Agli inizi del Novecento, Torino e Palermo furono accomunate nel segno della Targa Florio.
Ripercorriamo questa storia riproponendo alcune fotografie delle prime edizioni della gara pubblicate nel 1961 dalla rivista "Sicilia"
La fotografie riproposte da ReportageSicilia vennero pubblicate nel settembre del 1961 dalla rivista "Sicilia" edita dalla Fondazione "Ignazio Mormino" del Banco di Sicilia.
Le immagini, relative alle prime edizioni della Targa Florio - accompagnarono un servizio firmato dal giornalista palermitano Vladimiro Caminiti, dapprima cronista del quotidiano "l'Ora" e poi dal 1964 inviato sportivo, a Torino, per conto di "Tuttosport".
Il reportage di Caminiti è intitolato "Vecchia Sicilia a Torino" ed è il resoconto di una visita al locale Museo dell'Automobile, pochi mesi dopo la sua inaugurazione nella sede di corso Polonia.
Il filo del reportage che unisce il prestigioso Museo piemontese alla Targa Florio è naturalmente legato all'importanza della gara madonita nella storia dell'automobilismo; alcune delle fotografie allora pubblicate dalla rivista "Sicilia" facevano parte del patrimonio documentario conservato ancor oggi negli archivi del Museo.
Nel suo racconto, Caminiti spiega di avere incontrato "il funzionario addetto alla direzione del Museo, signor Corte, grassottello, compito come un'educanda".
Il personaggio che il giornalista descrive tuttavia con più attenzione e calore è William Fletcher Bradley, suo collega inglese, amico di Vincenzo Florio ed autore nel 1955 di un libro dedicato alla Targa:
"Il signor Bradley è un vecchietto grazioso ma segaligno, con occhi azzurri grandiosi sopra un naso di forte razza, un naso pesante ed animoso propriamente aquilino. Un naso direi pensante...
Il signor Bradley sa tutto dell'automobile, perchè ne afferrò al nascere l'importanza estrema, l'apocalittica verità, e consumò gli anni migliori correndo appresso le gare, gareggiando egli stesso e venne per decenni di seguito in Sicilia, assistette alla nascita prima, al fiorire poi, splendido e voluttuoso, della gara di Cerda. Sì, il signore Bradley è uno dei nostri.
Egli che ha respirato aria di tutti i continenti, sa bene come in Sicilia ha respirato l'aria più fine e più delicata, dei suoi sogni migliori, delle sue favole vere...".
La visita di Vladimiro Caminiti al Museo dell'Automobile di Torino nel segno della Targa Florio fu allora una sorta di tributo allo stretto rapporto fra la gara siciliana ed il capoluogo del Piemonte, allora città legata alla nascente epopea della Fiat.
Sarebbe stato lo stesso fondatore del Museo, Carlo Biscaretti di Ruffia, nel 1952, a scrivere - ricorderà anni dopo Mario Taccari nel libro "Palermo l'altro ieri", edito da Flaccovio nel 1966 - l'elogio delle iniziative di Florio che schiudevano il varco al motorismo sportivo in Italia:
"Fin dall'inizio dell'automobilismo nostro, Palermo e Torino precedettero dandosi la mano, fiere di trovarsi alla testa di un movimento che ha messo in azione le più feconde energie di tutta Italia".
Se Roma fu per Florio la città dove coltivare i rapporti con i politici - senatori e deputati siciliani chiamati a favorirne le attività imprenditoriali - il capoluogo piemontese fu invece il luogo da cui trarre propulsione per le sue velleità moderniste, legate alla velocità ed allo sviluppo delle competizioni motoristiche.
Se Roma fu per Florio la città dove coltivare i rapporti con i politici - senatori e deputati siciliani chiamati a favorirne le attività imprenditoriali - il capoluogo piemontese fu invece il luogo da cui trarre propulsione per le sue velleità moderniste, legate alla velocità ed allo sviluppo delle competizioni motoristiche.
Questo legame trovò sviluppo grazie anche ai rapporti personali tra l'imprenditore palermitano ed il vercellese Vincenzo Lancia, fondatore del prestigioso marchio automobilistico.
Nel 1903 poi, il torinese Felice Nazzaro accettò l'invito di Vincenzo Florio di trasferirsi a Palermo per curare il suo parco di autovetture; altri due piloti torinesi - Alessandro Cagno, a bordo di un'Itala e Felice Nazzaro su una Fiat - avrebbero vinto rispettivamente la prima edizione della gara siciliana, nel 1906, e quella dell'anno successivo.
Nel 1909, per la quarta edizione della Targa - ha scritto Marina Giordano nell'opera "Vincenzo Florio, il gusto della modernità", edita Eidos nel 2003 - "Florio arriva secondo al traguardo guidando una Fiat di sua proprietà. Ci sarà anche una macchina ribattezzata Florio, fatta costruire da Vincenzo con i suoi capitali, costituendo apposta per questo la 'Società Florio', gestita commercialmente da Vittorio Valletta, futuro manager della Fiat, e tecnicamente dall'abile pilota torinese Cravero; con la sua guida, la vettura giungerà decima alla settima edizione della Targa ( 1912 )".
Infine, Torino è stata una città legata alla gara delle Madonie anche per le attenzioni giornalistiche riservategli dal quotidiano "La Stampa", voce giornalistica del gruppo Fiat.
Il 7 maggio del 1906 così l'inviato Gustavo Verona descriveva appassionatamente il Grande Circuito delle Madonie:
"Il Circuito delle Madonie abbraccia, come è noto, un perimetro di 149 chilometri, assai vario e accidentato, al cui confronto non regge neppure il famoso Circuito delle Ardenne.
Partendosi da Buonfornello, per la strada provinciale si giunge a Cerda, ove s'immette nella larga e comoda via nazionale. Quivi comincia la salita, che va sensibilmente aumentando, sino a raggiungere un maximum di altezza di 1120 metri al Passo del Bifolco, nel territorio di Geraci.
Il Circuito attraversa dapprima la regione del latifondo sterile e brulla, ma quando entra nel cuore delle Madonie, il paesaggio muta come per incanto.
La strada corre per una immensa valléa, rinserrata da montagne altissime - tutte appartenenti alla catena delle Madonie - dalle alte cime nereggianti di faggi, i cui bruni riflessi contrastano col verde chiaro delle querce e delle elci e con l'argenteo pallore degli olivi.
Da Castellana, ridente ed aprico sobborgo di Petralia Sottana, la strada si fa sempre più erta. Ma, per compenso, la visione panoramica è di una incomparabile bellezza.
Al primo tourniquet del tratto stradale che va da Castellana alle Petralie, si scorge Soprana, il più alto paese di Sicilia - a 1240 metri sul livello del mare - le cui bianche torri pare si librino nell'azzurro.
Il Circuito tocca le porte di Petralia Sottana e prosegue per il bivio Geraci-Ganci. A poca distanza da questo trovasi il Passo del Bifolco, che segna, come abbiamo detto, la maggiore altimetria del Circuito stesso.
Appena s'entra nel territorio di Geraci comincia la discesa.
Una discesa varia e movimentata, che si compie in mezzo alla vasta sughereta per cui è rinomata quella plaga montuosa.
Il bosco finisce mentre ci avviciniamo a Castelbuono, ma il paesaggio non è per questo meno bello e ridente.
Il tratto di strada che va dall'antico borgo dei marchesi Geraci ad Isnello è piano ed agevole, sebbene poco interessante dal punto di vista delle bellezze naturali.
Ma oltrepassato Isnello - specie quando si giunge al valico di Mangiarrati - si presenta ai nostri occhi, stupefatti dalla portentosa visione, il grande, folto, bosco di Aspromonte, e più lontano ancora, quello di Volpignano.
E' questo, senza dubbio alcuno, il tratto più bello del Circuito, la cui vista lascerà un magnifico ed immarcescibile ricordo nella memoria dei visitatori.
Si giunge a Collesano coll'anima rapita dalla mirabile visione, giacchè, per quanto si possa stare con i nervi tesi e col cervello vibrante, per quanto si abbiano gli occhi fissi sul volante, per quanto la più grande preoccupazione sia quella di divorare dei chilometri, il fascino dei luoghi è così possente che pervade l'animo del più temprato corridore.
Uscendo da Collesano, ci avviciniamo alla fine. Pochi minuti ed eccoci a Campofelice di Roccella. Da qui a Buonfornello havvi un rettifilo di parecchi chilometri, che renderà la fine della corsa assai viva e palpitante".
Il reportage giornalistico di Gustavo Verona sembra così diventare un racconto in presa diretta degli equipaggi delle prime edizioni della Targa ritratti dalle fotografie del post.
Quegli scatti oggi ultracentenari, pure a volte deformati dalla lentezza degli otturatori, rivelano l'ansiosa ricerca di velocità e progresso insita nella genesi stessa della gara di Vincenzo Florio, lungo un circuito aspro e polveroso, nel cuore della Sicilia d'inizio Novecento.
Una terra, insomma, allora assai lontana dalla modernità di Torino, dalle sue fabbriche e da quel dinamismo imprenditoriale che presto non avrebbe più visto fra i suoi promotori il nome dei Florio.
Il 7 maggio del 1906 così l'inviato Gustavo Verona descriveva appassionatamente il Grande Circuito delle Madonie:
"Il Circuito delle Madonie abbraccia, come è noto, un perimetro di 149 chilometri, assai vario e accidentato, al cui confronto non regge neppure il famoso Circuito delle Ardenne.
Partendosi da Buonfornello, per la strada provinciale si giunge a Cerda, ove s'immette nella larga e comoda via nazionale. Quivi comincia la salita, che va sensibilmente aumentando, sino a raggiungere un maximum di altezza di 1120 metri al Passo del Bifolco, nel territorio di Geraci.
Il Circuito attraversa dapprima la regione del latifondo sterile e brulla, ma quando entra nel cuore delle Madonie, il paesaggio muta come per incanto.
La strada corre per una immensa valléa, rinserrata da montagne altissime - tutte appartenenti alla catena delle Madonie - dalle alte cime nereggianti di faggi, i cui bruni riflessi contrastano col verde chiaro delle querce e delle elci e con l'argenteo pallore degli olivi.
Da Castellana, ridente ed aprico sobborgo di Petralia Sottana, la strada si fa sempre più erta. Ma, per compenso, la visione panoramica è di una incomparabile bellezza.
Al primo tourniquet del tratto stradale che va da Castellana alle Petralie, si scorge Soprana, il più alto paese di Sicilia - a 1240 metri sul livello del mare - le cui bianche torri pare si librino nell'azzurro.
Il Circuito tocca le porte di Petralia Sottana e prosegue per il bivio Geraci-Ganci. A poca distanza da questo trovasi il Passo del Bifolco, che segna, come abbiamo detto, la maggiore altimetria del Circuito stesso.
Appena s'entra nel territorio di Geraci comincia la discesa.
Una discesa varia e movimentata, che si compie in mezzo alla vasta sughereta per cui è rinomata quella plaga montuosa.
Il bosco finisce mentre ci avviciniamo a Castelbuono, ma il paesaggio non è per questo meno bello e ridente.
Il tratto di strada che va dall'antico borgo dei marchesi Geraci ad Isnello è piano ed agevole, sebbene poco interessante dal punto di vista delle bellezze naturali.
Ma oltrepassato Isnello - specie quando si giunge al valico di Mangiarrati - si presenta ai nostri occhi, stupefatti dalla portentosa visione, il grande, folto, bosco di Aspromonte, e più lontano ancora, quello di Volpignano.
E' questo, senza dubbio alcuno, il tratto più bello del Circuito, la cui vista lascerà un magnifico ed immarcescibile ricordo nella memoria dei visitatori.
Si giunge a Collesano coll'anima rapita dalla mirabile visione, giacchè, per quanto si possa stare con i nervi tesi e col cervello vibrante, per quanto si abbiano gli occhi fissi sul volante, per quanto la più grande preoccupazione sia quella di divorare dei chilometri, il fascino dei luoghi è così possente che pervade l'animo del più temprato corridore.
Uscendo da Collesano, ci avviciniamo alla fine. Pochi minuti ed eccoci a Campofelice di Roccella. Da qui a Buonfornello havvi un rettifilo di parecchi chilometri, che renderà la fine della corsa assai viva e palpitante".
Il reportage giornalistico di Gustavo Verona sembra così diventare un racconto in presa diretta degli equipaggi delle prime edizioni della Targa ritratti dalle fotografie del post.
Quegli scatti oggi ultracentenari, pure a volte deformati dalla lentezza degli otturatori, rivelano l'ansiosa ricerca di velocità e progresso insita nella genesi stessa della gara di Vincenzo Florio, lungo un circuito aspro e polveroso, nel cuore della Sicilia d'inizio Novecento.
Una terra, insomma, allora assai lontana dalla modernità di Torino, dalle sue fabbriche e da quel dinamismo imprenditoriale che presto non avrebbe più visto fra i suoi promotori il nome dei Florio.
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