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domenica 6 febbraio 2011

LA SCOMPARSA BELLEZZA DI CEFALU'

L'elegante scatto del porto vecchio di Cefalù del fotografo Josip Ciganonic pubblicato da 'Sicilia', volume I, collana Tuttitalia, nel 1962. La cittadina palermitana ha perso oggi quel fascino incomparabile che sino a qualche anno fa coniugava bellezze naturali ed opera dell'uomo, rappresentata dal duomo normanno e da un territorio non ancora intaccato dall'industria turistica
Il miglior modo per scoprire la bellezza di Cefalù è rivedere le scene iniziali del film ‘A ciascuno il suo’, tratto dal romanzo di Leonardo Sciascia e diretto da Elio Petri: le prime immagini scoprono dall’alto la brulla maestosità della rocca, al di sotto della quale si ergono i volumi perfetti della cattedrale normanna e, come gemme incastonate al suo perimetro, le piazze ed i vicoli ed i tetti di palazzi e palazzine del centro storico: un mosaico di vecchie tegole proteso verso il blu del Tirreno.


Sopra, i tetti delle abitazioni di Cefalù dalla rocca che sovrasta il paese; la foto è tratta dal mensile 'Sicilia' dell' aprile del 1971, edito dal Banco di Sicilia. Sotto, la locandina del film  'A ciascuno il suo' del regista Elio Petri, tratto dal romanzo di Leonardo Sciascia: interamente girato a Cefalù nel 1968, è oggi un documento prezioso sulla bellezza perduta del territorio cefaludese




C’è da sottolineare che il film - protagonisti del quale furono Gian Maria Volontè ed Irene Papas - venne girato nel 1968; e che i paesaggi della Cefalù allora utilizzati per raccontare la tragica morte del professor Laurana sono da tempo scomparsi, soffocati dal cemento e dall’impeto viario e portuale che hanno squassato ettari di uliveti e lo scenario marino della Presidiana.
Svincoli autostradali, rotonde e strade che collegano il vecchio paese al nuovo centro urbano hanno ormai dissestato la bellezza del territorio; e pretenziose villette a schiera – vicinissime l’una all’altra, quasi che dalla cucina di una si possa accedere al bagno dell’altra – hanno cancellato per sempre la macchia mediterranea di contrade un tempo verdissime, come Ferla e Santa Lucia.
Che dire poi della spiaggia, sul lungomare del paese vecchio? Sino ad una trentina di anni fa l’erosione non l’aveva ancora ridotta in maniera drastica; vi si potevano liberamente osservare i paguri o grandi conchiglie portate dalla risacca. Oggi, quella stessa spiaggia – cui accedere solo dopo avere cercato a lungo un parcheggio a pagamento - è presa d’assalto dai bagnanti, come se si trovassero allo stabilimento ‘Aloha Beach’ di Riccione; sdraiati sui teli o sulle sdraio, la vista verso terra riserva una monotona sequenza di ristoranti turistici dai sapori amorfi.

Due fotografie che testimoniano da un lato la scarsa urbanizzazione del territorio di Cefalù negli anni successivi al secondo dopoguerra e, dall'altro, il fenomeno dell'erosione della spiaggia del suo lungomare, oggi imbruttito da una miriade di ristoranti e locali turistici. Il primo scatto è stato pubblicato su 'le Vie d'Italia' del TCI del febbraio 1953, a firma foto Incom; il secondo - eseguito dalle strutture megalitiche della rocca - è tratto dal saggio 'Sicilia pagana', di Eugenio Manni, edito nel 1963 da Flaccovio Editore 

Con il passare degli anni, insomma, anche Cefalù è diventata una “cittadina turistica”, dove il godimento del paesaggio e dell’opera dell’uomo – la cattedrale normanna od il lavatoio medievale, certo, ma anche certi scorci di vicoli o di vecchi portoni settecenteschi – è stata sostituita dal repertorio standardizzato di “beni e servizi” offerti per garantire il lucroso soggiorno di turisti giornalieri e comitive di stranieri.
Naturalmente, nessuno si sognerebbe di negare l’importanza di questa evoluzione per lo sviluppo economico cefaludese; ma è innegabile che il prezzo da pagare sia stato quello della perdita irreparabile dell’identità più autentica del paese, di quell’atmosfera così naturalmente affascinante che appunto ancora si percepisce nel film di Petri basato sul racconto sciasciano.
Cefalù, insomma, continua ad essere un luogo degno di una visita; ma più per chi non ne abbia mai conosciuto le sue residue attrattive – il duomo normanno ed i suoi mosaici, in primo luogo – che per chi l’abbia visitata ed amata negli decenni passati, tedeschi e francesi in primo luogo.

Ancora due scatti cefaludesi di Josip Ciganovic: una veduta del paese dalla strada statale 113 che proviene da Palermo - con il duomo normanno a stagliarsi sulla corona di abitazioni del centro storico - ed uno dei molti vicoli che conducono sino ai piedi della rocca 

Due immagini del duomo, uno dei principali monumenti palermitani che testimonia la presenza e la cultura normanna nella Sicilia del secolo XII. Per Cefalù, la presenza di quest'opera architettonica, unitamente al richiamo delle sue bellezze naturali - il mare, in primo luogo - ha rappresentato in passato motivo di richiamo per vere e proprie colonie di turisti stranieri, in particolare francesi. Il primo scatto è pubblicato nel saggio di G.U.Arata 'Architettura Arabo-normanna e del Rinascimento in Sicilia', edito nei primi anni dello scorso secolo; il secondo è opera del fotografo ragusano Giuseppe Leone, ed è tratto dal saggio 'Cefalù', edito da Bruno Leopardi Editore

Ancora il porto vecchio di Cefalù, in un'immagine a colori pubblicata nel volume 'Sicilia', Edizioni Fotorapidacolor del 1973. Da anni, il principale approdo del paese è quello della Presidiana, dove decine di pontili turistici hanno stravolto il paesaggio marino ad Est del centro storico 

Cinquant’anni fa, Corrado Sofia poteva scrivere che “la città è frequentata da un buon numero di forestieri, molti dei quali, sentendosi i discendenti diretti dei Normanni, cugini o nipoti, girano per le strade e si siedono nei bar con assoluta padronanza e si muovono con l’aria di essere i protettori di questi luoghi; e sono proprio gli abitanti a dare loro questa sensazione di sicurezza”.

Il lavatoio medievale, in uno scatto, ancora una volta, di Ciganovic: la sua peculiarità architettonica ha salvato quest'opera di edilizia urbana dallo scempio edilizio che ha invece interessato altre zone del territorio cefaludese

Sopra e sotto, tre immagini del territorio circostante Cefalù, realizzate agli inizi degli anni Cinquanta dello scorso secolo.  La prima ritrae la baia della Calura, ed è stata realizzata da B.Stefani; è stata pubblicata su 'Le Vie d'Italia' del febbraio 1953. La seconda - firmata da Salvatore Liberti - mostra la stessa zona della Calura, con la strada statale 113 che corre lungo la costa che da Palermo conduce a Messina: sullo sfondo, si intravede il poggio della frazione di Sant'Ambrogio.
Colpisce la bellezza di un territorio non ancora pesantemente segnato dalla presenza di strade ed insediamenti edilizi; col trascorrere dei decenni, l'erosione marina ha pure cancellato l'ampia spiaggia che l'obiettivo del fotografo aveva fissato al centro della baia della calura.
 Nel terzo scatto - ancora una volta realizzato da B.Stefani - è ritratta la rocca di Cefalù dalla strada statale 113, in direzione Messina, nei pressi di Torre Finale



Una notazione sul turismo a Cefalù, infine, non può non rimandare alla storia del suo ‘Village Magic’, fondato pochi anni dopo il secondo dopoguerra da un gruppo di francesi in contrada Santa Lucia, sull’esempio di analoghi villaggi sorti in Grecia, Austria e le Baleari.

Il 'Village Magic' di contrada Santa Lucia, a Cefalù, in tre fotografie pubblicate nell'agosto del 1953 dalla rivista 'Italia Mondo': nel periodo estivo, vi arrivano circa 3000 turisti, suddivisi in gruppi di 500 la settimana.
Così scriveva nel reportage Gina Scaduto: "la sera si accendono i lumi di Termini e Cefalù e le barche da pesca disseminano di fulgide luci tutto il mare: la notte siciliana avrà inizio, una notte calma, tiepida, piena di profumi di mirti e di salsedine marina" 

Nell’agosto del 1953, un reportage della rivista ‘Italia Mondo’, a firma di Gina Scaduto, lo descriveva come una tendopoli frequentata da “una grande famiglia, dove gente di tutti i Paesi si incontra, fa amicizia, vive in perfetta armonia e dove, sovente, ritorna per un richiamo irresistibile”: un richiamo che Cefalù ha perso da tempo, e che allontana da lei chi l’ha amata per il suo fascino oggi perduto.





venerdì 28 gennaio 2011

SICILIA DI OGGI


Costa tirrenica trapanese a Scopello
Foto REPORTAGE SICILIA

mercoledì 26 gennaio 2011

SICILIA DI IERI



La borgata marinara palermitana di Sferracavallo, in due scatti realizzati agli inizi degli anni Sessanta del fotografo serbo Josip Ciganovic dell'agenzia Fotocelere. Il primo è tratto da 'Sicilia', collana 'le regioni d'Italia', UTET, 1974, il secondo da 'Sicilia', volume I, collana tutt'Italia, casa editrice Sansoni, Milano, 1962

SICILIANDO

"La Sicilia è un terreno della politica reale. La Sicilia è il banco di prova della politica italiana, delle capacità del nostro paese di diventare un paese moderno, non soltanto in campo economico, ma anche nelle idee, nella morale, nel costume; è un nodo di conflitti che ci sovrasta. Per questo la parte migliore dell'intelligenza italiana è portata a seguirla ed a viverci dentro, partecipando ad un destino che ci riguarda tutti"   
Guido Piovene, 1962

LE SPERANZE DEL MERCATO DEL CAPO

Due scorci del Capo, uno dei mercati popolari di origine araba a Palermo: i caratteristici teloni colorati che coprono le botteghe ed i banchi dei venditori di generi alimentari freschi - carne, pesce e verdura, soprattutto - ed uno dei molti scorci di arte - il mosaico liberty del panificio Morello - ancora visibili tra l'architettura fatiscente del quartiere 
"Fra i vecchi quartieri palermitani, quello occidentale del Capo è stato in ogni tempo il più depresso, costantemente disertato dalle grandi costruzioni civili e religiose. Formatosi in età araba, fu ricetto di mercanti di schiavi, di marioli di ogni risma, di plebe minuta; nè diverso è oggi il paesaggio umano della povera gente che vive di espedienti, al margine della legge e della civilità".
Agli inizi degli anni Sessanta dello scorso secolo, quando il centro storico di Palermo visse il periodo di più oscuro abbandono - e cioè negli anni del furioso 'sacco edilizio' politico-mafioso delle aree urbane lontane dal centro storico - il critico d'arte palermitano Giuseppe Bellafiore così descriveva il degrado del Capo, uno dei vecchi mercati di origine araba in città.
In quel periodo, il mercato popolare per eccellenza a Palermo era ancora quello della Vucciria; lo animavano decine e decine di venditori ambulanti che sarebbero stati il soggetto, nel corso del 1974, della più nota opera pittorica di Renato Guttuso.  
Oggi, la Vucciria ha perso quasi completamente l'aspetto vivido e vociante delle sue botteghe, insieme affascinante e repulsivo; ed è il mercato del Capo, da 11 secoli incassato nella bassura urbana stretta fra il Palazzo di Giustizia, la piana del Papireto e la via Maqueda, ad eternare nell'era degli ipermercati e dei centri commerciali l'acquisto 'faccia a faccia' con il pescivendolo, il carnezziere, il droghiere od il fruttivendolo.



Venditori del mercato palermitano del Capo, da 11 secoli luogo di vendita di prodotti alimentari.
Dopo il declino della più nota Vucciria, oggi il quartiere - malgrado l'evidente stato di secolare degrado edilizio - offre una varietà di mercanzia che attira migliaia di clienti, sia del quartiere che da altre zone della città 
La ricchezza dei suoi generi alimentari veniva così spiegata già nel 1615 da Vincenzo Di Giovanni, che nell'opera 'Palermo restaurato' descriveva il Capo come una "buona piazza ed abbondante di ogni sorta di frutti, per essere più propinqua ai giardini, e di pesci per essere nella strada di Carini e di Castellammare" ( Rosario La Duca, 'La città passeggiata', L'Epos, volume III, 2003 ). 


Ancora immagini di quotidiano mercato al Capo: i venditori in gran parte ereditano una tradizionale attività di famiglia. Una visita al Capo è un un modo perfetto per intuire le contraddizioni in cui vive Palermo, città eternamente sospesa fra vitalità ed immobilismo, qui rappresentati dai colori e dalle voci dei banchi di vendita e - nelle foto postate sotto - dal degrado strutturale del quartiere 
Rispetto al degrado descritto 50 anni fa da Bellafiore, nella Palermo del 2011 poco o nulla è cambiato al Capo: neppure quella evidente pratica dell'espediente - insieme a verdure e pesci, vengono offerti cd contraffatti, oggetti frutto di ricettazione e dosi di hashish o cocaina -  che rimane l'ineludibile prospettiva di chi continua ad abitare nello sfascio edilizio delle vie del quartiere.




Immergersi tra le viuzze del Capo, lasciarsi quasi guidare dalla corrente umana dei suoi abitanti o dei palermitani che ancora vi acquistano i generi alimentari, è un'esperienza che, superata la prima barriera del folclore ( compreso quello sul rischio degli scippi ), conduce direttamente al cuore dell'essenza palermitana: una città che è l'immagine della speranza ed insieme è   la  sua negazione, prigioniera  di una antica abitudine a sopravvivere al degrado.  
Tutte le foto postate sono realizzate da REPORTAGE SICILIA

giovedì 13 gennaio 2011

QUANDO GELA SCOPRI' IL PETROLIO


"A Gela si vende e si compra di più, c'è maggiore circolazione di denaro, la macchina del progresso ha incominciato a mettersi in moto; per le strade si vedono numerosi moto-scooters con nastri e fiocchi e specchietti e selle in falso leopardo o in falsa zebra.
E nei bar ci sono i juke-box, e nei chioschi si vendono più giornali e più settimanali, ed i tabacchini hanno visto aumentare le richieste di sigarette che non fossero le solite alfa o nazionali semplici. E se i cinema sono sempre due, fanno però spettacoli tutte le sere, e non a sere alternate come accadeva qualche anno fa. Quando ciò accade in un'area depressa, un altro fenomeno viene a galla in modo netto: le contraddizioni non vengono più oscurate e celate, ma stridono.
Così, di Gela 1962 si possono dare due immagini: una ottimistica e una pessimistica. Pessimistica, se ci si limita a constatare lo stato di estrema indigenza nella quale vive tuttora la maggior parte della popolazione, e la mancanza di fognature, di servizi igienici, di lavoro, la povertà della campagna, la carenza di aule scolastiche e di insegnanti, e la gran quantità di cose che resta ancora da fare.
Ottimistica, se si nota l'aumento dei consumi, se si guarda al futuro, agli sviluppi che l'impresa dell'ENI ha provocato e provocherà, alla costruzione del nuovo ospedale, alle case ed ai quartieri che sorgono alla periferia del vecchio centro urbano.
Gela è un paese aperto a tutte le possibilità, dove progresso e arretratezza si confondono ancora, e dove è certamente esploso il primo stadio - quello febbrile, per intenderci - della rivoluzione industriale e dove questa rivoluzione ha causato alcuni dei suoi effetti, ma sviluppandoli e accrescendoli in mezzo al caos ed al disordine e nella mancanza di una legislazione adeguata"  

Una veduta aerea di Gela, negli anni in cui l'attività di estrazione del petrolio cambiò il volto sociale ed economico della cittadina nissena. REPORTAGE SICILIA ripropone in questo post un reportage pubblicato nel maggio del 1962 dal mensile del Touring Club d'Italia 'Le Vie d'Italia', a firma di Giuseppe Tarozzi



Uno scatto del petrolchimico gelese senza indicazione di data del fotografo ragusano Giuseppe Leone,
tratto dal catalogo della mostra 'Scritture di Paesaggio', Alloro Editore, Palermo, 1998 

Il reportage riproposto da REPORTAGE SICILIA è ancora una volta tratto dal mensile del Touring Club d'Italia 'Le Vie d'Italia'; porta la data del maggio 1962, vale a dire nel periodo di massimo sviluppo delle attività di esplorazione petrolifera e lavorazione del greggio nello stabilimento dell'ENI, oggi più noto come petrolchimico.
Nel 1956, le sonde dell'Agip Mineraria avevano scoperto a 3230 metri di profondità, nella Piana del Signore, un giacimento petrolifero: i pozzi crebbero rapidamente, soprattutto fra il vallone Miroglio, il fiume Gela ed il mare, sino a superare i trenta nelle settimane in cui 'Le Vie d'Italia' realizzava il reportage. In quel periodo, gli occupati nel comparto petrolifero erano circa 4.000; l'aspetto stesso di Gela era stato modificato: la realizzazione del petrolchimico aveva richiesto un investimento da 130 miliardi di lire e la necessità di spianare 500 ettari di terra sabbiosa,dove far scorrere strade, canali di cemento ed impianti di produzione.
Nell'area industriale - poco distante dai 'terragni', le case umide e senza servizi igienici, abitate dai più poveri - quattro settori trasformavano il greggio in benzina, gasolio e bitume; qui venivano prodotti anche prodotti azotati ed etilenici, solfato ammonico, urea e coke.
Le previsioni indicarono la possibilità di ricavare petrolio da circa 200 pozzi, ma le potenzialità del giacimento nisseno si rivelarono presto ben inferiori, a causa anche dell'eccessiva densità e viscosità del greggio gelese.
 Firmato da Giuseppe Tarozzi - due anni prima la produzione di uno straordinario documentario scritto da Leonardo Sciascia 'Gela antica e moderna', realizzato da Giuseppe Ferrara -  il resoconto della situazione socio-economica della cittadina nissena di allora, fotografa perfettamente le contraddizioni ancor oggi visibili a Gela: quella della sua situazione occupazionale - oggi deficitaria e non più garantita dai livelli occupazionali degli anni del 'boom petrolifero' - e quella di una situazione ambientale piena di incognite, come dimostrato dall'alto numero di malformazioni infantili registrate negli ultimi decenni e recenti accertamenti della locale Guardia Costiera http://www.hercole.it/index.phpoption=com_content&task=view&id=23991&Itemid=111


Ragazzi e bambini gelesi in strada con gli operai del petrolchimico; negli anni di maggiore attività degli impianti, il numero di addetti raggiunse le 4.000 unità






In queste due foto a colori di Italo Zannier - pubblicate nel 1968 nel libro 'Le Coste d'Italia - la Sicilia', edito da Eni Milano - è evidente l'invasività dello stabilimento petrolchimico nell'ambiente e nell'assetto economico di Gela.
 "La città, con la sua disordinata espansione, conseguenza dello sviluppo economico e demografico provocato dalla presenza della grande industria - si legge nel testo che accompagna le foto ( i testi del libro sono coordinati da Errico Ascione ed Italo Insolera ) -  è stretta da ogni lato da strutture efficienti e funzionali che la costringono quotidianamente ad un mortificante confronto, aggravato ancor più dal fatto di non potere partecipare, socialmente ed economicamente, ai processi di rinnovamento messi in moto dall'industria.
Gela è paradossalmente diventata la periferia dei suoi dintorni" 


Posta su una altura che guarda il canale di Sicilia, lungo una lunga spiaggia sabbiosa, Gela fu una delle più importanti colonie doriche greche dell'isola, fondata il 689 a.C. dai Rodii di Antifemo e dai Cretesi di Eutimo: una storia testimoniata da numerose zone archeologiche, sia terrestri che marine, nascoste queste ultime ancor oggi nei fondali al largo della cittadina.


 




Volti e luoghi di Gela che rimandano al periodo precedente l'intensa attività di esplorazione petrolifera, avviata da Agip Mineraria nel 1956; sopra, contadini sulla scalinata di una chiesa e lo straordinario paesaggio costiero di Capo Soprano, ambiente naturale oggi definitivamente scomparso. Le colture agrarie comprendevano quella del cotone - il cui commercio raggiungeva la vicina Malta - e dei cereali.
 Sotto, un tratto delle antiche fortificazione della colonia greca di origine dorica ed uno scorcio del Museo Archeologico, inaugurato proprio durante i mesi di più intensa corsa alla ricerca del petrolio.  



   

Il Museo Archeologico nacque nel 1958, nel pieno della stagione di sviluppo delle attività petrolifere; una celebrazione dei fasti più antichi della città greca, proprio quando tutto stava cambiando: il volto del territorio, il suo equilibrio ambientale e la prospettiva di uno sviluppo di un'economia prevalentemente turistica, legata all'offerta del binomio natura e cultura.
Oggi Gela vanta una piazza dedicata ad Enrico Mattei, ma c'è da chiedersi quale sia oggi il futuro del petrolchimico, dopo gli ultimi vent'anni di politiche di dismissione e le nuove ipotesi di un disimpegno dell'ENI:http://www.ragusanews.com/articolo/17282/Raffineria-diGela-cento-assunzioni-per-400-licenziamenti.

Le fotografie pubblicate nel post sono tratte dall'articolo 'Gela, statue e petrolio', di Giuseppe Tarozzi/Scalfati/Fotocielo edito in 'Le Vie d'Italia' del TCI del maggio 1962; 'Sicilia', di Aldo Pecora, collana 'le regioni d'Italia', UTET, 1974; 'Sicilia', volume II della collana 'tuttitalia-enciclopedia dell'Italia antica e moderna', G.C.Sansoni, 1962; 'Sicilia', collana 'attraverso l'Italia', edita dal TCI, 1961