Cavatore di pomice a Lipari. Le fotografie del post sono di Melo Minnella, opera citata |
""Male di pietra" continuò il marinaio. "E' un cavatore di pomice di Lipari. Ce ne sono a centinaia come lui in quell'isola. Non arrivano neanche ai quarant'anni. I medici non sanno che farci e loro vengono a chiedere il miracolo alla Madonna negra qui del Tindaro. Speziali e aromatari li curano con senapismi e infusi e ci s'ingrassano. I medici li squartano dopo morti e si dànno a studiare quei polmoni bianchi e duri come pietra sui quali ci possono molare i loro coltellini. Che cercano? Pietra è, polvere di pomice. Non capiscono che tutto sta a non fargliela ingoiare..."
"... Al di là di Canneto, verso il ponente, s'erge dal mare un monte bianco, abbagliante che chiamasi Pelato. Quivi copiosa schiera d'uomini, brulichio nero di tarantole e scarafaggi, sotto un sole di foco che pare di Marocco, gratta la pietra porosa col piccone; curva sotto le ceste esce da buche, da grotte, gallerie; scivola sopra pontili esili di tavole che s'allungano nel mare fino ai velieri..."
Nel 1976, in "Il sorriso dell'ignoto marinaio" ( Einaudi, Torino ), Vincenzo Consolo così descrisse la diffusione della silicosi - "il male di pietra" - che stroncava le vite dei cavatori di pomice di Lipari: un'attività di estrazione già iniziata sul finire del secolo XVII e terminata dopo il fallimento degli stabilimenti di Italpomice ad Acquacalda e della Pumex a Porticello, nel 2015. Prima di dedicare alla pomice di Lipari le pagine del romanzo, Consolo aveva riservato a questo tema un reportage documentario.
Lo scritto, corredato da alcune fotografie di Melo Minnella, venne pubblicato il 31 ottobre del 1970 dal settimanale "Tempo". Vi si leggono alcune notizie sulla gestione degli impianti di quel periodo, di proprietà della Pumex: una società per azioni di recente costituzione che raggruppava vecchie ditte a nome collettivo. Sette azionisti della società facevano parte del consiglio comunale di Lipari - "virtualmente ineleggibili, perché proprietari di beni di proprietà del Comune e contro cui non è stato avanzato alcun ricorso" - sottolineò Consolo. In quel reportage, lo scrittore ricordò anche le liti giudiziari che nell'Ottocento contrapposero il municipio alla mensa vescovile di Lipari. Motivo della storica contesa, lo sfruttamento del giacimento di pomice sino ad allora in mano all'istituzione religiosa, che rivendicava il possesso delle sette isole isole Eolie per la donazione ricevuta nel 1084 da Ruggero il Normanno.
Tuttavia, lo scritto pubblicato da "Tempo" si rivelò soprattutto un atto d'accusa contro le condizioni di lavoro degli operai e degli abitanti di Lipari, costretti ancora nel 1970 a respirare la polvere finissima della pomice;"fumate bianche" in grado di vetrificare i polmoni, causando la morte di tanti di loro dopo pochi lustri di inalazione:
""Il bisturi strideva come se intaccasse una pietra. E il polmone era rigido, duro e bianco come la pietra", racconta un avvocato di Lipari, che, da vice-pretore, s'era trovato ad assistere una volta all'autopsia su un cavatore di pomice di Canneto, isola di Lipari, morto sul lavoro. E' stata quella un'esperienza che non dimentica. Quei due polmoni bianchi, isolati da tutto il resto come certi organi di cera appesi per voto all'altare di San Bartolomeo, sono fissi nella sua memoria. Erano frequenti allora queste morti per consunzione di cavatori sul lavoro. I più fortunati morivano a casa, di notte o di domenica: sui 35, 40 anni. Oggi, invece, arrivano fino ai 45-50 anni i cavatori di pomice di Canneto e Acquacalda, isole Eolie. La vita media di questi operai s'è allungata, grazie al fatto che si è scoperto da pochi anni ( per merito del vecchio medico condotto di Canneto, il dottor Di Perri ), che la causa vera della loro morte è il male della pietra, la silicosi. Ma i morti sono ancora sei all'anno, e gli ammalati di silicosi il 90 per cento su circa 800 operai. E in compenso, anche coi ritrovati moderni della tecnica per l'estrazione e la lavorazione della pomice sul posto, si ammala di silicosi anche la popolazione dei due paesetti di Lipari, uomini che alle cave non lavorano, le donne e i bambini.
L'estrazione avveniva prima con picconi e i badili, il trasporto cn le ceste e le carriole, la macinazione la facevano le donne chiuse dentro i magazzini, pestando la pomice con le pietre piatte e levigate dal mare. Oggi vi sono perforatrici, carrelli coi binari, tapis-roulants e mulini che riducono la pomice in granulato e polvere finissima. Questi mezzi meccanici, moderni, provocano costantemente quelle che gli operai chiamano "fumate bianche". Essi lavorano sempre avvolti in queste brume micidiali. Certo, dovrebbero usare le maschere, e le ditte le hanno comprate. ma gli operai non riescono a sopportarle per più di cinque minuti: per il caldo, per le difficoltà di respirazione, per la costrizione e pressione che esercitano sul viso. Gli abitanti dei due centri vivono dentro la pomice. Ed ora, ad Acquacalda, la società Italpomice vuole impiantare un altro grosso mulino in pieno centro abitato, a ridosso delle scuole elementari. Gli abitanti di Acquacalda non vogliono questo mulino, si sono ribellati, hanno mandato delle petizioni alle solite autorità competenti. Le quali ancora non hanno fatto sapere quali decisioni prenderanno. Le montagne di pomice non si vedono dagli alberghi gremiti di vulcano, nè dal porto di Lipari intasato di "barche" forestiere, nè dalla villa del musicista Sergiu Celibidache, a Quattrocchi, l'alto poggio da cui si godono sublimi visioni e infiniti orizzonti; nè da tutta la costa di sud-est e di sud-ovest dell'isola affollata di turisti. Per vederle, bisogna fare tutta la Marina Lunga, traversare il tunnel sotto il Monte Rosa e arrivare fino a Canneto. Canneto già comincia a biancheggiare. Alle spalle di Canneto è il Monte Pelato, il monte grigio-bianco di pomice con tra le gole radi cespugli verdastri. Oltre Canneto, la strada si arrampica e serpentina verso l'alto. Si passa per Capo Rosso, Pietra Liscia, Porticello, Campobianco. La stradina asfaltata è come una passatoia sul soffice bianco. Blocchi e schegge di ossidiana affiorano tra la polvere..."
"... A Campobianco, a sinistra, sul lato della montagna tagliata ad anfiteatro, vi sono le bocche scure delle gallerie, le aperture ad arco dei cunicoli che corrono dentro la montagna. Gli operai sono dentro le gallerie o sparsi qua e là per il costone. I carrelli corrono sferragliando sui binari, scaricano sui camion e i camion portano il materiale ai mulini. C'è scritto dappertutto Pumex, sui camion, sulle bocche delle cave, sui mulini. E' la società che estrae, lavora e commercia la pomice in questa zona..."
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