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sabato 10 maggio 2014

FRANCESCO SCLAFANI, IL PUPARO GIROVAGO

Cinque fotografie di Alfredo Camisa testimoniano l'attività di uno dei più originali pupari palermitani ancora attivi sessant'anni fa

Francesco Sclafani durante uno spettacolo
della sua Compagnia dell'Opera dei Pupi Siciliani
a Panarea, nelle isole Eolie.
Le fotografie riproposte da ReportageSicilia
sono tratte dall'opera "Lo Stretto di Messina e le Eolie"
edita nel 1961 dall'Automobile Club d'Italia

Nel 1937 il nome di Francesco Sclafani venne inserito dall'etnologo messinese Giuseppe Cocchiara in una lista degli ultimi 12 "pupari" operanti a Palermo.
Il ricordo di Sclafani e della sua Compagnia dell'Opera di Pupi Siciliani viene restituito da cinque eccezionali fotografie scattate una ventina di anni dopo a Panarea, durante una delle tappe allora più remote degli spettacoli girovaghi della Compagnia.
Autore delle immagini riproposte da ReportageSicilia fu Alfredo Camisa, protagonista di un reportage di scatti siciliani che avrebbe trovato pubblicazione nel 1961 nel volume "Lo Stretto di Messina e le Eolie", edito dall'Automobile Club d'Italia.



La singolare storia del "puparo" Francesco Sclafani veniva così raccontata in quegli anni da Ettore Li Gotti nel saggio "Il Teatro dei Pupi", pubblicato da Sansoni nel 1957 ed in seguito ristampato da S.F.Flaccovio nel 1978:

"Francesco Sclafani, nato nel 1911, faceva da ragazzo come il padre, il merciaio ambulante; a sedici seguì i figli di Achille Greco in piazza S.Cosmo e dal 1928 aprì un teatrino per conto suo nel rione del Capo.
I suoi pupi sono per lo più costruiti dal migliore fra i costruttori di marionette armate di cinquant'anni fa, Nicolò Pirrotta.
Ma Sclafani non durò a lungo nel mestiere di "oprante" per il popolino e, ingegnoso com'è, dopo l'ultima guerra si diede, come egli dice con pittoresca espressione, "al turismo".
Dal 1947 ad oggi ha girato con i suoi pupi per quasi tutte le fiere e le mostre campionarie d'Italia, e nel 1952 a Firenze rappresentò anche nel Maggio Musicale la favola medievale "Aucassin et Nicolette" ( naturalmente limitandosi a muovere i pupi e a lasciare ad altri il compito di farli parlare in lingua francese ), traendone il vantaggio di averli rivestiti, i pupi, a nuovo con gusto modernissimo dalla ditta fiorentina Cerratelli.



Si fa aiutare da alcuni commessi, come i fratelli Villarà suoi nipoti, ma soprattutto da Nino Cacioppo, figlio di Giuseppe Cacioppo ( morto nel 1943 ) e fratello di Santo Cacioppo pupari.
Nino Cacioppo, quando non fa il puparo, dipinge pupi di cera per la ditta Amato nel vicolo degli Orfani al Capo.
Con tutto questo Francesco Sclafani non può dirsi sicuro di continuare l'"opra"; i suoi guadagni non gli bastano sufficientemente per vivere e tenere l'attrezzatura del suo teatro: bisogna trovare espedienti, e la fantasia dello Sclafani è molto fertile in proposito...".




Le didascalie che accompagnano le fotografie di Alfredo Camisa nell'opera "Lo Stretto di Messina e le Eolie" portano la firma del poeta barcellonese Bartolo Cattafi.
Nella loro stringatezza, i testi di Cattafi restituiscono l'atmosfera di partecipazione e di pathos trasmessa durante gli spettacoli dalla voce narrante di Sclafani ai pescatori ed ai contadini di Panarea:

"La Storia dei Paladini di Francia con i suoi eroi Rinaldo, Orlando, Gano di Maganza, Oggeri, Agolaccio, Bradamante, Astolfo, Oliviero, Carlo Magno, Balario e Malagigi ( negromante, discepolo del mago Merlino ), dalle rutilanti armature e facili ai duelli, costituisce una tradizione popolare siciliana che rinnova, a ogni spettacolo, in un pubblico quant'altri mai partecipe, entusiasmo, sdegno e commozione...".



"La storia dei Paladini si racconta a puntate, una al giorno, e culmina con la rotta di Roncisvalle, l'acme epico e tragico, più clamoroso, atteso e temuto, perchè tutti gli eroi vi muoiono.
Oltre al ciclo dei Paladini si rappresentano le storie di Guerin detto il Meschino, di Guelfo e di Alfeo re di Negroponte, di Ardente Spada, di Elena di Troia e del brigante Musolino".  



  
  

     

SICILIANDO














"Chi scelse di battezzare 'Caronte' uno dei traghetti che fanno la spola fra la sponda calabra e la sicula, avrà agito senza malizia, per uno sfoggio di memoria classica o, addirittura, per scaramanzia.
Certo è che, senza volere, ha finito col ricordare al turista che, non solo sta varcando le soglie di un Paradiso, ma anche di un luogo d'ombra e di pena. 
E' qui, al cimento di questa contraddizione, che la Sicilia vi aspetta"
Gesualdo Bufalino

mercoledì 7 maggio 2014

L'ESOTISMO ENCICLOPEDICO DI PALERMO

La descrizione della città ancora ricca di echi ottocenteschi dell'enciclopedia Pomba edita nel 1925 da UTET 

Una fotografia aerea di Palermo
nell'area del vecchio porto della Cala.
Le immagini del post riproposte da ReportageSicilia
sono tratte dalla voce "Palermo"
dell'enciclopedia Pomba pubblicata nel 1925
dall'Unione Tipografico-Editrice Torinese

"Città della Sicilia, capitale naturale dell'isola, capoluogo di provincia e di circondario, con 400.464 abitanti, superficie kmq. 4992,31 la provincia; kmq. 1406,46 il comune. L'importanza del golfo, sul quale si adagia, la sicurezza del porto, le valsero nell'antichità il nome ch'essa porta ( Pan=tutto, universale, Ormos=porto ); e Conca d'oro si chiama il litorale che tutta la cinge di magnifica corona d'aranci, banani, palme...".

Una classica veduta dell'attuale zona
del Foro Italico e del porto

Così nel 1925 il II volume dell'enciclopedia Pomba edita da UTET definiva una Palermo all'epoca ancora ammantata da un velo di esotismo ottocentesco.
Nella voce di questa enciclopedia destinata "alle famiglie", la città è illustrata sommariamente con un riepilogo dei suoi maggiori monumenti principali. 
"Capolavoro dell'arte siculo-normanna" è definita la Cattedrale ristrutturata alla fine del Settecento "con l'interno deturpato da pilastri e colonne moderne"; un "complesso stupendo di arte sicula" è definito la Cappella Palatina, mentre "tra gli edifici moderni emergono il teatro Massimo, opera colossale dell'architetto Basile, costata oltre 12 milioni di lire, il politeama Garibaldi, la chiesa di San Domenico, il Pantheon siciliano".

Altro monumento simbolo di Palermo:
la chiesa e le cupole di San Giovanni degli Eremiti.
Ancora agli inizi del secolo XX, gli edifici
di età normanna beneficiarono
delle attenzioni di studiosi e viaggiatori
grazie ad una intensa attività di restauri

L'enciclopedia Pomba dedica infine a Palermo parecchie righe al porto ed al suo traffico di merci. 
Il bacino portuale è "ampio e profondo, ben riparato: è, dopo Catania, il massimo centro di attività commerciale dell'isola con un movimento che prima della guerra si aggirava sulle 900 tonnellate di merci; viene però dopo Genova, Venezia, Napoli, Savona, Livorno, Ancona. Esporta agrumi, conserve alimentari, oli d'oliva, pesci salati, vino, zolfo e importa cereali, farina, crusca, buoi, carbon fossile, crine, sale, zucchero, coloniali e droghe, petrolio, spirito, ferro piombo, porcellana, marmi, calce e cemento, legame...".

Sopra e sotto,
lo scorcio di un fornice
lungo una strada dominata da una lunga palma
e una veduta di ispirazione ottecentesca
di Palermo dalle colline di Santa Maria di Gesù 



A corredo della voce dedicata al capoluogo isolano, gli autori dell'enciclopedia pubblicarono alcune fotografie senza attribuzione, alcune delle quali sono riproposte nel post da ReportageSicilia.
Interessanti sono l'immagine aerea che illustra l'area del vecchio porto della Cala e quella di una strada affiancata da una lunga palma che conduce verso un fornice. 
Di maniera appaiono invece le classiche vedute del lungomare dell'attuale Foro italico, delle cupole di San Giovanni degli Eremiti e della Conca d'oro da Santa Maria di Gesù.
La Palermo descritta con echi ottocenteschi dall'enciclopedia Pomba nel 1925 è ancora una città capace di svelare un'identità urbanistica e paesaggistica ingentilita dagli ultimi sussulti del "liberty".
Qualche decennio dopo - nel 1980 - Cesare De Seta avrebbe scritto nell'opera "Palermo", edita da Editori Laterza:
"Non è senza significato che la devastazione della città e del territorio di Palermo - oggi giunta ai massimi livelli - abbia avuto inizio proprio con l'eliminazione di quanto di buono la borghesia della Belle époque avesse prodotto.
Quanto è successo nella trasformazione urbanistica e architettonica di Palermo nell'ultimo mezzo secolo si misura a scadenza ravvicinata sul filo di alcuni avvenimenti che sarebbe errato considerare eccezionali, dal 'piccone risanatore' del fascismo, ai terribili bombardamenti del 1943, alle esplosioni intimidatorie con cui la mafia ha scandito i tempi del ricambio edilizio lungo la via Notarbartolo; ma soprattutto all'assoluta assenza di una politica di gestione quotidiana del patrimonio urbano ed edilizio.
L'assenza non casuale delle pubbliche autorità, gli intrecci di interessi tra speculazione edilizia e fenomeno mafioso sono tra le pagine più drammatiche e sanguinose della nostra storia recente...".
    



  

lunedì 5 maggio 2014

DISEGNI DI SICILIA



ISOLE LIPARI, da Enciclopedia Pomba, UTET, 1925


domenica 4 maggio 2014

PALERMO E CATANIA, IL PARADIGMA DI FAVA

Nel 1980 il giornalista siracusano teorizzò ne "I Siciliani" i contrapposti vizi delle due città, entrambe legate da un diverso destino di malcostume ed illegalità 

Un gruppo di suonatori di chitarra
ed un cantante a Catania:
una teatrale rappresentazione del carattere
popolare ed istrionico della città,
in contrapposizione a quello
riservato e malinconico di Palermo.
La fotografia è tratta
dal saggio di Giuseppe Fava "I Siciliani",
edito da Cappelli Editore nel 1980

"Catania è febbrile sfottente e allegra, e Palermo invece appagata, ironica e malinconica.
Catania è furiosamente laboriosa in tutte le sue attività esistenziali, quindi anche nel ladrocinio, nel furto, nella truffa, nel crimine, cioè produce denaro, e invece Palermo questo denaro tende a conglobarlo dagli altri anche nel delitto.
Catania è colei che corrompe, Palermo è che colei che si fa corrompere.
Catania corre per andare a vedere le cose, Palermo sta quieta in attesa che le cose passino dinnanzi. Catania è nera, Palermo è bianca. Catania è popolare, Palermo nobile.


Palermitani nello storico mercato della Vucciria.
La fotografia è di Enzo Sellerio
e venne pubblicata nel volume
"Libro di Palermo",
edito nel 1977 da S.F. Flaccovio

Infine, l'essenziale: Catania rifiuta il potere perché lo ritiene una sopraffazione e quindi ogni suo cittadino tende a trasformare, anzi ad accomodare la legge al suo interesse personale, mentre Palermo crede nel potere anzi nel suo diritto al potere.
Ecco perché i più grandi e geniali delinquenti catanesi sono stati soprattutto i falsari, ed a Palermo invece mafiosi. 
Il paradigma è evidente".
Il lucido teorema sulle differenza fra le due città siciliane in eterna contrapposizione di potere e di prestigio venne così descritto dal giornalista Giuseppe Fava nel saggio inchiesta "I Siciliani", edito da Cappelli Editore nel 1980.


Sopra e sotto,
immagini di Catania e Palermo
in due fotografie
di Josip Ciganovic.
Entrambi gli scatti furono pubblicati nel 1962
nell'opera "Sicilia", edita da Sansoni e
dall'Istituto Geografico De Agostini

Fava - siracusano di Palazzolo Acreide -  affrontò il dualismo fra Palermo e Catania sul piano a lui ben noto delle diverse anime politiche, affaristiche e criminali delle due città.
L'analisi - trent'anni dopo il suo omicidio ordinato dal clan Santapaola - mantiene ancora oggi un'amara attualità, a conferma della persistenza delle vecchissime tare che bloccano la crescita civile delle due più importanti realtà urbane e sociali dell'isola. 



"Resta da capire - scriverà ancora Giuseppe Fava ne "I Siciliani", senza fornire una risposta dietro cui si cela la voragine di una verità irraccontabile   - se è stata Palermo a fare lentamente una Sicilia a sua somiglianza, disposta cioè a lasciarsi governare con l'intrigo, il clientelismo, lo sperpero, l'arricchimento e la potenza dei pochi contrapposti alla sofferenza dei più, leggi a favore delle tribù e dei feudi, disprezzo per gli immensi problemi collettivi, oppure è stata la Sicilia con le sue infinite miserie anche mentali, il brulicare dei suoi individualismi, rancori, sordide avidità paesane, a costruirsi una capitale a sua immagine e necessità, capace perciò di tutte le corruzioni, violenze, congiure, complicità, assoluzioni". 




venerdì 2 maggio 2014

IL REMOTO RICHIAMO DI CAMARINA

L'ardua ricerca delle solitarie rovine dell'area archeologica ragusana dello scrittore francese Roger Peyrefitte

La solitaria costa ragusana di Camarina,
area archeologica che conserva poche testimonianze
della colonia siracusana del VI secolo.
Le fotografie riproposte nel post da ReportageSicilia
portano la firma di Leonard Von Matt e sono tratte dall'opera
"La Sicilia antica" di Luigi Pareti e Pietro Griffo,
edita nel 1959 da Stringa Editore Genova  

Fu un ricordo scolastico a spingere agli inizi degli anni Cinquanta dello scorso secolo lo scrittore francese Roger Peyrefitte sino alle remote rovine di Camarina.
L'autore di "Dal Vesuvio all'Etna" non aveva infatti dimenticato la rima del poeta André Chénier pronunciata spesso dal suo professore di francese: 
"Sì, è vissuta, o Mirto, la giovane tarantina! La portava una nave alle rive di Camarina".
Così, Peyrefitte si avventurò in Sicilia nella ricerca di ciò che rimane della colonia greca fondata da Siracusa nel VI secolo, perdendosi nel reticolo di strade rurali di quest'angolo di costa ragusana in seguito descritta da Gesualdo Bufalino ( "Gridano girasoli come zolfi dai celesti crepacci ove s'inclina il golfo sul tramonto e in una molle zattera salpa l'isola a un eliso d'oro e di rosse nuvole... Ma tu come ti fai colore dell'uliva al palpito di pioggia che ti sfoglia e t'apre, fiore di zagara ardente, come odori, mio bruno garofano, sotto i ciechi calcagni del vento", da "L'amaro miele", Einaudi, 1996 ).

In questa fotografia e nelle due che seguono,
alcuni degli esemplari di tetradrammi di Camarina.
Raffigurano Eracle con la testa coperta da scalpi leonini

"L'autista che avevo fissato a Gela - si legge nell'opera di Peyrefitte edita in Italia nel 1954 da "Leonardo da Vinci" Editrice - credeva di poterci arrivare senza sbagliare strada sebbene non ci fosse stato, ma invece andammo errando a lungo per vallate solitarie.
Un provvidenziale pastore ci mise sulla strada per la 'contrada di Cammarana', ma arrivati in cima a una collina, un incrocio di vie ci lasciò perplessi.
La solitudine era di nuovo completa e alcuni filari di alberi ci impedivano la vista. La macchina seguì a casaccio una strada difficile a percorrersi anche da un carretto, e quando, arrivati a una casa colonica, sapemmo che eravamo a 'Cammarana', ringraziammo il nostro fiuto.


La mia visita fu presto fatta. Nel cortile della casa colonica un mozzicone di colonna greca e un altare romano rappresentavano molto modestamente il 'puro santuario di Minerva', il quale dominava la spiaggia di Camarina, che è una continuazione di quella di Gela.
Non ci sono che ruderi sparsi qua e là a ricordare, all'intorno, l''alta foresta dei solidi edifici'...".


Qualche decennio dopo la visita di Peyrefitte - nel 1985 - la giornalista Maria Rosa Calderoni avrebbe così descritto l'isolamento della località e la bellezza delle sue testimonianze numismatiche:
"A Camarina, dove arrivi tra strade pressocchè solitarie, attraverso paesini immoti e dimenticati - vecchi in piazza, oscuri caffè, imprevedibili cattedrali, su un lato la barberia dell'insegna floreale e sull'altro una rosso-sbiadita 'Lega di Miglioramento' - una freccia gialla indica il Club Mediterranée, colosso delle vacanze da 2.000 posti; ma appena al di là dell'ultimo bungalow, le rovine di una intera città greca balzano all'improvviso, degradanti direttamente verso il mare.
E' l'antica Camarina, cara ad Eracle: qui le monete portavano incisa la figura possente del dio in pelle di leone, infaticabile domatore di draghi e giganti, montagne e fiumi...".
Le immagini di queste magnifiche monete - al pari di quella della solitaria costa su cui venne costruita e più volte distrutta l'antica colonia siracusana - sono di Leonard Von Matt e sono tratte dall'opera "La Sicilia antica" di Luigi Pareti e Pietro Griffo, edita nel 1959 da Stringa Editore Genova.



   

martedì 29 aprile 2014

IL PROFONDO E SCURO MARE SICILIANO DI PIOVENE


"Il mare siciliano è d'un colore profondo e scuro, quasi in blocchi massicci, su cui il bianco delle onde spicca come in un intarsio; così diverso dal mare napoletano, che invece è diafano, leggero, quasi sospeso, lunare anche di giorno.
Le apparizioni delle Eolie, giacché apparizioni bisogna chiamarle in senso quasi esoterico, accompagnano questa costa e le strade che salgono tra le montagne retrostanti...".
Sono queste alcune delle considerazioni espresse nel 1957 a proposito della Sicilia dallo scrittore e giornalista Guido Piovene nell'opera "Viaggio in Italia".
L'immagine di ReportageSicilia, raffigurante il mare di Finale di Pollina con la mole conica dell'isola di Alicudi, sembra confermare con il linguaggio della fotografia la visione letteraria di Piovene.