"Ragazzo con la cassata siciliana", disegno acquarellato di Bruno Caruso, 1975 |
"I dolci accompagnano l'esistenza del siciliano. Forse a compenso di amarezze e disinganni", ha scritto l'attore palermitano Pino Caruso; e, fra tutti i dolci dell'Isola, la cassata può essere quello che più di tutti esprime il parossismo del piacere consolatorio della gola. Le origini della cassata - dolce che in origine si consumava in occasione del giorno di Pasqua - sono incerte; di certo, come ha scritto Maria Oliveri in "I segreti del chiostro. Storie e ricette dei monasteri di Palermo" ( Il Genio Editore, Palermo, 2017 ), "il testo più antico in cui appare il vocabolo "cassata" è il "Declarus", un vocabolario siciliano-latino, redatto da Angelo Senisio ( 1305-1486 ), primo abate del monastero di San Martino delle Scale: si trattava di una torta, cotta al forno, ripiena di formaggio". Nella seconda metà dell'Ottocento, il successo commerciale della cassata - sfarzosamente decorata con frutti canditi - si legò alla produzione della pasticceria palermitana del cavaliere Salvatore Gulì. Fu in quel periodo che le cassate, imballate in eleganti scatole di latta, cominciarono ad essere esportate oltre lo Stretto di Messina.
Insieme ai cannoli, questo ricchissimo dolce identifica da allora la Sicilia. Nel saggio "Il pranzo di Mosè" ( Giunti Editore, Milano, 2014 ), Simonetta Agnello Hornby ne ha così illustrato la modalità di consumo:
"La cassata, tra i dolci siciliani, è il più amato in famiglia. A noi piace mangiarla in tarda mattinata. Seduti al tavolo ancora non conzato, la serviamo nei piatti da frutta, come per farci perdonare il nostro cedimento alla golosità. La accompagniamo con un bicchiere d'acqua. Chi passa è invitato ad unirsi a noi, in questa trasgressione comune. Quando prepariamo la cassata da servire a tavola, adoperiamo la forma più grande che abbiamo per avere dei resti sostanziosi e lasciarne una buona parte per il giorno dopo: sappiamo tutti che la cassata è più buona dopo qualche giorno..."
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