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venerdì 28 ottobre 2016

BAGNO A LIPARI CON VISTA SUI FARAGLIONI DI PONENTE


Con la semplice didascalia "Isola di Lipari, i Faraglioni di Ponente", una "Guidagenda Messina 1952" pubblicata da Edizioni Catri restituì un classico scorcio dei faraglioni di Pietra Lunga e Pietra Menalda.
L'obiettivo del fotografo fissò il ricordo di una giornata di mare calmo: uno specchio d'acqua appena increspato dai movimenti di tre nuotatori, veri protagonisti della scena.
On line, è possibile imbattersi in una cartolina che ritrae il medesimo luogo: presumibilmente, lo stesso scatto "ritoccato" però con l'eliminazione dei bagnanti. 

SICILIANDO











"Furono le pagine di Nino Savarese, in un suo opuscolo turistico sulla Sicilia nascosta, a farmi sentire il respiro della popolazione e il brivido delle piante ancora più folte e l'odore del pane mescolato all'afrore degli ovili, a figurarmi donne sui ballatoi, contadini accompagnati ai buoi, i castelli normanni, le zolfare fumose, le saline allucinanti, gli stazzi meridiani, con una chiarezza visiva e olfattiva: una solitudine attenta e operosa, fantasia e povertà.
Era questa la Sicilia concreta e faticosa, primigenia e umana, dove 'in certi punti di terra solitaria, la presenza di un albero, di un uomo, di un animale è circondata da uno strano stupore come se quelle cose volessero proporsi da esemplari della creazione'.
Era la Sicilia senza templi e senza ritrovamenti archeologici, stipata dalla natura e inestricabile dalle sue tradizioni, balenante di vulcani e di passioni ancor più vampanti, pudica e tracotante, generosa e vendicativa, ma italiana sino a un'estrema ragione che può essere mitica e cristiana, sofistica e cattolica, stoica e scettica"
Libero De Libero

giovedì 27 ottobre 2016

L'INFINITO ROUND DI PINO LETO TRA LE STRADE DELLA VUCCIRIA

L'ex campione europeo di pugilato Pino Leto
e la sua palestra di boxe all'aperto, in piazza Caracciolo.
Le fotografie del post sono di ReportageSicilia

Agli inizi del primo round, sotto il tendone di Partanna Mondello, la folla della Vucciria urlava "Leto, Leto, mandalo al tappeto!".
Il coro, scandito battendo i piedi sulle tavole di legno, si interruppe di colpo; ad ammutolirlo dopo nemmeno un minuto fu un violento montante al volto che mandò lui - Pino Leto - al tappeto.
Era la sera del 20 dicembre del 1989, quando il francese della Guadelupa Gilbert Delé mise fine alla carriera del pugile palermitano fino a quel momento campione europeo dei Superwelters.
Il montante raggiunse Leto forse alla nuca; o almeno, così lasciò intendere il boxeur di casa ai suoi delusi sostenitori.



Così, quando l'arbitro inglese John Coilye decretò il KO, dentro e fuori dal ring successe il parapiglia: una sorella di Leto tentò di aggredire Coilye, mentre lo staff tecnico di Delé riuscì a sfuggire ai "vuccirioti" solo grazie all'accorrere di poliziotti e carabinieri.
L'epilogo della carriera di Pino Leto è solo uno dei tanti episodi fuori dall'ordinario che hanno accompagnato la vita di un pugile cresciuto nel cuore di una Palermo disperata e alla difficile ricerca del riscatto sociale.



Molti amici d'infanzia dell'ex campione, oggi 61enne, sono caduti nel frattempo per sempre, uccisi da un colpo di pistola o da una dose di eroina; altri hanno frequentato regolarmente il carcere perché - racconta oggi Leto - "non hanno voluto o non hanno avuto la possibilità di far mangiare i propri figli in maniera onesta".
Dopo l'abbandono della carriera agonistica, lui stesso si è scontrato con le crudeli regole palermitane del gioco criminale: era il luglio del 1993 quando in corso dei Mille - da guardia giurata di una banca - uccise con un colpo di pistola un rapinatore 17enne.


Il ragazzo si chiamava Damiano Ciaramitaro; l'ex pugile gli sparò dopo avere ricevuto una coltellata che gli aveva procurato uno squarcio dallo zigomo della guancia sinistra sino al collo.
In ospedale Pino Leto fu ricucito con 215 punti di sutura, né fu quella l'ultima traversia che sembra porne la vita quotidiana costantemente sul filo del rasoio.
Nell'aprile del 2015, Leto è stato fermato dopo una rissa all'interno della Vucciria.
La vicenda gli è costata la perdita della licenza per il porto d'armi e il lavoro da guardia giurata.



Da allora, Pino Leto riunisce i ragazzi dello storico quartiere palermitano a scuola di boxe sulle "balate" di piazza Caracciolo.
Il suo desiderio è quello di potere disporre di uno spazio chiuso dove allestire una vera palestra:

"Voglio insegnare a questi ragazzi che ci può essere un modo di vincere, nella vita, secondo le regole dello sport.
La boxe - spiega Pino Letopuò essere lo strumento per fargli capire che c'é qualcosa oltre la povertà della Vucciria: un mondo da conoscere e dove cercare di essere migliori.
Ricordo ancora il primo incontro combattuto lontano da Palermo.
Per la prima volta misi piede su un aereo e per la prima volta feci colazione in un albergo: erano lussi che non avevo mai neppure immaginato..."




  

mercoledì 26 ottobre 2016

UN REPORTAGE AD USTICA NEGLI ANNI DEL FASCISMO

Gli accenni sulla presenza dei confinati politici e la vita quotidiana degli usticani in un racconto di Pino Fortini pubblicato da "Le Vie d'Italia" nell'aprile del 1927


Le "Case Vecchie", nella parte alta del paese di Ustica,
in una delle fotografie che nell'aprile del 1927
illustrarono un reportage su "Le Vie d'Italia"
 dello storico del mare Pino Fortini
Lo scorso luglio ReportageSicilia ha riproposto alcuni contenuti di un reportage pubblicato dal mensile del TCI "Le Vie d'Italia" nel luglio 1955, a firma di Flavio Colutta http://reportagesicilia.blogspot.it/2016/07/un-ritratto-di-vita-usticese-nel-1955.html.
All'isola palermitana lo stesso periodico dedicò un primo articolo nell'aprile del 1927, questa volta del saggista e storico del mare Pino Fortini.
Fortini - cui è stata intestata negli anni passati la Biblioteca Comunale di Isola delle Femmine, ricca dei suoi volumi - giunse ad Ustica in un giorno di estate, forse nell'anno precedente alla pubblicazione dell'articolo.


Il piroscafo "Ustica", uno dei tre vapori
di 200 tonnellate di stazza utilizzati negli anni Venti
per i collegamenti fra Palermo, Ustica, Pantelleria e le Pelagie
La notazione temporale è importante per comprendere anzitutto il riferimento ed il senso di alcune considerazioni riguardanti la presenza nell'isola di una trentina di detenuti politici, lì confinati in quegli anni dal fascismo: fra gli altri, Rosselli, Parri, Romita, Bencivegna, Tucci, Bordiga, Silvestri, Bacchetti, Maffi, Ciccotti, Bibi e, naturalmente, Antonio Gramsci.




Due vedute dell'edilizia usticana
riprese dalla Cala di Santa Maria

Proprio il segretario del Partito Comunista d'Italia sarebbe sbarcato ad Ustica pochi mesi dopo la visita di Pino Fortini, trascorrendovi - sino al 20 gennaio del 1927 - 44 giorni.
La prosa di Fortini mostra così si allinearsi a quella segregazione politica voluta dal regime:  

"Quando Ustica, è talvolta, separata dal mondo magari per un'intera settimana e quando le onde del canale sono spesso inclementi, i viaggiatori sono quasi soltanto costituiti dal triste carico dei coatti e dalle loro scorte...
Ecco, intorno a noi, rumorosi gruppi di gente scamiciata che calza ciabatte, veste panni di color marrone rigati di azzurro, ed adopera i più svariati dialetti italiani.
Ustica è sede di una numerosa - fin troppo numerosa - colonia di coatti, molti dei quali si prestano, per poco prezzo, ad umili e faticosi lavori.
Colonia avversata, da gran parte della popolazione, per alte e valide ragioni di ordine morale, ma ritenuta da qualcuno, a quanto mi si dice, un male utile perché adibita a lavori cui ormai più non si presterebbero i nativi del luogo"


Un ritratto collettivo di usticani
fra la spiaggia e il belvedere di Cala Santa Maria
Difesa a parte dell'oppressione politica, il reportage di Fortini è comunque ricco di osservazioni che raccontano molti altri aspetti della realtà usticana del tempo.
Anzitutto quello dei collegamenti dell'isola con Palermo.
Emerge qui la passione del cronista per la navigazione navale:

"Il postale, uno dei tre piccoli piroscafi sulle 200 tonnellate che, alternandosi, collegano Ustica e Pantelleria e le perdute Pelagie, manovra rapidamente, colla sveltezza della lunga consuetudine, per uscire dal porto.
Uno, due mugghii! e non appena in franchia segue la costa popolata di case finchè, poco dopo oltrepassata la bianca torre dell'Arenella, mette la prua al largo con rotta 'Nord una quarta a Nord-Ovest'.
La seguirà fedelmente al placido trotto dei suoi dieci nodi all'ora, e vedrà, dopo qualche ora di mare, salire, gradatamente, su un monotono sfondo nero di lave e di rupi vulcaniche, vivaci toni gialli di stoppie e di sterpaie, e lo squillante verde dei campi di un altipiano; finchè, dopo 37 miglia, rullerà lievemente, trattenuto dalle sue ancore, davanti ad un severo paesetto"


Ancora una veduta di Cala Santa Maria
dallo sperone roccioso nei pressi del fortilizio del secolo XVIII
costruito a difesa dalle incursioni barbaresche
Lo sbarco del giornalista offre l'occasione di sottolineare la precarietà dell'attracco usticano di allora:

"Un pontiletto di legno, raso sull'acqua e formato di assi squadrate alla brava, dovrebbe facilitarmi il contatto con la terra: ma mi bagno lo stesso perchè esso è quasi sempre inondato dalla risacca.
Chè la Cala è assolutamente indifesa; un moletto in corso di costruzione fu, anzi, pochi anni or sono, spazzato via da una tempesta"

Il racconto di Fortini abbonda quindi di notazioni sulle vicende dell'isola e sull'evoluzione degli insediamenti umani. 
Si parte ovviamente all'identità archeologica più remota; quella narrata dagli storici dell'antichità e riferita alla tragica sorte di 6.000 mercenari cartaginesi che ad Ustica morirono di inedia dopo esservi stati deportati a seguito di un fallito tentativo di rivolta:

"Ed a proposito di fenici, non ci è dato anche forse di congetturare, in base ad un passo di Tucidide, che essi siano stati i primissimi abitatori di Ustica?
E non fu addotta a sostegno di tale ipotesi la scoperta, fatta dai primi coloni dell'isola ( 1762 ), di una camera sepolcrale giudicata di indubbio carattere fenicio, posta alle falde della Falconiera, camera di cui oggi non c'è più traccia?
Ma ai fenici seguirono indubbiamente i romani, come risulta da mosaici, piatti, utensili domestici, monete trovate nell'isola nonché da qualche iscrizione...
... Il Fazello, scrivendo verso al metà del secolo XVI, aveva già notato che Ustica in effetto era 'omnino deserta' e comodo punto di appoggio dei pirati barbareschi.


Il "Piano di Tramontana",
diviso nei rettangoli delle diverse coltivazioni agricole
Ma il 14 marzo 1761 veniva proclamato il seguente bando del vicerè Fogliani:
'Intento sempre il Re Nostro Signore ad aumentare il commercio sì interno che esterno di questo suo regno di Sicilia, dopo avere considerato quanto pericolosa resa siasi la navigazione del mare che tra questo Regno sudetto e quello di Napoli si media a causa della quantità dei legni corsari barbareschi, che di continuo l'infestano per il sicuro ricovero che trovano ad Ustica ha risolto di popolar la predetta isola con naturali di questo Regno.
Già di fatti l'ingegnere Valenzuola, appositamente inviato, nel 1759, nell'isola ne aveva rilevato la pianta ed esaminato i luoghi più adatti per disporvi le fortificazioni.
Ma non appena - si può dire - avuta notizia del bando, una sessantina di abitanti di Lipari, nelle Eolie, si recavano ad occupare Ustica.
Le prime abitazioni furono costruite in quella che è attualmente la parte più alta del paese, denominata appunto 'Case Vecchie', e dove si trova anche ingente numero di giganteschi massi ovoidali di lava basaltica, evidentemente rigettati dai sovrastanti crateri.
Ora, in quel gruppo di casette nere, ormai soltanto adibite a pagliaio, tagliate da viuzze e tutte raccolte intorno ad una rustica cappella, anche essa non più adibita al culto, si svolse in una chiara notte del 1762, mentre - secondo una tradizione locale inedita - si festeggiava uno sposalizio, una terribile strage.
Chè i barbareschi, già respinti una volta, trovarono l'occasione propizia per prendere la rivincita, misero tutto a sacco e trassero in schiavitù i superstiti.
Il governo fece allora compiere subito le fortificazioni, cosicchè l'isola, qualche anno dopo, si ripopolò stabilmente sempre traendo il fondo della sua popolazione dalle Eolie, come lo dimostrano anche le particolarità del dialetto usticano che sono naturali alla parlata di quelle isole" 


Ancora una veduta del "Piano di Tramontana"
dal piazzale del Semaforo

Quindi il reportage analizza la vita di pescatori e contadini raccolti intorno alla piccola Cala di Santa Maria, luogo che Pino Fortini definisce "di un intensissimo azzurro".
Segue una documentata descrizione delle caratteristiche agricole dell'isola:

"Rari pescatori, una quarantina circa, su poche e piccole barche, sfruttano incompiutamente le acque che circondano Ustica; mentre loro confratelli della costa sicula vengono saltuariamente a supplire la deficiente iniziativa locale e catturare mediante il paziente e pesante lavoro dei tremagli ( quasi non adoperati nell'isola ) copia di triglie; frugano i recessi degli scogli con la fiocina; adoperano - avversati - la lampara; ricavandone anche, come due 'sacoleva' greci tornati per la prima volta quest'anno, un buon raccolto di spugne sulla vicina secca della Colombaia...
... A cavalcioni di un rustico basto, le gambe penzoloni, mi avvio, in compagnia di gentili amici, al semaforo, posto sulla cima Guardia di Mezzo, a 230 metri.
E su, dunque, per un ripidissimo sentiero che si snoda sul fianco della collina, incassato a volta fra rocce, strapiombante, assai più spesso, nel vuoto.
A tratti mi appare la grande fantasmagorìa della pianura, detta 'di tramontana', divisa, come uno scacchiere, in campi bel coltivati coi laghi d'oro delle stoppie, il picchettìo giallo dei 'melloni' fra il verde delle fronde e lo sfondo cupo della terra nerastra, il verde vivo dei pampini delle vigne e le numerose casette coloniche ( tutte d'un tipo che danno su un rustico loggiato sorretto da colonne ) nelle quali, d'estate, vanno a rifugiarsi gli abitanti dell'isola...
... La rivelazione è costituita, per me, dalla fertilità del suolo, affatto insospettata dal luogo usuale di approdo.


Il bianco faro di Ustica
e il contrasto con la tonalità scura
della roccia vulcanica
La produttività dell'isola, quando essa fu ripopolata, nel 1762, si manifestò addirittura straordinaria per il lungo riposo della terra.
'Il piano è fertilissimo - aveva affermato anni prima ( 1759 ) l'ufficiale borbonico siracusano Andrea Pigonati - abbenchè in oggi imboschito nulla meno del monte e pieno di oleastri'.
E, secondo il Russo, i primi arrivati disboscarono subito 'una certa porzione di terra, ove vi seminarono frumento ed altri legumi e ne videro con meraviglia il raccolto, facendo salme due e tumoli quattro di frumento ogni tumolo di terra'
Prodigiosa fertilità della quale il geologo francese Deodat De Dolomieu, nel 1781, dà le ragioni:
'le terre végétative est une argille rouge-noiratre', formata da ceneri e dall'alterazione delle lave, trachitiche in genere, che decompostesi sotto l'azione degli agenti atmosferici, davano ai campi gli elementi più essenziali di quella fertilità che il suolo dell'isola conserva anche oggi, benchè assai diminuito.
Il Dolomieu ritenne anche, non so con quanto fondamento, l'isola adatta alla coltivazione del cotone.
In effetto, essa produce grano e frutta e legumi, fra cui fave di qualità assai rinomata che si esportano con qualche larghezza, ed altro ancora.
Ma niente agrumi; ogni proprietario tiene qualche alberetto di limoni soltanto per uso proprio, chè scarseggia l'acqua per irrigarli.
Mancano difatti - lo ripeto - le sorgenti e quasi ogni casa è fornita di cisterne.
Esistono anche delle cisterne comunali ed una, dalla capacità di 96.000 ettolitri, è stata costruita dal governo.
Nelle campagne, alcune cavità del suolo servono a raccogliere l'acqua piovana e ad abbeverare il bestiame..." 



All'interno della chiesa madre, Fortini notò il pavimento ricostruito in marmo nel 1886 grazie a quella che un'iscrizione descriveva come la "pietà degli isolani abitanti in America e in Patria".
E' l'occasione per ricordare la difficile emigrazione sofferta da Ustica, da isola piccola ad un'isola più grande e dal mar Mediterraneo verso l'Atlantico:

"Già verso il 1850 l'aumento della popolazione, troppo rapido rispetto alle risorse dell'isola, aveva indotto un nucleo di disperati a cercare di stabilirsi in Sardegna.
E ne furono impediti dal governo borbonico.
Ma poco dopo più vasto orizzonte offriva, agli usticani, New Orleans, negli Stati Uniti, ove, nel 1854, cominciarono ad emigrare le prime famiglie".



In quella stessa chiesa che celebrava la generosità degli immigrati lontani dall'isola, Fortini notò infine anche una lapide dedicata al ricordo dei due fratelli Di Bartolo.
In uno sforzo di memoria, lo storico del mare identifica il padre in Vincenzo Di Bartolo, già allora dimenticato pioniere della navigazione siciliana nel mondo ( ed a cui Salvatore Mazzarella nel 1987 ha dedicato per Sellerio il saggio "Vincenzo Di Bartolo da Ustica" ): 

"Scandisco lentamente questo cognome in uno sforzo di memoria.
Ma sì - nota Fortini - il padre, Vincenzo, non è forse quell'audace marinaio che, nei giorni, come dicono gli inglesi più di noi memori delle loro glorie marinare - 'Of Wooden ships and iron men' - mise alla vela da Palermo il 28 ottobre 1838 col brigantino 'Elisa', piccolo scafo equipaggiato da 15 marinai e, primo fra i siciliani e fra gli italiani, diede fondo a Sumatra, dopo avere toccato Boston, nel luglio 1839, per iniziarvi il traffico delle spezie?
E non concesse a lui Ferdinando II, ambito ma unico compenso, la nomina di 'alfiere di vascello in soprannumero' nella Real Marina.
Ne chiedo al mio cortese accompagnatore; altri, forse, nell'isola ricorderà; ma egli non rammenta affatto.
E da questa smemoratezza mi sembra d'un tratto illuminata la decadenza della navigazione e delle industrie pescherecce nell'isola"












giovedì 20 ottobre 2016

DISEGNI DI SICILIA


ERMANNO GAGLIARDO, "Vecchio costume di donna siciliana"

L'ACCORDO SUL REMO DEL PESCATORE CATANESE


La fotografia riproposta da ReportageSicilia porta la firma di Gaetano Armao e venne pubblicata nel settembre del 1954 dalla rivista "Sicilia", edita dall'Assessorato regionale al Turismo.
L'immagine venne efficacemente accompagnata da una didascalia intitolata "Remo come chitarra": l'anonimo pescatore seduto a prua della barca sembra in effetti maneggiare il remo come la tastiera di una chitarra.
La fotografia di Armao illustrò un racconto del giornalista e scrittore catanese Titomanlio Manzella ( Catania, 1891-Roma, 1966 ), con il titolo "Pescatori catanesi".
Nello scritto, Manzella rievoca l'ambiente, i riti e la cultura popolare di un mondo oggi quasi del tutto scomparso in buona parte delle coste siciliane.

"La barca - raccontava Manzella - è l'anima della casa del pescatore.
E' creatura viva tra i vivi e fin dal suo nascere viene trattata come un essere animato.
Essa riceve il battesimo con una solennità che molte volte supera quella del battesimo dei figlioli, e alla quale prendo parte più numerose e più significative persone.


Fin da quando la barca esce dal laboratorio del carpentiere per essere condotta in quello del 'calafatore', donne del parentado e amici del padrone la accompagneranno facendo voti per il suo avvenire.
Poi verrà accompagnata dal pittore, e infine con grande e rumorosa solennità, in chiesa.
Questa volta donne e compari sfoggeranno i loro migliori vestiti.
In chiesa riceverà il battesimo, cioè il nome che porterà sempre scritto a prora ben visibile, in nero, su sfondo bianco.
Dalla chiesa sarà addirittura una corsa, fatta scivolando su i 'palancati', che l'allegra comitiva, man mano che la barca avanza, toglie di dietro e rimette sul suolo davanti alla lucida prora ansiosa di tuffarsi.
Le donne in tutta la contrada prenderanno con gioia parte all'allegria generale e saluteranno la barca cospargendone il cammino di pugni di sale, che avrà la forza di tenere lontano il malocchio, e pronunceranno preghiere e scongiuri, mentre agli uomini della ciurma, intenti a far volare la barca su i 'palancati', offriranno biscotti e caramelle" 


sabato 15 ottobre 2016

L'ASSEDIO EDILIZIO DI VILLA RESUTTANO TERRASI

La difficile sopravvivenza urbana palermitana di una delle più importanti dimore monumentali della piana dei Colli


L'ingresso monumentale di villa Resuttano Terrasi, a Palermo.
Il complesso monumentale del secolo XVIII
negli anni Sessanta e Settanta ha subìto
una pesante aggressione della speculazione edilizia.
Le fotografie del post sono di ReportageSicilia

"Una marea di cemento armato avanza, senza pietà, cancellando quelli che un tempo furono le 'flore' e le 'florette', i boschetti di aranci e di limoni, inglobando le antiche dimore patrizie, distruggendo l'ambiente che vide le fastose 'villeggiature' settecentesche dell'aristocrazia palermitana.
Rimangono questi nobili edifici, negletti ed in abbandono, in un ambiente che non è più il loro, costretti a coesistere con pretenziose e false architetture così dette 'funzionali', privati di quella suggestiva cornice naturale che, mirabilmente, ne esaltava la semplice architettura"







Con queste parole lo storico Rosario La Duca denunciò nel giugno del 1964 sulle pagine della rivista "Sicilia" ( edita dall'Assessorato Regionale al Turismo ) l'attacco della moderna edilizia residenziale palermitana alle storiche ville della piana dei Colli. 
L'intervento di La Duca - in un saggio intitolato "Ville settecentesche nella piana dei Colli" - fu all'epoca una delle poche voci sollevate dagli ambienti intellettuali locali contro la colata di cemento riversata sul patrimonio ambientale ed architettonico cittadino; un silenzio incomprensibile e colpevole, certo non meno grave rispetto alle responsabilità di chi - politici e mafiosi - quello scempio misero materialmente in atto.



Con il passare dei decenni, l'occhio del palermitano si è ormai assuefatto al soffocamento edilizio sofferto da molte ville della piana dei Colli ( detta ancora "chianu ru vintu" dagli anziani della zona, nel ricordo delle brezze marine che un tempo spazzavano liberamente la pianura sgombra di palazzi ).
Le immagini di ReportageSicilia restituiscono il volto odierno di Villa Resuttano Terrasi, fra il quartiere di Resuttana-San Lorenzo e via Ausonia.
Nel 1964, La Duca considerò proprio questo edificio fra i più importanti della piana dei Colli ed in grado di "reggere molto bene il confronto con le più sontuose ville della campagna di Bagheria".



Quella valutazione rende più stridente il contrasto fra ciò che rimane dell'originario impianto della costruzione - privato del parco, un tempo abbellito da un vasto giardino all'italiana - e la bruttezza della moderna edilizia che ne assedia il complesso architettonico. 
Spiccano per raccapriccio costruttivo gli edifici delle Poste ed una gigantesca torre-residence di colore melanzana: visioni di una Palermo capace nel recente passato di calpestare con indifferenza pezzi irripetibili del suo patrimonio storico-monumentale.


Una celebre illustrazione di villa Resuttano Terrasi
e del suo parco pubblicata nel 1761 nell'opera di Arcangelo Leanti
"Lo stato presente della Sicilia"