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venerdì 17 luglio 2015

I CARRUBI IBLEI DI GIUSEPPE LEONE

Sette immagini del fotografo ragusano svelano la  maestosa bellezza di un albero che racconta la storia di un'antica terra di contadini e pastori


Raccolta di carrube nelle campagne iblee.
Le fotografie riproposte da ReportageSicilia
sono di Giuseppe Leone e sono tratte
dal volume "Il Ragusano, storie e paesaggi dell'arte casearia",
edito nel 1999 da Federico Motta
con testi di Francesco Amata,  Giuseppe Licitra e Diego Mormorio

"Giuseppe Leone è uno dei pochissimi autori italiani ed europei che merita l'appellativo di fotografo paesaggista: che sa coniugare lo spirito poetizzante con una capacità critica che ha le sue radici in una partecipata conoscenza dei luoghi fotografati e che, dunque, è una pratica completamente lontana da quella di chi ( velocemente ) tutto fotografa senza reale conoscenza e senza tensione poetica"

Con queste parole lo storico ed antropologo della fotografia Diego Mormorio analizzò nel 1999 l'opera del fotografo ragusano, che al paesaggio ibleo ed ai personaggi di quell'ambiente ( "La civiltà del legno" 1973, "La pietra vissuta" 1978 e "Mastri e maestri dell'architettura iblea" 1985 ) ha dedicato oltre un cinquantennio di scatti.
Le fotografie di carrubi riproposte nel post da ReportageSicilia fanno parte della straordinaria raccolta di immagini che testimoniano quel rapporto di "partecipata conoscenza" fra Leone ed i luoghi della provincia di Ragusa dove è nato, cresciuto e dai quali non si è mai distaccato.



Gli scatti furono pubblicati nell'opera "Il Ragusano, storie e paesaggi dell'arte casearia", edita da Federico Motta Editore nel 1999 con testi di Francesco Amata, Giuseppe Licitra e, appunto, Diego Mormorio.
Il volume nacque sotto il patrocinio del Consorzio Ricerca Filiera Lattiero-Casearia di Ragusa; gran parte delle fotografie realizzate da Giuseppe Leone furono quindi dedicate al lavoro artigianale dei 'casari' e degli stagionatori di un formaggio che fa parte di una secolare tradizione agricola e gastronomica del ragusano.
Fra gli altri scatti del volume, figurano appunto quelli in cui l'albero del carrubo è il protagonista del paesaggio e delle attività dei contadini degli Iblei.
La presenza di quest'albero in Sicilia - una pianta dalle radici grosse e potenti, con un tronco maestoso e rami contorti in forme animalesche - sembra risalire al periodo della colonizzazione fenicia di alcuni litorali dell'isola.



Per secoli, le carrube zuccherine sono state utilizzate per nutrire muli, asini e maiali o per fornire una farina adatta alla preparazione di biscotti e dolci.
Nel 1991, il giornalista Mario Fazio descrisse "i tappeti che hanno un odore di antico" creati dalla caduta delle carrube sul terreno: quel profumo forte e inebriante che accompagna il viaggiatore in molti angoli della campagna ragusana.
Nel periodo borbonico, la coltivazione si estendeva in provincia di Ragusa su circa 20.000 ettari, con una produzione media annua di 250.000 quintali.

"Il valore delle carrube imbarcate nei primi quattro mesi del 1875 dal caricatoio di Pozzallo - scrisse Francesco Amata nel saggio edito da Federico Motta - ammontava a ben 546.393 lire, che è cifra considerevolissima in termini assoluti e che assume rilievo ancor maggiore, se si considera che le esportazioni di vino, principale voce di tutto l'export della zona, nello stesso quadrimestre, aveva toccato le 743.615 lire...
Nel cinquantennio successivo l'area del carrubo si sarebbe ancora allargata  fino ai 28.400 ettari del 1929, addensandosi ulteriormente nei cinque comuni del suo originario insediamento, dove si concentrava l'85 per cento delle superfici impegnate: Ragusa (6.900), Modica (6.400), Scicli (5.500), Ispica (4.300), Pozzallo (960)"


  

Nel 1948, l'area dei carrubeti si era ridotta a 6.000 ettari, ridotti a poco più di 4.000 nel 1979: la presenza dell'albero venne allora messa in crisi nel ragusano  dalla diffusione delle serre per la coltivazione delle primizie e dei vigneti.
Nel 1960, il geografo Ferdinando Milone  ( "Sicilia, la natura e l'uomo", Paolo Boringhieri ), ammirò così questa pianta:

"il carrubo è un bellissimo albero, che, a differenza del nocciolo vuole sole, sole e sole; e pur accontentandosi di acqua limitata, su tutti gli altri alberi si estolle con la sua gran chioma fitta e scura.
Il carrubo conviene ai suoli più poveri, perché, anche se del tutto trascurato, dà frutto, e chi richieda a esso una fruttificazione più abbondante, basta che concimi e rimondi la pianta, sempre che i prezzi lo consentano.



Di solito, il carrubo si trova sparso nei seminati, per lo più nei luoghi dove il suolo è meno ferace.
Nella regione sudorientale dell'isola, tuttavia, da Noto sin quasi a Gela, si levano frequenti oasi di carrubeti, che si sostituiscono alle colture più ricche dove il suolo è più ingrato"

Due anni prima, Mmno tecnica e con accenti poetici era invece stata l'analisi di Guido Piovene del suo celebre "Viaggio in Italia" ( Mondadori, 1958 ): 

"ampio, di fronda fitta e scura, dà un'ombra fresca, ossigenata, profonda.
Faceva da casa agli uomini, da stalla agli animali; e sotto il suo ombrello isolante trovavano riposo e tetto il contadino, l'asino, chiunque cercava un asilo.
Ogni carrubo è una piccola oasi, rievocante una terra di contadini e di pastori"




Oggi il paesaggio ibleo continua ad offrire lo spettacolo maestoso e l'ombra delle chiome di migliaia di carrubi, i cui frutti vengono sfruttati dalle aziende agroalimentari e da quelle della mangimistica.
Le fotografie di Giuseppe Leone pubblicate in "Il Ragusano" ne sottolineano l'intimo legame con il territorio e con la cultura contadina locale, al di là dei dati percentuali e numerici che ne hanno accompagnato la storia degli ultimi due secoli.



I carrubi di Leone ci mostrano così un pezzo di Sicilia "dal cuore antico", e quindi più intima e poetica; e come in altri pochi casi, la visione di queste fotografie invoglia a scoprirla da vicino, dando inizio ad un viaggio iniziato dalle pagine di un libro che affascina.  

  

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