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giovedì 6 febbraio 2014

SICILIANDO














"Il fallimento politico dell'autonomia siciliana - che taluni, in buona fede, escludono, ma che emerge dai fatti - ci dice che la classe politica siciliana non ha saputo gestire gli strumenti di attuazione di leggi valide e coraggiose le quali, però, sono state immediatamente strumentalizzate"
Matteo G.Tocco

martedì 4 febbraio 2014

PORTAEREI AMERICANE AL FORO ITALICO


Melo Minnella ed Enzo Sellerio sono gli autori di due fotografie che testimoniano non senza ironia le frequentazioni militari americane a Palermo

E' ormai dal 1943 che la Sicilia è parte fondamentale degli interessi militari americani nel Mediterraneo.
L'ultimo manifesto aspetto di questa tendenza è legato alla contestata costruzione del sistema di telecomunicazioni della US Navy MUOS a Niscemi.
La presenza della base militare di Sigonella, l'utilizzo dell'aeroporto di Comiso per l'installazione nel 1983 dei 112 Cruise della Nato e le recenti esercitazioni di "marines" nelle campagne di Corleone sono solo i capitoli più noti della storia della presenza americana nell'isola.
Le due fotografie riproposte da ReportageSicilia rappresentano pezzi di quel racconto: il transito di gigantesche portaerei statunitensi a Palermo.
A firmare le due immagini sono stati due maestri della fotografia siciliana degli ultimi decenni, Melo Minnella ed Enzo Sellerio.
Gli scatti - presentati dal post nell'ordine - furono probabilmente realizzati in anni diversi.


L'unica datazione certa riguarda l'immagine di Enzo Sellerio, realizzata nel 1960 al Foro Italico ed ironicamente intitolata "L'oste conduce l'asinello a vedere la portaerei Independence".
Lo scatto è tratto dall'opera "Enzo Sellerio, Fotografie 1960-1989" edito nel 2000 da Federico Motta Editore.
La fotografia di Minnella potrebbe essere di qualche anno più recente e venne scattata dall'interno di Villa Giulia. 
L'immagine venne pubblicata in un libro edito nel 1979 da Linee D'Arte Giada di Palermo e dal titolo assai poco inerente le vicende militari anglo-siciliane: "Nei giardini di Palermo", scritto da Antonino Manfrè.

  


lunedì 3 febbraio 2014

LA "BRUCIANTE PASSIONE" DI CICCIU BUSACCA

Francesco "Cicciu" Busacca,
fotografato dall'etnomusicologo Roberto Leydi

Il cantastorie di Paternò nelle pagine di un articolo de "L'Illustrazione Italiana" del 1959 

"Stavo in mezzo al fango fino alla cintola. 
Vedevo passare ogni giorno dei cantastorie che si spostavano da un paese all'altro per fare il loro spettacolo. 
Io non volevo fare il cantastorie, volevo non fare solo più il cavatore di pozzolana. 
Così decisi di cambiare mestiere, e, in bicicletta, portando con me solo una seggiola, raggiunsi il primo paese dove non mi conoscevano.
Misi la seggiola per terra, e, solo, senza nessuno intorno, incominciai a cantare un fatto di sangue che avevo inventato e imparato a memoria. 
Subito arrivò della gente e alla fine tutti piangevano. 
Da allora incominciai a cantare e sempre veniva della gente. 
Io sono riuscito a fare piangere la madre e la sorella di Giuliano a Montelepre cantando una storia".

Cicciu Busacca è considerato come il più importante ( di certo, è il più noto ) fra i cantastorie siciliani e fu con queste parole che descrisse gli esordi in strada della sua carriera artistica.
Quel paese dove Busacca sperimentò per la prima volta il contatto con il pubblico fu San Cataldo, nel 1951, ed il fatto di sangue era un delitto d'onore compiuto a Raddusa.


Paternò, in una fotografia
firmata "Bromofoto Milano"
pubblicata nel 1960
dal volume "Sicilia" del TCI
  
Il ricordo autobiografico dell'ex cavatore di pozzolana, nato a Paternò nel 1925 e morto nel 1989 a Busto Arsizio, venne pubblicato nell'opera "Coste d'Italia - Sicilia", edita nel 1968 dall'Eni.
Luigi Lombardi Satriani e Annabella Rossi - che firmarono il capitolo etnologico del testo - scrivevano:

"I cantastorie ebbero nel passato una funzione di informazione, di trasmissione di notizie mediante tecniche, volte anche, a suscitare emozioni negli ascoltatori. 
Oggi, caduta la prima funzione, informativa, è rimasta solamente la seconda.
Ed è su questa che si basa il mestiere di Cicciu Busacca, cantastorie di Paternò, famoso tra le classi popolari siciliane e tra gli intellettuali del Nord per avere inserito nel suo repertorio non solo la morte di Kennedy, Papa Giovanni ed il terremoto del Belice, ma anche pezzi scritti da intellettuali".

Già da anni, in verità, la notorietà di Cicciu Busacca aveva superato i confini della Sicilia grazie all'esibizione in piazze e teatri di tutta Italia. 
La sua fama, sia pure limitata ad un pubblico di festival e spettacoli teatrali, andava ben oltre i confini degli ambienti 'intellettuali' descritti dai due etnologi.


Cartellone di un cantastorie isolano
tratto dall'opera "Le Coste d'Italia - Sicilia"
edita nel 1968 dall'ENI

Lontano dall'isola - ad esempio a Torino, nel 1965, in occasione del Folk Festival - Busacca aveva cantato la "Vita di Turiddu Carnivali" e "Lu trenu di lu soli" di Ignazio Buttitta, opere cardine nella sua vita di cantastorie. 
Finiti i tempi degli spostamenti in bicicletta - poi sostituita in Sicilia da una Seicento Multipla - il cantastorie catanese aveva vinto nel 1958 a Gonzaga il premio "Trovatore d'Italia".
Fu probabilmente anche grazie a quel riconoscimento che nel febbraio del 1959 la rivista "L'Illustrazione Italiana" gli dedicò parte di un articolo intitolato "Gli ultimi cantastorie", a firma dell'etnomusicologo Roberto Leydi.
Nel reportage - accompagnato dalla fotografia di Cicciu Busacca riproposta da ReportageSicilia - Leydi scriveva fra l'altro:

"Busacca è giovane, violento, animato da quel sacro fuoco diabolico che Garcia Lorca definisce 'duende' e dice proprio dei grandi cuori di Spagna.
Rappresentante perfetto del Mediterraneo, Busacca anima il suo gesto e la sua voce di una passione bruciante, più forte di ogni regola e d'ogni legge.
Il suo repertorio di cantastorie è assai vasto ma poggia su alcuni testi ormai 'classici' che costituiscono il fondamento della sua fama.
La storia di Giuliano, ad esempio, composta di oltre venti episodi e lunga, nella sua versione completa di canto e spiegazioni, quasi sei ore, oppure quella di Michele Terranova, o quella di Turi Firranti, o ancora quella indimenticabile di Salvatore Carnevale.
Legato alle vicende della cronaca, il cantastorie adegua i suoi testi ai fatti sempre nuovi di criminalità.
E' inevitabile che in questa misura non possa mancare l'accenno diretto ai delitti della mafia, alla dura storia della lotta politica.
E' appunto il caso di questa stupenda ballata che, scritta da Ignazio Buttitta, costituisce uno dei 'numeri' più fortunati ed efficaci di Ciccio Busacca. Col volto chiuso nel segno di un austero dolore, Busacca annuncia la storia di Turiddu Carnivali, il 'picciotto' che morì a Sciara ammazzato dalla mafia. 
'Per Turiddu Carnivali', dice Busacca, 'piange sua madre e piangono tutti i poveretti della Sicilia, perché Turiddu morì ammazzato per il pane dei poveretti'.
Poi comincia a cantare:

Ancilu era e nun avia l'ali,
santu nun era e miraculi facia,
ncelu acchianava senza cordi e scala
e senza appidamenti nni scinnia,
era l'amuri lu sò capitali
e sta ricchezza a tutti la spartia.
Turiddu Carnivali nnuminatu
e comu Cristu muriu ammazzatu...

Angelo era e non aveva le ali,
santo non era e faceva cose straordinarie,
saliva al cielo senza corde e scala
e senza ostacoli ne scendeva,
era l'amore il suo tesoro 
e questa ricchezza la divideva con tutti.
Salvatore Carnevale faceva di nome    
e come Cristo morì ammazzato...


Chitarra catanese
prodotta negli anni Sessanta dello scorso secolo.
La fotografia è di Arno Hammacher
ed è tratta dall'opera
"Repertorio dell'artigianato siciliano"
edita nel 1966 da Salvatore Sciascia 


Nei versi della 'Morti di Turiddu Carnivali' passano tutti i fatti e tutti i sentimenti della lotta politica siciliana.
Ecco l'occupazione delle terre 'sutta la russìa di li banneri', ecco l'intervento dei carabinieri, ecco le intimidazioni della mafia, ecco infine il delitto a tradimento, all'alba, in aperta campagna...

Sidici maju l'arba ncelu luci
e lu casteddu aautu di Sciara
taliava lu mari chi stralluci
comu n'artaru supra di na vara;
tra stu mari e casteddu na gran cruci
si vitti dda matina all'aria chiara,
sutta dda cruci un mortu, e cu l'aceddi
lu chiantu ruttu di li puvireddi

Il sedici maggio, la luce dell'alba nel cielo
e l'alto castello di Sciara
guardava il mare pieno di luci
come un'altare sopra una vara ( carro trionfale );
tra questo mare ed il castello una grande croce
si vide quella mattina nell'aria chiara,
sotto quella croce un morto, e con quello degli uccelli
il pianto disperato dei poveri
  
  
Sei anni dopo il reportage dedicatogli da "L'Illustrazione Italiana", Cicciu Busacca avrebbe vinto il Festival dei Cantastorie a Siracusa.
Curiosamente, proprio la Procura di questa città gli aveva riservato nel 1962 anche una sorprendente denuncia per avere diffuso particolari sulla morte di Salvatore Giuliano "tali da potere turbare il comune sentimento della morale e di potere provocare il diffondersi di delitti". 
In quegli anni, Busacca non rinunciò alla militanza politica, partecipando ad alcuni festival dell'Unità e prendendo parte a manifestazioni sindacali, occupazioni di terre e marce per la pace.
Nel 1970, il cantastorie di Paternò accettò l'invito della cantante toscana folk Daisy Lumini ad esibirsi con Rosa Balistreri nello spettacolo "Sicilia amara".
Il tour toccò anche il teatro La Ringhiera a Roma, e sembra che in quel periodo fosse solito cantare che "la mafia e la Sicilia sono due cose, una puzza, l'altra profuma".  
Quindi Cicciu Busacca venne in contatto a Milano da Dario Fo, entrando presto a far parte del Collettivo della Comune Teatrale.
Il nome di Busacca comparve così sulle locandine de "La Giullarata", di "Ci ragiono e ci canto numero 3" e di "Cuntrastu tra la morti e lu miliardariu".
L'esperienza con Fo coinvolse anche le figlie Pina e Concetta, regalando all'ex cavatore di pozzolana anche un certo benessere economico.





Locandine di spettacoli di Cicciu Busacca
con il Collettivo della Comune Teatrale di Dario Fo.
Il materiale è tratto da
http://www.archivio.francarame.it/francaedario2.aspx 



Le sue esibizioni teatrali furono tuttavia il segno che l'epoca del cantastorie di strada era finita per sempre, messo in disparte nei gusti del pubblico dalla televisione e dal cinema.
Con amarezza, Cicciu Busacca smise di esibirsi ed il suo trasferimento in Lombardia, pur non distaccandolo del tutto da Paternò, fu quasi il segno del distacco da un'attività artistica tramontata per sempre.
In rete si trovano si trovano numerose notizie su Busacca e ReportageSicilia segnala in particolare questi indirizzi:

https://it-it.facebook.com/pages/AMICI-DI-CICCIU-BUSACCA-CANTASTORIE-SICILIANO/245912545425712

http://www.musicameccanica.it/antologia_intervista_busacca.htm


    

venerdì 31 gennaio 2014

QUANDO LA LUCE SOLCO' LO STRETTO

Fotografie e numeri della costruzione dell'elettrodotto che nel 1955 unì Capo Faro alla Calabria.
Il materiale documentario è tratto da un'opera edita tre anni dopo dalla Società Generale Elettrica della Sicilia




L'elettrodotto dello Stretto di Messina
visto dalla costa calabrese
in una fotografia di Publifoto Milano
tratta dal volume "Sicilia"
edito dal TCI nel 1960.
I cantieri dell'opera vennero aperti nel 1952
e l'impianto entrò in servizio alla fine del 1955.
La realizzazione dell'impianto,
destinato ad incrementare la fornitura di energia
dell'isola, fu eseguita dalla Società Generale
Elettrica della Sicilia.
Le altre fotografie del post sono tratte dal libro
"L'attraversamento elettrico dello Stretto di Messina",
edito nel 1958 dalla stessa Società
 

In un clima tempestoso, il 27 gennaio del 1952 nei pressi di capo Faro venne posato il primo masso di una scogliera di protezione.
L'operazione - di per sé non particolarmente impegnativa - fu il primo atto della costruzione dell'elettrodotto che poco meno di quattro anni dopo avrebbe unito la costa calabrese a quella siciliana.
Il collegamento - approvato dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici nel dicembre del 1951 - venne completato con una tempistica tutto sommato celere.

Montaggio dei tralicci
sul versante messinese di Capo Faro

L'impianto entrò in servizio il 27 dicembre 1955 ed il 15 maggio dell'anno successivo ebbe luogo l'inaugurazione ufficiale.
Un esame approfondito della progettazione e dell'esecuzione della colossale opera è contenuto nel libro "L'attraversamento elettrico dello Stretto di Messina", edito nel 1958 per conto della Società Generale Elettrica della Sicilia da Libreria DEDALO Editrice di Roma.




Le spericolate fasi di montaggio
dei due tralicci, che al termine dei lavori
raggiungeranno i 224 metri.

Al suolo, si notano la scogliera
del fronte calabrese
e le barche dei pescatori messinesi
a poca distanza da alcuni magazzini.
Da notare l'abbigliamento degli operai,
la cui sicurezza era affidata
ad una semplice catena di ancoraggio:
sembra che in quell'estate del 1955 la priorità fosse
quella di proteggersi dal caldo



La rarità del libro - stampato in 1500 copie fuori commercio, ricco di fotografie e di indicazioni storiche e fisico-matematiche - ha spinto ReportageSicilia ha farne oggetto del post. 
Il volume è ancor oggi uno strumento prezioso di consultazione per comprendere molti aspetti della realizzazione dell'opera, grazie anche alla pubblicazione di numerose tabelle e grafici di carattere tecnico.
Ai contenuti scientifici del testo, poi, si aggiungono poi notizie sull'andamento dei lavori che attestano la complessità e pericolosità del progetto: basti guardare le fotografie degli operai in canottiera in cima ai tralicci per avere un'idea del pionierismo che 60 anni fa accompagnò l'impresa.   
I lavori delle due fondazioni dei tralicci iniziarono nell'estate del 1952; sulla sponda siciliana - a Torre Faro - furono compiuti dalla Ferrocemento, su quella calabrese - a Caporafi - dalla Cosiac.

Le operazioni di sollevamento
dell'equipaggiamento di sospensione
sul versante messinese

Funambolismi per la sistemazione
di un anello di amarro, utilizzato
per porre in linea i cavi elettrici


Una parte fondamentale del progetto riguardò gli studi preliminari di carattere topografico, geologico, geo-marino e meteorologico, in considerazione anche della delicata situazione sismica dell'area dello Stretto.
L'analisi di tutti i dati portò i costruttori ad escludere l'ipotesi di un collegamento elettrico tramite cavi sottomarini.

Il dettaglio di una scarpa a cingolo.
Sullo sfondo, la costa calabrese

Fasi del montaggio delle mensole,
durante le fasi finali di assemblaggio
del traliccio a Capo Faro

Una vista del traliccio messinese
al termine dei lavori di costruzione



"La soglia tra il Tirreno e lo Jonio - si legge nel libro - estende fra punta Pezzo e Ganzirri con una profondità massima di circa 110 metri; a Nord ed a Sud di tale soglia il terreno subacqueo si inabissa rapidamente sino a raggiungere dopo pochi chilometri la profondità di 300 metri.
A Nord il fondo si stabilizza a tale profondità, procedendo con lento declivio fino a raggiungere i 400 metri in mare aperto, a Sud esso seguita a sprofondare fino a superare i 1000 metri di profondità al traverso di Reggio Calabria.
All'inizio del secolo venne posato un primo gruppo di cavi telegrafonici sul tracciato punta Pezzo-Ganzirri, che allora sembrò il più conveniente.

Dalla sommità del traliccio di Capo Faro
lo sguardo spazia sullo Stretto e sulla spiaggia messinese 


Questi cavi furono abbandonati dopo pochi anni per il deleterio effetto delle correnti, le quali, sulla soglia, dove la Sezione dello Stretto è minima, si manifestano con la massima intensità e quasi uniformemente su tutta la sezione.
Nuovi cavi furono posti su tracciati meno tormentati dalle correnti; a Nord, su lunghezze di 15 chilometri e profondità massime di 400 metri, con acqua tranquilla, e a Sud, dove alla minor lunghezza, da 6 a 9 chilometri, fa riscontro una maggiore profondità e una ancora sensibile azione delle correnti.
Qualcuno dei cavi settentrionali dovette venire abbandonato, ma molti di più ne furono abbandonati nella zona meridionale, dove l'azione delle correnti, pur attenuata per la maggiore sezione, permane violenta...".



Il sollevamento di un anello di amarro
e le operazioni di stesura dei cavi dell'elettrodotto
fra i due tralicci.
Quest'ultima operazione venne compiuta
dopo la chiusura del traffico marittimo sullo Stretto

 



I cantieri per la costruzione dell'elettrodotto operarono sino all'estate del 1953; le operazioni furono difficili nel messinese, dove le fondazioni del traliccio furono realizzate su un terreno sabbioso e richiesero la messa in opera di quattro enormi pilastri in cemento precompresso e acciaio a 20 metri di profondità.
Il progetto dell'elettrodotto siculo-calabrese venne realizzato dalla Società Generale Elettrica della Sicilia, sulla base di uno studio dell'ingegnere Ferrando elaborato nel 1921 ed aggiornato dall'ingegnere Enrico Vismara.

Vista da Caporafi verso la costa messinese

L'opera - il cui costo fu preventivato in un miliardo e 200 milioni di lire - ebbe all'epoca lo scopo di incrementare la disponibilità di energia elettrica nell'isola, i cui consumi, nel 1950, risultavano triplicati rispetto ai dati del 1938.
Tecnicamente, l'elettrodotto avrebbe lavorato con una tensione pari a 220 chilovolt e la capacità di trasporto delle due terne alla tensione definitiva sarebbe stata di 300.000 chilovolt ampere.

Gli edifici del terminale di Capo Faro

Un tecnico alle prese con un oscillografo.
Il costo di costruzione dell'elettrodotto
fu di almeno un miliardo e 200 milioni di lire


L'impresa fece registrare allora numeri da record per complessità di esecuzione e impiego di materiale.
Le due torri - ciascuna dal peso di 450 tonnellate - raggiunsero l'altezza di 224 metri e furono costruite per resistere ad un terremoto del 10 grado della scala Mercalli e a raffiche di vento sino a 150 chilometri orari. 
I singoli pezzi furono costruiti a Milano ed assemblati sul posto da una squadra di 25 operai.
"Eccezionale ardimento - si legge ne "L'attraversamento elettrico dello Stretto di Messina" - è stato dimostrato dai tecnici e dalle maestranze della SAE ( Società Anonima Elettrificazione ) cui si deve il rapido e spettacolare montaggio delle torri, eseguito sotto la personale direzione dell'Ing.Bianchi.
Il lavoro è stato eseguito in due fasi: in un primo tempo è stato montato il fusto col metodo del falcone sospeso, in un secondo tempo sono state montate le mensole con un sistema di doppi falconi, che rappresentava una assoluta novità nel campo delle costruzioni metalliche.
Anche le operazioni di tesatura dei cavi si svolsero in due tempi. 
Un primo mese, il giugno 1955, occorse per mettere a punto il macchinario, costruito dalla AGUDIO e un secondo mese fu impegnato in una prima serie di tentativi. 
Dopo un mese di sosta e di preparazione, venne effettuato il secondo tentativo che vide il successo finale appena 22 giorni dopo l'inizio, il 22 settembre dello stesso anno".

L'area dello Stretto di Messina
in una rara fotografia a colori
antecedente la costruzione dell'elettrodotto.
L'immagine è tratta dagli archivi
dell'Ente Provinciale al Turismo di Reggio Calabria

Il cavo conduttore dell'elettrodotto, anch'esso costruito a Milano, misurava 3653 metri e fu posto ad un'altezza minima di 70 metri per consentire il transito lungo lo Stretto di navi di grandi dimensioni.
Per l'allacciamento dei cinque conduttori elettrici, il traffico marittimo venne bloccato dal 21 a 2 agosto, non senza incidenti.
Agli inizi di luglio, gli operai in servizio sulla sponda siciliana furono costretti a mollare alcuni cavi per evitare un urto con una petroliera norvegese.
Sei anni dopo - ad impianto già funzionante - una nave brasiliana colpì con l'alberatura i cavi che erano stati abbassati sulla sponda siciliana per sostituire due conduttori: le pesanti funi precipitarono a terra danneggiando alcune case di pescatori.
Il 7 luglio del 1970, infine, l'incidente più grave nella storia dell'elettrodotto sullo Stretto: quattro operai persero la vita, sempre nella zona di Torre Faro, per la rottura di un tirante d'acciaio. 





    

giovedì 30 gennaio 2014

DISEGNI DI SICILIA


EX VOTO TRAPANESE DEL 1878

domenica 26 gennaio 2014

GLI ASINI ED I MULI BENEDETTI DI GELA

Uno scatto di Federico Patellani ricorda un evento devozionale legato alla scomparsa realtà contadina del centro nisseno


L'immagine riproposta da ReportageSicilia porta la firma del fotografo monzese Federico Patellani e risale agli inizi degli anni Cinquanta dello scorso secolo.
La fotografia, scattata a Gela, venne pubblicata nel volume "Sicilia" edito dal TCI nel 1960 e mostra una processione di muli e asini riccamente ornati da mantelli, nastri e pennacchi.
Con tutta probabilità Patellani scattò l'immagine in una giornata che il calendario fissava in un 17 gennaio, festa di Sant'Antonio Abate e patrono degli animali.
Ancora in quegli anni, in Sicilia la ricorrenza religiosa comprendeva la consuetudine di benedire gli animali che accompagnavano la vita e le attività economiche dei contadini: muli, asini, pecore o mucche.
Il progressivo passaggio da una realtà rurale a quella industriale - legata allo sviluppo delle attività del petrolchimico - hanno quasi del tutto cancellato a Gela il ricordo di quel curioso evento devozionale.

SICILIANDO














"Mi è difficile ricordare da quale momento ho incominciato a pensare alla Sicilia. E non so neanche se avessi sperato di vederla un giorno.
Essa esiste in me da una data incerta, testarda e incitante, ossessiva come ogni prodigio che non riesco a comprendere.
Quel triangolo di terra - che, paradossalmente, figura anche sulla carta geografica! - era per me un'atlantide convenzionale, inventata per necessità di dimostrazione e di simbolo, la terra dei terribili racconti sulla mafia e dei film neorealisti, così come Yoknapatawpha è la terra dei romanzi di Faulkner, e Eldorado, il paese ideale di Voltaire.
Che Agrigento, Siracusa, Segesta o Selinunte, o tanti altri antichi nomi ellenici, fossero di lì, che lì era nato Archimede e che lì era morto, che Pindaro avesse innalzato lì degli inni, che attraverso l'alveo della Sicilia fossero passate in qualche centinaio di anni undici dominazioni straniere, tutte queste erano delle astrazioni buone da insegnare alla scuola.
Carica sopra la linea galleggiante della storia, l'isola si era sprofondata per me, e proprio con la mia affettuosa complicità, nella leggenda"
Ana Blandiana