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mercoledì 2 aprile 2014

SICILIANDO














"Uno che conobbe i siciliani di vent'anni fa scrive:
'Il siciliano, per lo meno quello della Sicilia occidentale, che è considerato il peggiore, il siciliano, il pover'uomo, il piccolo possidente - l'uomo insomma che vive alla giornata - ha bisogno di espansione, di franchezza, di verità.
Andategli a viso aperto colla verità, ed egli, foss'essa anche una condanna, vi si sottomette.
Fategli comprendere l'inesorabilità di certe cose, e a lui basta questa sincerità.
Insomma, coi siciliani non bisogna adoperare sutterfugii, scappavie o che so io; no, bisogna dir tutto e mantenere sia in bene che in male...
Se potete, accordate; se non potete, non andate per le lunghe, ma dite chiara e tonda la ragione, e quando la ragione è buona, basata sulla giustizia, è subito intesa.
Da vent'anni a questa parte le cose possono essere cambiate, ma il carattere non muta facilmente: sarà sempre quello...'"
Carlo Corsi, 1894  

martedì 1 aprile 2014

IL VIAGGIO DEL "GATTOPARDO" NEI DISEGNI DI FULVIO BIANCONI

Il paesaggio del romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa nei bozzetti dell'artista padovano, pubblicati nel 1959 dalla rivista del TCI "Le Vie d'Italia"

La rocca del paese di Marineo
durante il faticoso viaggio dei Salina
verso Donnafugata, episodio tratto
dal "Gattopardo".
I disegni riproposti da ReportageSicilia
sono di Fulvio Bianconi e sono tratti
da un articolo di Flavio Colutta
pubblicato nel febbraio del 1959
dalla rivista del TCI "Le Vie d'Italia"

L'undici novembre del 1958 - sedici mesi dopo la morte dell'autore, a Roma - il "Gattopardo" venne pubblicato da Feltrinelli con una prefazione di Giorgio Bassani.
La stampa del romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, come è noto, ebbe un successo internazionale; quotidiani e riviste dedicarono le loro attenzioni all'opera di un personaggio che sino ad allora era rimasto sconosciuto al panorama della letteratura italiana.

Il paese di Prizzi, altra tappa
del viaggio dei Salina nelle pagine
di Giuseppe Tomasi di Lampedusa.
L'articolo del TCI seguì di tre mesi
la pubblicazione del romanzo edito da Feltrinelli

Il paese di Bisacquino,
altro luogo rappresentato
 da Fulvio Bianconi.
L'artista padovano ha lasciato
una vastissima produzione
di oggetti in vetro, incisioni,
dipinti e disegni


Una curiosa testimonianza delle attenzioni suscitate all'epoca dal libro è contenuta in un articolo pubblicato nel febbraio del 1959 dalla rivista del TCI "Le Vie d'Italia".
Il reportage è intitolato "Il paesaggio nel 'Gattopardo'" ed il testo di Flavio Colutta venne accompagnato dalle illustrazioni del disegnatore Fulvio Bianconi.
Il testo di Colutta descriveva il paesaggio dell'isola seguendo la traccia letteraria del viaggio dei Salina fra Palermo, Marineo, Prizzi, Corleone, Bisacquino e Donnafugata: paese quest'ultimo creato dalla fantasia di Tomasi di Lampedusa, nel ricordo della casa di Santa Margherita Belice dei Filangeri di Cutò e del feudo di famiglia di Palma di Montechiaro.
I disegni del padovano Bianconi - artista eclettico, nato nelle fornaci di Murano a plasmare il vetro in pezzi unici e poi diventato pittore, incisore, fotografo ed illustratore - completarono il racconto di Collutta.

Un momento del viaggio dei Salina
nelle campagne palermitane ed agrigentine

Un particolare del giardino palermitano
della residenza dei Salina in via Butera,
dinanzi al mare del Foro Italico.

Fra i soggetti del bozzetto
spicca il cane Bendicò,
uno dei protagonisti del romanzo


I bozzetti gattopardeschi di Bianconi - basati sulla semplice lettura delle pagine del romanzo - riproposero ora con tratto pieno e deciso ora con leggerezza gli aspetti paesaggistici e le figure di quella "Sicilia feudale, quella dei principi e dei baroni; e le colline silenziose dove non si vede vita - scriveva Colutta - riflettono una cruda luce gialla".

La grafica del titolo dell'articolo
di Flavio Colutta pubblicato
da "Le Vie d'Italia"

L'isola descritta da Colutta durante la lettura del "Gattopardo" e disegnata da Bianconi, "non è la terra promessa del sole e della primavera perpetua che appare passando lo Stretto, calma e sorridente nel suo mare opalino; ma è, nella massima parte, questa che Tomasi descrive, le brulle pendici dei feudi, un''aridità ondulante all'infinito in groppe sopra groppe' più pallide del cielo, che per lunghe distanze ignora la presenza di anima viva, soffocata dallo squallore, dove la bellezza delle coste, le chiese adorne di mosaici, i palazzi nobiliari si perdono in grosse pennellate di colore vivido, e nulla più...".      

sabato 29 marzo 2014

UNO SCATTO VERISTA A SAN NICOLO' L'ARENA

Scena di pesca quotidiana sul mare della borgata palermitana in uno scatto di Josip Ciganovic


"Dopo Altavilla la costa si fa ripida e dall'alto della rupe sulla quale la strada si inerpica offre uno squarcio di scogliera selvaggia e il mare diviene dominante nell'immenso respiro dell'orizzonte dilatato.
Talune torri sbrecciate suggeriscono antichi fatti di corsari e recano il senso della storia e dell'uomo in un luogo senza contingenza.
Dove poi la costa si fa dolce e la campagna s'adegua al mare è il villaggio di San Nicolò l'Arena con il piccolo castello sulle onde...".
Così nel 1962 lo storico dell'arte Giuseppe Bellafiore descriveva la costa palermitana che da Altavilla Milicia conduce a San Nicolò l'Arena, frazione di Trabia.
A quella che all'epoca era ancora un'attiva borgata marinara e al suo castello - sorto come struttura a tutela di una tonnara - ReportageSicilia ha già dedicato un post http://reportagesicilia.blogspot.it/2013/12/quelloscura-fama-del-castello-di-san.html.
L'occasione di riproporre un'immagine di San Nicolò l'Arena è offerta in questo post da una fotografia di Josip Ciganovic tratta dal volume di Aldo Pecora "Sicilia", edito da UTET nel 1974.
La datazione dell'immagine di pescatori è posteriore di almeno un decennio rispetto a quell'anno. 
Nella convenzionalità del soggetto, lo scatto di Ciganovic coglie l'identità collettiva assicurata alla borgata dalla tradizionale pratica della pesca. 
Il fotografo serbo vi aggiunge anche un dettaglio in chiave verista: tale è ad esempio quello dell'uomo che nuota sul basso fondale, a pochi metri dalla banchina del porticciolo.

    


mercoledì 26 marzo 2014

ENNA, RISERVATA E DALLE TRADITE SPERANZE

Un reportage di Giovanni Centorbi svela nel 1965 il carattere severo di Enna e le promesse oggi svanite del suo sviluppo


Una panoramica di Enna,
la città siciliana raramente oggetto di reportage.
Quello riproposto da ReportageSicilia risale
al dicembre del 1965 e venne pubblicato
dalla rivista del TCI "Le Vie d'Italia",
a firma di Giovanni Centorbi.
Tutte le fotografie vennero eseguite
dall'"Agenzia Scafidi" di Palermo

La si incrocia percorrendo l'autostrada che unisce Palermo e Catania, ma difficilmente la si visita: il viaggiatore ne scorge per pochi minuti il profilo aggrappato alla montagna e prosegue la sua corsa.
Insieme a Caltanissetta, Enna è l'unica città della Sicilia a non rientrare nei normali itinerari turistici dell'isola: è troppo fredda e piovosa nei mesi invernali ed è troppo lontana dal mare per frequentarla in quelli estivi. 
Nel resto dell'anno, i viaggiatori gli preferiscono l'area archeologica di Piazza Armerina ( cittadina che strappò ad Enna anche l'ambita sede del vescovado ) rendendo legittimi i dubbi espressi nel 1984 da Matteo Collura.
"'Città pericolosa' definì Enna, Gastone Vuillier", scriveva in "Sicilia sconosciuta, cento itinerari insoliti e curiosi" ( Rizzoli )
Quindi Collura si domandava: 
"Pericolosa per il clima? O per il suo ammaliante fascino di città rupestre, luogo ideale per incantamenti e riemergere di miti?".


Scena di vita quotidiana
nei pressi della chiesa di San Francesco d'Assisi

Il destino di solitudine della città posta al centro dell'isola ha fatto sì che ben pochi giornalisti o narratori abbiano sentito il bisogno di raccontarla.
Così, spicca un reportage pubblicato nel lontano dicembre del 1965 dalla rivista del TCI "Le Vie d'Italia", a firma del giornalista e scrittore catanese Giovanni Centorbi ed intitolato "Enna antica e moderna".
A firmare le fotografie di quell'articolo - ora riproposte da ReportageSicilia - fu la "Agenzia Scafidi" di Palermo.


Uno scorcio della nuova Enna
nel retaggio di una società legata
a tradizionali forme di vita e lavoro 

"Città singolare, anche se a volte indecifrabile, che fu arbitra e vittima delle proprie sciagure fin dalle lontanissime origini, antesignana delle guerre servili e di una tenacia disperata nella difesa di sé - scriveva Centorbi - Enna è oggi nei suoi abitanti ( oltrepassando da tempo il numero di trentamila anime ) fedele come ieri ad un costume, anzi ad uno stile di vita che la distingue nettamente dalle altre popolazioni: riservata, contegnosa, spesso d'umore triste, pittoresca senza saperlo nella severità dei suoi rituali durante le processioni religiose, che inspecie il due luglio rinnovano intorno all'effige di Santa Maria della Visitazione classiche forme e colori dell'antica Grecia, mentre nella settimana di Pasqua i riti del Venerdi Santo assumono, coi funebri paramenti di strade e di case, un'impressionante, luttuosa grandiosità".


L'antichissima ed aspra natura di Enna
sembra emergere anche nei suoi scorci

Ricordando il Castello di Lombardia e gli studi archeologici di Paolo Orsi, Rossbach, Herbig, Adrian e di Alfredo De Agostino, Centorbi indicò allora la parte turisticamente più viva della città nelle "molte e belle chiese del Cinquecento e dei due secoli successivi, compresa la cattedrale, con la facciata secentesca e con le absidi del Trecento; chiese che nella Enna dei palazzi nuovi e delle nuove strade, fanno da ornamento e da sfondo, assieme a un gioiello quattrocentesco, il palazzo Pollicarini".

L'eleganza severa della torre ottagonale
fatta costruire da Federico II 

Infine, il reportage del TCI non mancò di tracciare un quadro sulla situazione economica di Enna e della sua provincia di allora:
"La terra: essa dà i cereali, i frutti, le ortaglie, ma offre anche a Enna dalle sue viscere i prodotti minerali. 
S'è aperto un gran ciclo, nel quale l'industria delle miniere e delle cave ( che vanno sempre di più mutando l'aspetto del paesaggio ), avrà non diremo il primo posto, ma gradualmente un effetto decisivo nell'economia della provincia.
Sui dossi che circondano l'altopiano, scavi all'aperto fumano di vapori acri, polvere di zolfo estratto per approvvigionare le industrie chimiche siciliane sparse sui campi un sottile manto giallastro.
Le operazioni di sterro sono state condotte dall'Ente zolfi, che ha reperito inoltre vasti giacimenti di sali potassici ( una riserva di circa 74 milioni di tonnellate, in fase di sfruttamento ) nei territori di Valguarnera, Mazzarino, Leonforte, Nicosia.


Il belvedere Marconi

A quest'opera di potenziamento economico danno un appoggio notevolissimo i gruppi industriali del nord, fra cui la Montecatini, che ha impianti per l'estrazione di sali potassici a San Cataldo e a Campofranco, e a Aidone la Snia Viscosa, con gli stabilimenti per la fabbricazione della cellulosa.
Proseguono intanto, da parte di aziende specializzate, gli investimenti nel campo zolfifero, in concorrenza con il mercato americano.
Questa, a nostro avviso, può essere la fortuna di domani, la via che nel futuro potrà condurre a una posizione di prestigio l'economia di Enna, ora a metà fra la terra e la miniera.
Senza voler fare gli indovini, ci sembra di vedere una svolta importante nel destino delle nuove e più impegnate generazioni...".


Lo scenografico santuario di Papardura,
in uno scenario dove l'asprezza di una natura millenaria
accoglie le testimonianze del moderno

Cinquant'anni dopo, l'ottimistico vaticinio di Giovanni Centorbi sulle fortune economiche di Enna è stato drammaticamente smentito dai fatti.
Le richieste dello zolfo da parte del mercato internazionale sono svanite, mentre le risorse agricole hanno dovuto fare i conti con la globalizzazione del commercio e le carenze imprenditoriali locali.
Da qualche anno Enna e la sua provincia fanno registrare i tassi di disoccupazione fra i più alti d'Italia; l'ultimo grido di dolore su questo stallo economico, nei giorni scorsi, è stata una "Fiaccolata per il lavoro" organizzata da varie sigle sindacali ed associazioni di categoria. 


   

   

domenica 23 marzo 2014

LA "TIRATA" DELLE BARCHE DI RIPOSTO

Le pagine di Santi Correnti dedicate al ricordo dello stivaggio dei bastimenti spiaggiati sulla sabbia di Riposto 

La spiaggia catanese di Riposto
con il profilo dell'Etna.
Entrambe le fotografie riproposte da ReportageSicilia
sono accreditate
a "Stefani Milano".
La prima è tratta dall'opera "Sicilia" edita nel 1961
dal TCI per la collana "Attraverso l'Italia";
la seconda dal II volume dell'opera "Sicilia"
edita nel 1962 da Sansoni
e dall'Istituto Geografico De Agostini

"... Il nome di Riposto, dal punto di vista del commercio vinicolo e delle attività marittime in genere, si può dire che sintetizzi e riassuma le tradizioni e le aspirazioni marinare della riviera etnea.
A conforto di quanto sopra ho affermato, basti ricordare l'importanza che assume Riposto, con il suo porto, nella narrazione che il Verga fa dell'umile epopea dei Malavoglia: verso Riposto si avvia Bastianazzo col carico dei lupini e col suo destino di morte, a Riposto vuole andare 'Ntoni per imbarcarsi, da Riposto vengono i due marinai forestieri con quei meravigliosi fazzoletti multicolori che tanto colpo fanno sulle ragazze di Trezza...".
Con questo riferimento letterario all'opera di Verga, lo studioso Santi Correnti dedicò nel 1975 alcune pagine del saggio "Storia e folkore della Sicilia" ( Mursia ) alla storia di Riposto, suo luogo di origine.
Da Correnti apprendiamo che già nel 1819 la marineria ripostese poteva contare su un centinaio di imbarcazioni a vela e che al 1836 risale il primo progetto di un porto commerciale, destinato in primo luogo all'esportazione delle botti di castagno del vino prodotto sulle colline dell'Etna.


Lo studioso ricorda poi il singolare sistema di caricamento delle merci sui velieri:
"Per procedere alle operazioni di stivaggio, i bastimenti venivano tirati in secco sulla spiaggia, con una cerimonia tutta speciale ( 'a tirata d'i bastimenti ), che oggi vive solo nel ricordo accorato dei nostri più vecchi lupi di mare, e nelle piacevoli rievocazioni della Riposto di una volta, quando gli anziani pescatori si abbandonano quando novellano del loro tempo antico...
Gli uomini, generalmente una trentina, erano addetti all'argano, sul cui rocchetto si avvolgeva faticosamente la grossa gomena legata alla prua del bastimento; oppure erano 'falangara', cioè addetti ai giganteschi rulli di legno - ci volevano due uomini per smuovere una 'falanga' - su cui si spalmava il sego per fare scivolare meglio la nave. 
I ragazzi ( una decina ) erano adibiti a lavori più leggeri: o spalmatori di sego ( sivara ), o pulitori dei rulli, armati di scope e perciò detti 'scupara'. I ragazzi non erano pagati, ma si rifacevano rubando il sego scopato e rivendendolo a prezzi d'occasione...".

"Il faro", opera delle pittrice palermitana
Rosanna Musotto Piazza

Ancora Correnti, infine, ci informa che i bastimenti che raggiungevano i porti più lontani erano chiamati di 'malafora' o di 'longu-e-tira', cioè di lungo corso.
"Naturalmente - conclude infine - i marinai di 'malafora' guardavano dall'alto in basso i loro colleghi di piccolo cabottaggio, e sfoggiavano maglioni e fasce alla vita di una tale vistosità che certo dovevano fare schiattare d'invidia quei poveracci delle piccole navi, che arrivano al massimo a Napoli - e ci volevano settimane - e non portavano a casa che un pò di canapa ( la 'marbedda' ) da far filare alle loro donne e qualche stoccafisso, dopo essere vissuti pittorescamente a bordo, sotto le speciali tende dette 'cagnara'...".

    

venerdì 21 marzo 2014

SICILIANDO














"Oggi, purtroppo, la Sicilia è uno dei numerosissimi pezzi dello specchio rotto 'Italia' rimasti uniti nella cornice: tutti riflettono la stessa immagine, e l'immagine che si coglie su tutto il territorio nazionale - ove le illegalità crescenti e il malaffare sono diventati regola di un sistema di potere non più tollerabile - non è certo edificante"
Michele Pantaleone

LA SICILIA RURALE DI ALFREDO CAMISA

Tre scatti del fotografo bolognese della quotidiana realtà contadina isolana negli anni Cinquanta


Le tre fotografie riproposte da ReportageSicilia fanno parte della serie di straordinari scatti pubblicati da Alfredo Camisa nell'opera "Lo Stretto di Messina e le Eolie", edita dall'Automobile Club d'Italia nel 1960.
I personaggi ritratti dal fotografo bolognese ci proiettano in quella Sicilia degli anni Cinquanta dello scorso secolo ancora legata ad una quotidianità rurale.


Le fotografie non riportano indicazioni sui luoghi, ma questa indeterminatezza semmai rafforza la percezione dell'identità dell'isola di quel periodo.
I personaggi raffigurati da Camisa - il contadino seduto ai piedi di un muro a secco in cui si insinua il fusto di un ulivo, il bambino che trova riparo sotto la chioma di un altro grande ulivo, i due uomini e la donna che si affacciano sul prospetto di una casa colonica - fanno parte di un mondo agreste oggi quasi del tutto cancellato nell'isola.


A proposito dei siciliani, nell'introduzione del volume - affidata al poeta messinese Bartolo Cattafi - si legge:

"I siciliani sono soprattutto e contemporaneamente greci, latini e arabi; queste tre razze-base fittamente e dinamicamente aggrovigliate.
Il genio politico normanno tentò il difficile amalgama; l'armonizzazione avvenne in vario grado ( la Sicilia calda, densa, violenta, moresca di Palermo non è quella gentile, per certo verso graca, di Siracusa e Messina: sensuale e sognante trait d'union tra l'una e l'altra, il barocco degli animi e dell'architettura ).
Ciò che ne risultò vasto, fu il catalogo delle qualità e disponibilità siciliane, a cui fece da contrappeso un moltiplicarsi sotterraneo di complessi, conflitti, scompensi; lotte spietate che ancora oggi le discordi schiere di ancestri combattono nel sangue dei loro discendenti...".