello - cui sarebbe bastato un secondo posto per battere in campionato la casa tedesca - sul percorso delle Madonie non riuscì così a vincere il suo terzo titolo consecutivo.
Di quella eccezionale edizione della Targa Florio, ReportageSicilia ripropone un disegno ed alcune fotografie, alcune già note, altre poco conosciute perché edite in un'opera quasi introvabile. 
Le immagini sono di Bernard Cahier e vennero pubblicate nell'annuario "Autocorse 55/56 - Review of International Motor Sport"; già in passato ReportageSicilia aveva riproposto dalla stessa rivista gli scatti relativi alla Targa disputata nel 1961 http://reportagesicilia.blogspot.it/2013/12/quella-bucolica-targa-del-1961.html.




    


"DON BASTIANO", L'ARCHEOLOGO ROMENO DI GELA

Il ritratto di Dinu Adamesteanu nel reportage "Viaggio in Italia" di Guido Piovene: storia e aneddoti di un singolare pioniere dell'archeologia nella Gela di sessant'anni fa


L'archeologo di origine romene
Dinu Adamesteanu.
La sua opera di studioso
dell'arte greca nell'isola
si è svolta in Sicilia
fra il 1949 ed il 1958.
ReportageSicilia ripropone
un brano delle pagine
dedicategli dallo scrittore Guido Piovene
nell'opera "Viaggio in Italia",
edita da Arnoldo Mondadori nel 1957.
L'immagine è tratta da
http://salentopoesia.blogspot.it/ 


Ci sono personaggi che hanno scritto pagine della storia siciliana, vivendo oggi nel ricordo di un ristretto numero di persone che sono stati al loro fianco o nelle pagine di qualche libro a loro dedicato.
Uno di questi uomini è stato l'archeologo romeno Dinu Adamesteanu, che fra il 1949 ed il 1958 lavorò agli scavi di Siracusa, Gela, Lentini e Butera.
Adamesteanu era arrivato in Italia da apolide e grazie ai suoi rapporti con Luigi Bernabò Brea e Pietro Griffo avrebbe lasciato una traccia fondamentale nella storia dell'archeologia siciliana, introducendo la topografia fotografica aerea; per i meriti scientifici dei suoi studi nell'isola, nel 1955 ottenne la cittadinanza italiana.


Una sala del museo archeologico di Gela
con l'esposizione di vasi, statuette, corredi funerari,
capitelli e sarcofagi.
la fotografia è tratta dal reportage
"Gela, statue e petrolio", pubblicato nel maggio del 1962
dalla rivista del TCI "Le Vie d'Italia".
L'immagine è attribuita a "Foto Scalfati" 

Dell'impegno di Adamesteanu in Sicilia - e della sua singolare figura di archeologo - rimangono tracce nelle pagine del libro di Guido Piovene "Viaggio in Italia", edito nel 1957 da Arnaldo Mondadori.
Lo scrittore e giornalista vicentino dedicò all'archeologo un ritratto ricco di aneddoti singolarissimi, che restituiscono la figura di uno studioso interamente prestato alla ricerca. 
Il reportage di Piovene focalizzò le sue attenzioni sul periodo in cui Adamesteanu si dedicò agli scavi nel territorio di Gela, la cittadina nissena all'epoca teatro anche delle esplorazioni petrolifere.
Piovene ricorda anzitutto che lo studioso romeno - probabilmente per assonanza fonetica - era conosciuto dai gelesi come "don Bastiano".


La dunosa costa sotto la collina di capo Soprano.
In questa zona sabbiosa Dinu Adamesteanu
diede il suo apporto alla scoperta
delle antiche fortificazioni di Gela.
Questa fotografia, al pari di quelle che seguono,
è attribuita a Leonard Von Matt
ed è tratta dall'opera "La Sicilia antica",
edita da Stringa Editore Genova nel 1964

Nel reportage si descrive quindi la scoperta casuale delle antiche mura militari della colonia greca: un piccolo proprietario terriero notò alcune pietre rettangolari affioranti dalla sabbia e cominciò a prelevarle per costruirsi una casa.
Qualcuno però raccontò l'accaduto, e quando la vicenda giunse a conoscenza del sovraintendente alle antichità Griffo gli archeologi corsero subito a verificare quanto stava accadendo; con loro sorpresa, scoprirono una muraglia alta nove metri che Piovene definirà "un enorme paravento perduto tra le dune, nello spazio deserto, solenne e oggi astratto da ogni realtà, una costruzione chimerica".


Un tratto delle antiche mura,
composte da pesanti massi di pietra calcarea

Per compensarlo del mancato utilizzo di quelle pietre, il costruttore della casa sarebbe stato ricompensato con la nomina a custode degli scavi e di un antiquarium. 
"Ritto davanti al muro - scrive ancora Piovene -  racconta le battaglie, rifacendo nella sua mimica i gesti dei guerrieri, e, da buon popolano della Sicilia, li divide non già in cartaginesi e greci, ma in saraceni e paladini, come nelle pitture dei carri o al teatro dei pupi". 

Le opere di conservazione
della muraglia, realizzate tramite l'utilizzo
di grosse lastre di cristallo e tettoie

Insieme agli altri archeologi, Dinu Adamesteanu avrebbe riportato alla luce quella straordinaria opera di architettura militare, lottando contro la sabbia scagliata loro dalle raffiche dello scirocco:
        
"Gela possiede dunque il più bel muro trasmessoci dall'antichità.
Nella parte della città già nota per gli scavi dell'anteguerra, è sorto anche un moderno museo, non ancora aperto al pubblico, dove si raduna il ricco materiale raccolto.
Qui possiamo conoscere meglio Adamesteanu, l'archeologo romeno divenuto italiano, popolarissima figura in tutta la zona, ribattezzato Don Bastiano per semplificarne il nome.


Stamnoi arcaici del VII secolo a.C.
"Cominciando da maggio - scriveva Piovene - Adamasteanu
vive sui luoghi degli scavi, spesso lontani e disagevoli,
al sole e alla pioggia, dormendo per terra a cielo scoperto..."

Don Bastiano è tra i pochi archeologi avventurosi che rimangono in campo. Un misto d'istinto e di calcolo fa sì che, uscendo all'aria aperta in un terreno tutto eguale, egli individua il metro esatto in cui bisogna affondare il piccone.
Cominciando dal maggio, vive sui luoghi degli scavi, spesso lontani e disagevoli, al sole e alla pioggia, dormendo per terra e cielo scoperto, portando in tasca un pane, una cipolla, un pezzo di cioccolata, tutt'al più una scatoletta di carne.


Una protome equina in terracotta.
All'epoca dei primi scavi archeologici,
i ricercatori si trovarono ad affrontare anche
il problema dei furti dei reperti appena recuperati

Scavare è l'unica sua cura. Solo recentemente, dopo anni di bivacco sulla proda dei fossi, gli hanno regalato una tenda.
Prima del dono un contadino, impietosito di vederlo all'aperto, gli cedette il casotto del maiale, sommariamente ripulito ed imbiancato, per ripararvisi la notte.
Ma il maiale, furente di essere stato espulso, riuscì un giorno a rientrarvi mentre don Bastiano era assente, e per vendetta fece a brani vestiti e biancheria, oltre ad ingurgitare sapone, pasta dentifricia, spazzolino da denti.


Statuette fittili di donne
che recano offerte a Demetra.
Piovene racconta dell'abitudine
dell'archeologo romeno,
da tutti conosciuto come "don Bastiano",
di dormire in una brandina all'interno del museo

A Piazza Armerina, dove don Bastiano arrivò una mattina con gli abiti a brandelli, si fece incetta d'indumenti a prestito per rivestirlo.
A Gela, don Bastiano dorme su un letto di fortuna in una sala del museo, adesso un vasto cantieri di oggetti in restauro, che gli specialisti riescono a ricomporre in modo per noi prodigioso da centinaia di frammenti sparsi e confusi nella terra.


Il vivo naturalismo e la vigorosa plasticità
di un sileno, una divinità dei boschi.
"Per contatto con l'elemento indigeno, siciliota -
spiegava "don Bastiano" a Piovene -
o anche perchè le razze greche non erano affatto uniformi,
qui si ha un'arte diversa
da quella della Grecia al di là dello Ionio.
I veri greci non avrebbero mai fatto
questi stupendi, capricciosi sileni..."

Vi è il profluvio di tutti i musei dell'Italia meridionale di statuette dedicate a divinità diverse, con predominio di Demetra, e di oggetti votivi tirati in serie come oggi; e in mezzo alcuni pezzi di straordinaria bellezza.
'Via via che progrediscono gli scavi e gli studi' mi dice don Bastiano ' viene sempre più in luce la varietà del mondo greco. E si precisa sempre più quello che fu chiamato l'anti classicismo dell'arte antica siciliana. Per contatto con l'elemento indigeno, siciliota, o anche perché le razze greche non erano affatto uniformi, qui si ha un'arte diversa da quella Grecia al di là dello Ionio.
I veri greci non avrebbero mai fatto questi stupendi, capricciosi Sileni'.
Mi indica, così dicendo, una fila di teste sileniche in materia fittile, realistiche, caricaturali.
'Tra parentesi, quando furono ritrovati, bastò che gli operai si voltassero la testa un attimo, perché sparisse il più perfetto. Per fortuna qui si sa tutto. Obbligammo l'incettatore, che già l'aveva comprato dal ladruncolo per poche migliaia di lire, a restituirlo al museo.


Una testa di gorgone.
"Non si sarebbero mai fatti in Grecia
templi colossali come a Selinunte e ad Agrigento.
Nè si sarebbero ammassati come è avvenuto ad Agrigento
 - osservava Adamesteanu -
tanti templi grandiosi in una valle sola.
Nè si trovano in Grecia, come qui,
cinquanta vasi tutti in una sola tomba.
Vi era già allora una tendenza sontuosa,
e quasi megalomane, nella Sicilia;
quella che, dopo il dominio spagnolo,
si chiamò spagnolesca"

Né i veri greci avrebbero mai fatto questi vasi, sui quali le divinità appaiono caricaturate, rittratte come gente spicciola con il suo lato comico. I veri greci si tenevano ai canoni. Ma qui tutti sfuggono ai canoni, domina la fantasia, l'empirismo, il realismo, l'estro individuale'.
La Sicilia, per don Bastiano, è la tipica terra del barocco perenne, un barocco che già fiorisce sotto forme greche, con figure che si tramandano dall'antichità sino alle pitture dei carri.
Era anche, la Sicilia, rispetto alla Grecia, quello che oggi è l'America rispetto a noi, la terra del ricco e colossale.
'Non si sarebbero mai fatti nella Grecia contemporanea templi colossali come a Selinunte ed Agrigento; né si sarebbero ammassati, come è avvenuto ad Agrigento, tanti templi tutti grandiosi in una valle sola. Né si trovano in Grecia, come qui, cinquanta vasi tutti in una sola tomba. Vi era già allora una tendenza sontuosa, e quasi megalomane, nella Sicilia; quella che, dopo il dominio spagnolo, si chiamò spagnolesca'.


Una statuetta in terracotta
affiora dal terreno a Butera,
altra località oggetto
delle ricerche in Sicilia
di "don Bastiano"


La varietà del mondo greco, la forza dei caratteri e degli apporti indigeni, le apparizioni del barocco nel classico, si definiscono con precisione crescente.
Gela non aveva pietra, e tutto, anche le statue, era fatto di materia fittile, plasmata con eccezionale fantasia e abilità.
Si riteneva fino a ieri che le ceramiche venissero dalla Grecia.
Oggi, a Gela e altrove, sono state scoperte alcune fornaci e gli stampi. 
L'originalità dell'arte siciliana si va così documentando...".



     

SICILIANDO













"La paura del domani e l'insicurezza qui da noi sono tali, che si ignora la forma futura dei verbi.
Non si dice mai 'dumani, vaju in campagna'. 
Si parla del futuro solo al presente.
Così, quando mi si interroga sull'originario pessimismo dei siciliani, mi vien voglia di rispondere:
'Come volete non essere pessimista in un paese dove il verbo al futuro non esiste?'
Le sole volte che il siciliano ha deciso da solo e si è rassegnato a far da solo la storia, disgraziatamente si è sbagliato".
Leonardo Sciascia

sabato 1 marzo 2014

IL TURISMO SICILIANO PRIMA DELLA GUERRA

Luoghi e volti dell'isola nelle fotografie che nel 1938 illustrarono la guida in lingua francese "Sicile", edita dall'Enit e dalle Ferrovie dello Stato


Una giovane donna in vestito estivo
ed in posa sullo sfondo del porto di Palermo
e di monte Pellegrino.
Le fotografie riproposte da ReportageSicilia
sono tratte dalla guida turistica
"Sicile" edita nel 1938 dall'Enit e dalle Ferrovie dello Stato


Le fotografie riproposte nel post da ReportageSicilia sono tratte dalla pubblicazione "Sicile", edita dall'Ente Nazionale Industrie Turistiche e dalle Ferrovie dello Stato.
Si tratta di una guida turistica dell'isola in lingua francese, stampata nel 1938 dall'Istituto Romano di Arti Grafiche Tumminelli di Roma e che all'epoca venne pubblicata anche in lingua italiana ed inglese.
L'interesse e la curiosità di questa guida risiedono in primo luogo nella rappresentazione di alcune località della Sicilia negli anni che avrebbero preceduto il secondo conflitto mondiale.
La scelta delle località ricalca il cliché del tradizionale tour turistico dell'isola: da Palermo a Siracusa, da Erice ( allora Monte San Giuliano ) a Segesta, da Agrigento a Taormina, da Cefalù a Selinunte.


Sopra e sotto,
due fotografie inusuali
dei teatri antichi di Siracusa e Taormina.
In entrambe le immagini
il protagonista è il pubblico:
quello siracusano indossa panama,
borsalino e pagliette.
A Taormina, gli spettatori occupano
il semicerchio della cavea



Accanto a immagini di maniera della Sicilia - l'Etna fumante sullo sfondo di un mandorlo in fiore, il chiostro di Monreale o la fontana d'Aretusa con i suoi papiri - i curatori della guida inserirono fotografie meno convenzionali.
La più curiosa - e che potrebbe essere il frutto di un fotomontaggio - è forse quella che ritrae una ragazza che non nasconde gambe e braccia sullo sfondo del porto e del monte Pellegrino, a Palermo.


Uno scatto rubato coglie l'immagine
non convenzionale di un gruppo folclorico

Un altro singolare scatto sorprende invece i componenti di un gruppo folcloristico mentre osservano divertiti una scena fuori dalla ripresa del fotografo.  
Nell'introduzione dell'opuscolo "Sicile" si legge:
"C'est l'ile de la Méditerranée la plus grande ( sic ), la plus belle et la plus pittoresque...".


Il prospetto di castello Utveggio,
in cima al Pellegrino, a Palermo.
All'epoca della fotografia,
l'edificio ospitava un albergo di lusso
che durante la guerra sarebbe stato
utilizzato come base militare

La pubblicazione di questa guida coincise con uno dei periodi più oscuri per l'economia turistica della Sicilia, regione al centro del Mediterraneo penalizzata da quelle tensioni ideologico-politiche internazionali che due anni più tardi sarebbero sfociate nella seconda guerra mondiale.
A pesare sui flussi di visitatori stranieri verso l'isola fu anche la politica finanziaria promossa da Mussolini, che rivalutò la lira italiana nei confronti della sterlina ( 90 lire per una sterlina ); la misura ebbe effetti negativi in primo luogo sulle esportazioni dell'industria verso l'estero e sul turismo internazionale in Italia.


Sciatori di fondo sulla neve dell'Etna

Una preziosa ricostruzione della situazione di quegli anni ci viene da un reportage pubblicato nel giugno 1955 dalla rivista mensile del TCI "Le Vie d'Italia", intitolato "La Sicilia e il turismo".

"Tutti i dati di cui possiamo disporre - scriveva Flavio Colutta - ci dimostrano che fino al 1928 il turismo nell'isola era assai fiorente. 
Decadde rapidamente subito dopo che il governo emise quel provvedimento finanziario chiamato 'quota 90', che provocò la messa in crisi del movimento turistico in tutto il Paese.
A questo punto vennero avanti le nubi e la Sicilia fu la prima a subirne le pesanti conseguenze, a causa della sua posizione nel punto più lontano dalle frontiere continentali.


Bagnanti sulla spiaggia di Mazzarò

Così l'isola, che del turismo aveva sempre fatto gran conto, piombò in uno stato di depressione economica che contribuì per la sua parte a sospingere nel basso l'industria del forestiero.
Nelle popolazioni si venne formando una psicologia di inerzia, di incapacità di progettare e di ardire; poche erano le amministrazioni comunali che avevano a cuore il turismo; ovunque vi era un contrasto evidente tra l'importanza delle città e l'attrezzatura degli alberghi; né le cose andavano meglio per ciò che riguarda i ristoranti e i ritrovi.
L'ultima guerra lasciò l'isola povera di tutto.


Una classica vista di Cefalù.
L'immagine rivela l'originario ambiente naturale
della sua periferia, lungo il tracciato
dell'attuale strada statale 113

Alla vigilia del conflitto, nel 1939, il patrimonio alberghiero era rappresentato in cifra assoluta da 6.711 posti letto, pari al 2,70 per cento del patrimonio nazionale. Nella graduatoria la Sicilia veniva undicesima.
I risultati conclusivi della guerra furono disastrosi; il bilancio delle perdite per requisizioni, bombardamenti, occupazioni, desolante.
Nel 1944 l'isola poteva contare su 2352 posti letto; in altre parole la Sicilia aveva perduto 4.359 posti letto ( in particolare Taormina registrò una perdita di circa 1.000 posti letto ), e cioè il 60 per cento della disponibilità d'anteguerra.
Il prezzo di tanta rovina? Oltre un miliardo di lire...".




Ai nostri giorni, il turismo è una delle poche risorse economiche dell'isola. 
I dati dell'Osservatorio Turistico della Regione indicano in 4.332.589 gli arrivi e in 14.218.445 le presenze nel 2012; in 201.772 invece i posti letti, suddivisi fra le varie categorie di alberghi, i campeggi, gli agriturismo, i BB e gli alloggi in affitto.
Nel corso del 2013, località come Cefalù, Taormina e le isole Eolie hanno visto diminuire il numero di visitatori, complice a volte la carenza di servizi essenziali di accoglienza ( la recente denuncia sul precario stato di quelli igienici del teatro antico di Taormina ne è solo un esempio ).
Così, fra musei spesso chiusi e difficoltà di gestione economica di monumenti ed aree archeologiche sul turismo isolano - ormai lontani i tempi delle penalizzanti politiche fasciste - pesano ancora le parole raccolte da Flavio Colutta nel 1955:

"Ci diceva uno studioso, parlando amaramente dei monumenti antichi di Catania:
'Può la Sicilia tenere una parte delle sue inestimabili meraviglie in stato di abbandono?
Sono queste le cose che i turisti si attendono dalla Sicilia, che vengono a vedere in Sicilia: una manifestazione sportiva in più o in meno, non ci se ne accorge neppure...'".