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martedì 5 agosto 2014

SICILIANDO













"Comunque, Sicani e Siculi, Cartaginesi e Arabi, Normanni e Spagnoli, e quanti altri si vogliano nominare, tutti quanti appartengono al sostrato della storia siciliana, sono fusi o nascosti nel suo sottosuolo, e ne formano, se mai, la coscienza subliminale.
La sua coscienza consapevole ha quelle due facce, è costituita da quei due elementi: la grecità in cui tutta la sua storia antica trovò sistemazione, e l'italianità in cui è sboccata tutta la sua storia medievale e moderna"
Giuseppe Antonio Borgese

I VILLAGGI SICILIANI DI GIOVANNI COMISSO

La descrizione dei paesi rurali nel libro "Sicilia", pubblicato nel 1953 dallo scrittore trevigiano e dal fotografo svizzero Rudolf Pestalozzi

Figure femminili all'interno del cortile
di un edificio in un paese siciliano agli inizi degli anni Cinquanta.
Le fotografie riproposte da ReportageSicilia
portano la firma di Rudolf Pestalozzi
ed illustrarono il saggio "Sicilia"
pubblicato nel 1953 a Ginevra da Pierre Cailler



Giovanni Comisso ( Treviso, 1895-1969 ) trascorse gli ultimi anni di vita nella sua villetta alla periferia di Treviso, senza abbandonare la cura dell'orto e la passione per i personaggi del mondo contadino locale.
Il giornalista e scrittore veneto aveva occupato gran parte della sua esistenza viaggiando attraverso l'Italia, la Grecia e sino alla Cina ed al Giappone.
Le sue peregrinazioni letterarie lo portarono in Sicilia nel 1948 e fra il 1952 ed il 1953; da quest'ultimo viaggio, Comisso avrebbe tratto la materia per il reportage pubblicato nel 1953 dall'editore di Ginevra Pierre Cailler con il titolo "Sicilia".


A valorizzare quel racconto contribuì il supporto documentario di 97 preziose fotografie in bianco e nero realizzate dallo svizzero Rudolf Pestalozzi. 
Come spiegato da Ernesto Ferrero nell'introduzione di "Satire Italiane" ( Longanesi, 2008 ), "le sue pagine migliori il veneto Comisso, che ama dipingere coloriti villici bruegheliani o incidere alla svelta personaggi notturni che stanno tra Callot e Goya, le dedica al Sud, ai suoi stupori infantili di fronte ai simboli di una ricchezza che appare favolosa, quasi mitologica...".


Così, in "Sicilia", Comisso inizia il racconto con un ricordo indimenticabile dell'isola, esplorata fra i personaggi di quel mondo contadino così a lui vicino nella natìa Treviso:
"Lontano dalla Sicilia estiva, quando già lo sguardo rientra nella luce abituale del mio clima opaco, rimane fissa nelle mie pupille un'immagine di quest'isola come se si fosse osato riguardare in pieno il disco del sole...".


Ricco di notazioni di costume del tempo (  i pregiudizi che affliggono la condizione femminile, il voto democristiano diffuso nel clero, la sensualità delle donne e l'indisciplina del traffico a Catania, il fenomeno dell'emigrazione ) il racconto di Comisso dedica più di una pagina alla descrizione di paesaggi e di luoghi allora poco conosciuti della Sicilia, come Scopello, Capo San Vito, Calascibetta e Sciacca.
Comisso racconta spesso l'isola attraverso i dialoghi da lui coltivati casualmente con pastori, contadini e pendolari dei treni locali.
Lo scrittore veneto offre materia di riflessione sociologica sulla Sicilia del periodo, magari rinunciando alla visita agli scavi dei mosaici di Piazza Armerina in cambio di una lunga chiacchierata con una famiglia di un paese vicino.   


Non mancano poi riferimenti al fenomeno della mafia, allora spesso ignorato da altri narratori:
"In questa isola che la natura ha voluto costringere persino dei limiti precisi di un triangolo, vi sono altri e continui limiti imposti da parte della sua gente ad altra parte: dai caparbi ai timidi.
E si pensa che quelli siano uomini d'invasione e questi scaturiti dalla stessa terra. Questi sono buonissimi, ospitali pronti a stringere vincoli indissolubili, generosi come la terra che non ha stagioni di sosta. Gli altri, i discesi dagli invasori d'ogni secolo e d'ogni parte, sono i sopraffattori, gli arroganti, gli intimidatori.
Il giuoco della vita in questa terra si svolge tutto come una continua battaglia tra invasi e invasori.
Gli invasori hanno inventato il feudalesimo, il brigantaggio, la maffia, persino la smania poliziesca, nel senso assillante del ricatto, e tutta la severità del costume e dell'etichetta, sfruttando la naturale timidezza degli invasi...".


"Sicilia" di Giovanni Comisso è insomma un reportage sorprendente: da un incontro fortuito con un pastore o un gruppo di avventori di una trattoria, dal rapido sguardo su uno scorcio paesaggistico, lo scrittore veneto fissa pennellate illuminanti sulla società siciliana di quegli anni.


Di quel libro - oggi purtroppo difficilmente reperibile - ReportageSicilia ripropone le righe dedicate da Giovanni Comisso alla descrizione dei villaggi isolani:

"I villaggi, in Sicilia, sono estesi come piccole città, perché in essi vi abitano anche i contadini che lavorano la terra attorno per molti chilometri.
Sono le loro case alla periferia e appena si arriva al villaggio si avverte un sentore acuto di stallatico giacché muli e contadini riposano sotto lo stesso tetto.
Di mattina presto prima che si alzi il sole, nel silenzio del villaggio addormentato si sente il trotterellare di questi muli sul selciato, e in groppa i contadini che vanno al lavoro nei campi lontani.
La struttura delle strade è uguale in tutti i villaggi, vi è un grande corso, dove alla sera la popolazione fa la sua passeggiata ambiziosa.
A questo corso confluiscono dai lati i vicoli, selciati con grosse pietre, percorribili solo a piedi o col mulo.
Ogni famiglia abita una casa, quasi sempre conquistata dagli avi con l'emigrazione in America dove i nascituri andranno a loro volta per potersi costruire un'altra casa.
In queste case non vi è il focolare, quindi mancano di comignolo, il cibo parsimonioso viene preparato su di un fornello a carbone e quando si guarda il disteso villaggio dall'alto di un monte vicino risaltano queste cubiche case nel giuoco di ombra e di luce senza che da alcuna esca un filo di fumo a dare il segno di una vita casalinga.
La cattedrale è sempre di bella fattura, o gotica ricordando i Normanni o barocca ricordando gli Spagnoli.
Dopo vi è il giardino pubblico, quello che chiamano 'La Villa', con un belvedere verso il mare o verso la campagna circostante e tra le aiuole sempre fiorite alberi bellissimi e schietti si elevano in sanezza per dare fresco ai vecchi che dopo cena vanno a godersi la sera fuori dai vicoli.
Abbondano in ogni angolo dei vicoli i ciabattini, che formano dopo i bottegai, i contadini e i pescatori un'altra categoria del villaggio, quella che non ha mai emigrato avendo nel proprio paese un lavoro incessante, perché tra il duro selciato dei vicoli e il sempre andare e venire dai campi le scarpe in Sicilia si logorano più che in ogni altra regione...".


sabato 2 agosto 2014

RITORNO DAI CAMPI A GELA






Contadini e carretti in movimento lungo una strada d'asfalto che collegava la cittadina nissena alle campagne dell'interno: un mondo evocato dalle pagine dello scrittore francese Roger Peyrefitte


Passaggio di un carro nelle campagne di Gela.
L'immagine è del fotografo Alfredo Camisa e lo scatto risale al 1955.
ReportageSicilia ringrazia http://www.alfredocamisa.it/ 
per la cortese concessione dell'immagine


La tecnologia digitale  consente di realizzare fotografie tecnicamente perfette, grazie alla possibilità di realizzare scatti in velocissima sequenza e con impostazioni mirate alle condizioni di luce e di movimento della scena o del soggetto ripresi.
La possibilità di modificare profondamente le immagini grazie ad un computer permette poi di manipolare la realtà documentata dallo scatto, tanto da falsarne l'originario valore documentario.
Questa premessa di natura tecnica vuole rendere merito all'abilità con la quale cinquant'anni fa - in tempi di pellicole e di esposizione manuale - il fotografo Alfredo Camisa realizzò l'immagine riproposta nel post da ReportageSicilia.
La fotografia ritrae il passaggio di un carretto nei dintorni di Gela nel 1955, lungo una strada che collegava la cittadina nissena alle campagne del suo vasto territorio.
Quell'anno, Camisa realizzò nell'isola un reportage fotografico che sarebbe stato poi oggetto della mostra "Impressioni di Sicilia", allestita presso la Biblioteca Comunale di Milano
Lo scatto di Camisa concentra tutte le attenzioni sullo sguardo severo del bambino, stretto fra il carico di una botte ed il portello del carretto decorato con i motivi tradizionali dei paladini; il conducente intanto stringe una sigaretta fra le labbra, fissando con sospettosa attenzione l'azione del fotografo.  
La seconda immagine del post, più convenzionale nella ricerca documentaria, ritrae il passaggio di altri carretti sulle strade di Gela, in un periodo non lontano dallo scatto di Camisa.
La fotografia è firmata PGS ed è tratta dall'opera di Aldo Pecora "Sicilia", edita da UTET nel 1974.


Altri contadini gelesi lungo una strada
fra la cittadina nissena e le campagne circostanti.
La fotografia è firmata PGS
e venne pubblicata nell'opera di Aldo Pecora
"Sicilia", edita da UTET nel 1974

Entrambe le immagini illustrano con efficacia la descrizione del passaggio dei carri nelle campagne del centro nisseno fatta dallo scrittore francese Roger Peyrefitte nel 1954.     
"Sono i poveri della città, che hanno lavorato tutto il giorno sui latifondi dove non c'è come alloggiarli. Sono partiti all'alba - si legge nell'opera "Dal Vesuvio all'Etna", edita da Leonardo da Vinci Editricee tornano quando annotta. All'andata e al ritorno fanno ore e ore di cammino.
In quelle vaste distese di terra, che sembrano abbandonate, essi hanno sarchiato, falciato, dissodato il terreno.
Quelle strade, che erano deserte, ci ricordano le strade dell'esodo, le spietate strade a senso unico, le strade senza ritorno.
Alcuni stanno appollaiati su asini e un enorme mucchio di foraggio fa loro da sella, e quando il foraggio è di lupinella si direbbe che i suoi fiori sono le nappine di una gualdrappa.
I carretti, anch'essi sono carichi di foraggio.
I bambini, stretti al babbo e alla mamma, guardano con occhi abbagliati l'automobilista che passa cullato dalle canzoni trasmesse da una radio.
I cani sono legati alla sala del carretto, perché non ingombrino la strada.
Talvolta un piccolo branco di capre, addossate l'una all'altra, accompagna il carretto; talvolta se ne vede qualcuna in mezzo ai suoi umili padroni che appoggia la testa sulla spalla di un bambino.
Di questi uomini e di queste donne vorrei descrivere i visi: visi scavati e induriti, che sembrano balzare su dalla lontananza dei tempi e che rispecchiano le pene di un faticoso secolare lavoro; e vorrei descrivere i visi dei fanciulli, che rispecchiano i capolavori che questa razza ha saputo produrre".
       

  

domenica 13 luglio 2014

DISEGNI DI SICILIA


SALMON, strumenti di pesca del corallo a Trapani,
da "Lo stato presente di tutti i popoli", Venezia, 1740-1766

venerdì 11 luglio 2014

LE AMATE SCOGLIERE LAVICHE DI ERCOLE PATTI

Una fotografia di Pedone illustra il mare di Pozzillo descritto nelle pagine dello scrittore catanese


"Questa piccola baia è sempre silenziosa; nelle giornate di calma il mare vi si stende liscio e trasparente e fa un leggerissimo rumore che è come un respiro calmo fra gli scogli.
Se il mare è poco mosso o il passaggio di un motoscafo manda fin qui quattro o cinque onde lunghe, allora si sente come un delicato fragore e un poco di spuma nasce fra uno scoglio e l'altro.
Ma è questione di attimi, subito dopo torna la calma e si rivedono i pesciolini correre fra una macchia e l'altra di alghe".
Era l'agosto del 1969 quando lo scrittore catanese Ercole Patti descrisse così in "Diario Siciliano" ( Bompiani ) un angolo delle "nere scogliere di Pozzillo", nate sulla costa dello Ionio dalla lava incandescente precipitata in mare secoli fa.
La descrizione di Patti - che a Pozzillo aveva casa, ritornandovi spesso dalla sua residenza romana ( "la mia vecchia casa si trova in mezzo a un giardino di limoni, a mezza strada tra Catania e Taormina" ) - sembra trovare un preciso rimando documentario nella fotografia riproposta da ReportageSicilia.
L'immagine di un piccolo golfo catanese di pietra lavica su un mare simile a vetro trasparente venne scattata dal fotografo Pedone.
Il suo scatto venne pubblicato nel 1965 nell'opera "Sicilia" per la collana "Italgeo", edita da Bonetti editore Milano.  

SICILIANDO














"I siciliani sono gli unici eccentrici italiani.
E la differenza starebbe in quella forma mentale che si chiama insularità, un atteggiamento dello spirito, un carattere, un modo di vedere le cose per estremi, prima di essere un dato geografico"
Stefano Malatesta

giovedì 10 luglio 2014

IL MISTERO DELLA FIAT "SICULO POP" DI SALVATORE FIUME

Nel 1967 l'artista comisano decorò una Fiat 124 con i motivi decorativi tradizionali dei carri dell'isola. Oggi di quel prezioso esemplare sembra non esservi più traccia

Salvatore Fiume all'opera sul cofano della Fiat 124
dipinta con i motivi storici dei pittori di carretto.
Le fotografie riproposte da Reportagesicilia
sono di Aldo Patellani ed illustrarono
un articolo di Franco Bandini pubblicato
il 4 luglio del 1967 dalla "Domenica del Corriere"

Salvatore Fiume lasciò Comiso nel 1935 all'età di 20 anni, trasferendosi a Milano e sviluppando lontano dall'isola il suo mutevole talento di artista: pittore, scultore, scenografo, scrittore e commediografo. 
La sua vita si colloca insomma nella distinzione teorizzata dallo storico direttore del giornale "l'Ora" Vittorio Nisticò fra i siciliani "di alto mare" e quelli "di scoglio"
Secondo questo assunto, i primi decidono di lasciare l'isola e riescono a sviluppare il proprio talento lontano dal luogo di origine, come appunto nel caso di Salvatore Fiume
I secondi invece sono incapaci di abbandonare la Sicilia e di sviluppare altrove la pratica della propria arte: una  categoria di isolani rappresentata fra i siciliani da un altro comisano, Gesualdo Bufalino
La produzione artistica di Fiume è stata ricchissima ed è oggi rappresentata e documentata in numerose città italiane.  
Meno conosciuta è invece l'opera da pittore prestata da Fiume per la Fiat, a fini probabilmente promozionali. 
L'artista comisano prese infatti in mano i pennelli per decorare due nuovi modelli di autovetture - la 124 e la 126 - messi in commercio fra il 1967 ed il 1972.
Da un punto di vista artistico, le due iniziative rientrarono nel solco di analoghe esperienze decorative dalla vena "pop" e psichedelica che presero piede in quegli anni negli Stati Uniti e in alcuni Paesi europei.
Questa estetica si opponeva al disegno razionalista degli oggetti industriali e nel campo del design valorizzò il recupero dei motivi iconografici delle tradizioni popolari e l'utilizzo di materiali naturali, con un gusto che oggi rimanda al "kitsch".


Nella seconda metà degli anni Sessanta, in Francia la moda delle automobili firmate da pittori e decoratori fu ad esempio alimentata dalle attrici Perrette Pradier e Tessa Beaumont. 
In Inghilterra, il caso forse più noto del fenomeno riguarda John Lennon. 
Il "beatle" fece dipingere di giallo cromo una Rolls Royce "Silver Panthom V", aggiungendovi ampie volute "neoliberty".


Le immagini della Fiat 124 bianca decorata da Salvatore Fiume - riproposte nel post da ReportageSicilia - portano la firma di Aldo Patellani e furono pubblicate dal settimanale "Domenica del Corriere" il 4 luglio del 1967.
Nell'articolo, il giornalista Franco Bandini spiegava che la Fiat consegnò l'auto a Fiume assegnandogli un tema libero con il quale decorare la berlina di nuova produzione.
"Fiume ricordandosi, forse con un poco di nostalgia, delle sue origini siciliane - scriveva Bandini - ha trasformato la 124 in uno straordinario carretto a quattro ruote".
L'artista comisano ispirò i suoi disegni allo storico ciclo dell'"Orlando Furioso" presente nel teatro dei pupi e nei pittori di carri dell'isola, entrambi all'epoca espressione di una cultura popolare da tempo in declino.
Come documentano le fotografie di Patellani, Salvatore Fiume lavorò sulla carrozzeria all'interno di una villa "appena fuori Milano", ponendo la sua firma in ogni componente della vettura.
A distanza di 47 anni da quella singolare opera d'arte, resta un mistero la sorte della 124 dipinta sull'esempio dei pittori delle botteghe di "carradori" di Bagheria. 
Oggi quella Fiat riletta in chiave "siculo-pop" avrebbe un valore ovviamente molto superiore a quello vantato sul mercato delle auto storiche da una normale vecchia 124.
Certamente, la vettura - munita all'epoca di targa CO192757 - circolò regolarmente in strada, incuriosendo passanti ed automobilisti. 
Forse l'auto è stata di proprietà di un funzionario della casa torinese. 
E forse, è poi finita nel salone di un eccentrico collezionista privato, che l'ha acquistata assicurandosi un prezioso "pezzo unico" nella produzione di auto della Fiat.
Sarebbe interessante, oggi, conoscere il destino di quella singolare opera di Salvatore Fiume, assente nel catalogo dell'artista di Comiso ma ben viva nella curiosità di ReportageSicilia.