Translate

mercoledì 5 giugno 2013

L'IDENTITA' SEGRETA DELL'ISOLA BELLA


E' difficile scoprire fotografie dell'Isola Bella di Taormina che sfuggano ad una rappresentazione da cartolina turistica, tipica di alcuni luoghi della Sicilia.
Questo tipo di documentazione fotografica è incapace di cogliere l'anima nascosta della bellezza di località entrate per merito e per colpa del turismo di massa nello "stereotipo siciliano"; ciò vale, ad esempio - oltre che per l'isolotto della baia di Mazzarò - per i laghetti di Tindari, per l'arco dell'elefante di Pantelleria o per gli scorci sempre silenziosi di Erice.
Nella sua eleganza in bianco e nero, nell'equilibrio della composizione della scena - che pone l'Isola Bella semplicemente sullo sfondo di una spiaggia deserta, con le barche in secca e anonime figure di pescatori - la fotografia di Patrice Molinard rivela l'identità quasi segreta dell'isolotto.
L'immagine è tratta dall'opera "La Sicile", edita a metà degli anni Cinquanta dello scorso secolo da Del Duca Parigi per la collana "Couleurs du monde".
  

martedì 4 giugno 2013

SICILIANDO














"Le vicende storiche della Sicilia sono tali da provocare quasi un senso di irritazione e di collera. Agli occhi di alcuni l'isola non è che un incubo assolato e le sue miserie passate e attuali sarebbero il diretto risultato dello sfruttamento, oltre che dell'incuria e della stupidità...
La Sicilia possiede luoghi di incomparabile bellezza, ma nel suo seno ospita anche miseria e squallore. Può essere violenta e sinistra e insieme dolce e sommessa.
E' stata teatro di molti efferati atti di crudeltà e di disastri, alcuni dei quali recenti. Ha attratto predatori di ogni specie che poi hanno finito per amarla e abbellirla. E' stata definita un crocevia, una regione non europea, una porta per l'Europa.
E tuttavia sia in arte che in politica ha dato i natali ad alcuni grandi europei. Da un certo punto di vista è la regione italiana più tipicamente italiana, con virtù e difetti molteplici.
Per un inglese la Sicilia è per molti aspetti l'Irlanda d'Italia, con la sua diversa civiltà, i suoi enigmi, il suo Cristianesimo per metà paganeggiante, la sua perversità, i suoi odi intestini, le sue disperate correnti di emigrazione prodotte da un sistema economico semplicemente mostruoso"
Raleigh Trevelyan 

lunedì 3 giugno 2013

LA TARGA FLORIO DI BORGESE

Vincenzo Florio, Auto in corsa, 1958,
olio su cartone telato

Più di uno scrittore siciliano ha dedicato qualche pagina delle proprie opere alla Targa Florio.
La gara madonita non è stata solo un appuntamento unico dell'automobilismo internazionale; le difficoltà ed il prestigio del circuito stradale, la partecipazione della popolazione all'evento e la sua ambientazione paesaggistica ne hanno fatto una pagina non secondaria nel costume della storia popolare siciliana.
Fra quanti hanno scritto in quest'ottica della Targa Florio vi è Giuseppe Antonio Borgese ( 1882-1952 ), lo scrittore di Polizzi Generosa autore del romanzo "Rubè" ( 1921 ).
Nei suoi scritti, Borgese considerò che la gara delle Madonie era "di grande richiamo non solo ambientale, ma anche storico, archeologico, artistico, letterario, in cui, ancora ieri come oggi, la natura e la cultura ancora talvolta si alternano, più spesso si intrecciano, offrendo sempre un susseguirsi di emozioni uniche e irripetibili". 
La considerazione dell'intellettuale polizzano trovarono più ampie argomentazioni in un articolo pubblicato dal quotidiano "l'Ora", fondato non a caso da Ignazio Florio a Palermo nell'aprile del 1900. Borgese ne fu collaboratore insieme ad altri personaggi di primo piano della letteratura dell'isola ( Rosso di San Secondo, Luigi Capuana ); quel reportage - ripubblicato nel 2005 dal saggio "Una Sicilia senza aranci" edito da Avagliano Editore, a cura di Ivan Pupo - dimostra il profondo rapporto tra l'evento Targa Florio ed i paesi delle Madonie.
 L'articolo di Borgese comparso sull'"l'Ora" - che divaga sui tanti aspetti sociali, economici e di costume del territorio del tempo - non riporta la data di pubblicazione.
Dai riferimenti sul tracciato di gara - la "via" della corsa - si può tuttavia comprendere che lo scrittore di Polizzi Generosa lo scrisse quando i piloti si sfidarono sul Grande Circuito delle Madonie tra il 1906 ed il 1911 ed ancora nel 1931.

Vincenzo Florio, Auto in corsa, tribune, 1958,
olio su tavola


Lo scrittore Giuseppe Antonio Borgese.
La fotografia è tratta dal volume di Guglielmo Lo Curzio "Questi siciliani", edito nel 1989 da Mursia
  
  
"Ai lettori dell'Ora, pei quali lo sport occupa il primo posto dopo la politica internazionale, non dispiacerà saper qualcosa dei paesi che attraverseranno gli automobili nella prossima primavera, disputandosi i ricchi premi e la Targa Florio.
Io ne scrivo proprio dal centro del circuito, sebbene questo paese dal duplice nonme non sia propriamente sulla via della gara. Ma la strada nazionale che da Termini sale fino a Petralia Soprana, che s'alza ad oltre millecentoquaranta metri dal mare e ove la corsa raggiungerà il suo apogeo altimetrico, poco prima dell'umile villaggio di Castellana si biforca, procedendo per appena quattro chilometri verso tramontana, finchè raggiunge questo borgo annidato sopra una selvaggia roccia di mille metri. Il quale ebbe il suo onorifico epiteto di generosa dalla magnificenza con cui riscattò i suoi privilegi parecchie volte conculcati dalla boria dei re aragonesi, e fu assai importante e popoloso nel Medio Evo come c'insegna perfino il Baedeker, ed ebbe un castello e una moschea e poi fu degno, in una celebre occasione, d'ospitare il Parlamento del Regno. Anch'oggi ha le sue poche ma non spregevoli glorie: ché si vanta di aver dato i natali al cardinale Mariano Rampolla e più ancora si vanta di custodire in una sua piccola chiesa purtroppo staticamente mal sicura un meraviglioso trittico fiammingo che se non è merita indubbiamente di essere opera di Van Dyck.

Vincenzo Florio, Auto in corsa, 1953
acquarello su carta

E' naturale perciò ch'io conosca mediocremente le vie, sulle quali la vegnente primavera udrà un insolito frastuono. E più naturale è ch'io abbia accolto con meraviglia mista a contentezza il programma del nuovo circuito, lieto che finalmente si sappia dai forestieri e anche un pò dagli italiani non essere la Sicilia un solo pezzo di costa senza territorio, a un di presso come i nostri possedimenti in Benadir. La storia e l'arte, la vita civile e persin l'agricoltura furono sempre marittime, nell'isola, e l'interno si può dire ancor oggi inesplorato e tenebroso come un hinterland africano. Pure non è a credere che solamente Taormina sia pittoresca e che dietro i goethiani aranceti non si stenda che lo squallore e la morte, le terre dei fasci e il casino di Grammichele.

Ezio Castellucci, L'attesa sul circuito, 1907
acquarello

Gli chauffeurs del prossimo maggio si lasceranno alle spalle Termini, la città bianca di memorie puniche e siracusane, che alza la testa verso un gran monte dalla cima ricurva e bagna i suoi piedi in un golfo degno di ecloghe elleniche, e saliranno verso la montagna attraverso Cerda e la saracena Caltavuturo, acquattata sotto le spaventose rovine di un castello, ove per certo nidificano i corvi.

Vincenzo Florio, Tribune di Cerda, senza data
olio su tela

Il primo tratto della via non ha nulla da esaltar gli occhi dei gareggianti, che del resto rimarrebbero fissi sul volante in ogni caso: appena si saran lasciata addietro la costa albeggiante d'olivi e nereggiante d'aranceti entreranno nel tristo paese del latifondo, tinto di bassa verdura a primavera, giallo in estate, nero nell'autunno, deserto tutto l'anno fuor che nel mese della falce e nel mese dell'aratro.

Duilio Cambellotti, Targa Florio 1907
bozzetto per la rivista Rapiditas

Di tratto in tratto qualche coppia di bufali, qualche armento di magre cavalle baie; qua e là un filo d'acqua pigra che si rigonfia in bolle asmatiche nel meato della cannella borraccinosa e poi verdeggia nella vasca rude, ove i muli immergono malvolentieri il muso; e, dov'è l'acqua, una piccola casa ceneregnola senza finestre e lì presso un alberello striminzito curvo sulla sua radice come un contadino invecchiato sulla marra, le cime calve, umili e prolisse s'alzano a fatica da valli aperte come lenti sbadigli, entro cui biancheggiano i letti aridi dei torrenti: immagini di una campagna romana, ma senza quel soffio di tragedia.

Duilio Cambellotti, Targa Florio 1907
bozzetto per la rivista Rapiditas

Più tardi però il paese si slarga, dando adito alla vista fin sulle montagne azzurre del mezzogiorno e sulla eccelsa Castrogiovanni. E dopo, oltrepassato il bivio di Polizzi e le due Petralie, la strada costeggia la catena delle Madonie, nome classicamente sonoro di montagne belle come gli Appennini abruzzesi, ombroso di faggi, ricovero di falchi, canore d'acque criscianti e di nomi eroici come il piano della Battaglia, che parecchie volte ricorre in memoria dell'ostinata resistenza mussulmana alle armi crociate del conte Ruggero. Dopo Isnello, ritorna alla vista di tra i boschi il mare, che s'apre ampio e soave innanzi a Collesano. I corridori vedranno olivi ampii e nodosi com'elci, ville alte sul piano come nidi d'aquile, borghi biancheggianti su rupi precipitose e Termini pendula sul golfo.

Margaret Bradley,  Tribune di Cerda, 1930
olio su tela

La via percorre latifondi e boschi. Tra un paio d'anni, quando sarà compiuta la novissima via tra Polizzi e Collesano, che è provinciale, ma saldissima, larga, ben levigata e superiore per cento rispetti alla nazionale tra Petralia e Geraci, si potrà forse con qualche utilità modificare ancora una volta il circuito. Il punto culminante non oltrepasserà i mille metri, ma in compenso i forestieri e gli italiani stessi conosceranno la più florida oasi della Sicilia interiore; contrade di nomi pittoreschi e soavi come Drispo Bianco, Chiaretta, Santa Venera, felici d'acque e d'ombre, deliziose d'una cultura multiforme in cui la severità della montagna imminente è mitigata dal vento marino che s'incanala lungo la greca valle dell'Imera e il fico d'India fa siepe al bosco d'Avellani, l'olivo si torce fra il castagno e l'arancio, l'agave africano non disdegna la compagnia della nordica quercia. Sarà una buona occasione per imparare che anche in Sicilia ci sono zone di agricoltura razionali o quasi, nelle quali vige la mezzadria toscana e magari il fitto olandese.

Margaret Bradley, Tribune di Cerda, 1930
olio su tela

Del resto, le terre che traverseranno gli automobili, non han nulla di barbarico. Qualche paese, tra cui il mio, si permette il magro lusso d'un illuminazione elettrica intermittente secondo la magra o la piena delle fiumane; tutti o quasi tutti son forniti di fognature ed acqua potabile; Petralia Sottana è una piccola città industriosa, dove strepita un grande mulino idraulico fabbricato secondo tutte le regole dell'arte, che fornisce paste e farine a tutta la popolazione del circuito.
Vera miseria non c'è dacché l'emigrazione ha rialzato automaticamente il salario dell'artigiano a tre lire e cinquanta e quello contadino a quasi due lire. Nelle montagne che s'alzano sulla strada c'è ancora qualche lupo, ma non ci sono più briganti da un pezzo. La stessa oscurità dei nomi che vi son passati sotto gli occhi è un ottimo indizio dell'indole di questa brava gente - contadini dal mento centurionesco e borghesi dal labbro saraceno - anime cortesi e miti, cervelli acuti e saggi, che tollerano ancora le sfuriate dei padroni, non invidiano la celebrità di Castelluzzo, non desiderano le visite dell'onorevole Todeschini, non scannano i cappelli e non danno grattacapi alla prefettura. Si può dire che anche i crimini privati vi sono pressocché sconosciuti: l'uomo di marina, il mafioso tracotante e amico dei fatti coi pantaloni larghi e il berretto a sghembo è tenuto in orrore da questi montanari, i quali, se qualche volta rubano, rubano un paniere di fichi e una pollastra.

Il passaggio di una vettura sul circuito della Targa Florio.
L'immagine è tratta dal I volume dell'opera "Sicilia"
edita da Sansoni-Istituto Geografico De Agostini

Col che non si vuol dire che queste forre siano un ignorato Eden di civiltà; la civiltà è tardigrada quassù, e lontana dodici ore di diligenza, che tante ce ne vogliono dalla stazione di Cerda a Petralia Soprana. E che diligenza! un quid medium fra una grande trappola di topi e una gigantesca scatola di fiammiferi, gialla canarino all'esterno e verdeggiante all'interno del velluto smesso dai vagoni ferroviari, fornita di certi finestrini di legno con due bucherelli vetrati e regolarmente incrinati, dai quali permea certa luce che non basterebbe a un ergastolano e certi riscontri che basterebbero a fare un guaio nei polmoni a padre Agostino. Non ci manca, per far l'opera completa, altro che una targhetta la quale avvisi a caratteri cubitali esserci là dentro posto per dodici persone, quegli ingenui passeggeri i quali a occhio e croce giudicano che ci vanno appena sei ragazzi.
Dicono che la corsa primaverile abbia a preludere a un servizio pubblico di automobili, di cui lo stesso Florio si farà iniziatore. Veramente questa buona gente è affezionata, in fondo all'anima, a un certo suo progetto ferroviario d'antica data e d'indefinita scadenza; ma, alla peggio, si contenterebbero dei teuff-teuff, sebbene non li conoscano che di fama, e, per giunta, di cattiva fama.
I baroni di quassù non han soldi da sperperare in macchine pericolose, e preferiscono dondolarsi alla meglio sopra un mansueto cavallo bastardo o, anche meglio, sopra una cavalla, che cumula la virtù di fare una bella figura tra i campieri e di partorire i puledri che poi si vendono. Un certo signore volle una volta profanare il sacro silenzio di queste vie, percorrendole in una vetturetta; ma dovè tante volte tornare a Palermo per riparare le più bizzarre e incredibili panne, che toccò la meta della sua impresa dopo circa una settimana, mentre la diligenza, come vi dicevo, ci mette solo dodici ore. E i montanari aspettano con grand'ansia la primavera per persuadersi che le macchine vanno davvero più leste della corriera postale".        

giovedì 30 maggio 2013

LE PETRALIE, UNA SCABRA E NATURALE BELLEZZA

Anziani al sole a Petralia Sottana, in una fotografia di Josip Ciganovic pubblicata nel 1962 nell'opera "Sicilia"
edita da Sansoni e dall'Istituto Geografico De Agostini.
ReportageSicilia ripropone in questo post cinque immagini delle due Petralie - Sottana e Soprana - realizzate da Ciganovic ed altre due fotografie degli stessi paesi madoniti 

firmate da Antonio e Giuseppe Collisani.
Questi ultimi scatti vennero editi nel maggio del 1948
dalla rivista del TCI "le Vie d'Italia" 

“L’insieme edilizio di un paese come Ganci o Geraci o Polizzi o Gratteri o Isnello, per non citare che i centri minori, impressiona per la sua bellezza, per una sua coerenza stilistica. Anche se si tratta di una bellezza più simile a quella di una conchiglia, o di una qualche forma di vita naturale, che non a quella di un’opera d’arte. E’ il prodotto del continuo lavorio di una collettività nei secoli, le ultime case costruite ieri vestono di embrici e di pietre una struttura che fu identificata e scelta secoli prima, da coloro che stabilirono in quale luogo fondare il paese”.


La barocca chiesa di Santa Maria di Loreto a  Petralia Soprana.
La fotografia è di Ciganovic, in opera citata

Con queste parole, Giovanni Guaita descrisse una cinquantina di anni fa il carattere urbanistico dei paesi delle Madonie.
Sembra a ReportageSicilia che questa descrizione possa riguardare ancora oggi anche le due Petralie – la Soprana e la Sottana – che del contesto territoriale madonita ne rappresentano proprio i centri maggiori; e a dare forza alla impressione contribuiscono le fotografie di questo post.


Gregge di pecore nei pressi dell'ex convento dei Cappuccini 
a Petralia Soprana,
ancora in due scatti di Ciganovic


Gli scatti – eseguiti in tempi diversi, tra gli anni successivi al 1945 e agli inizi degli anni Sessanta - sono firmati da Josip Ciganovic e da Antonio e Giuseppe Collisani: il primo è il fotografo di origini serbe spesso riproposto da ReportageSicilia, i secondi – padre e figlio – sono invece personaggi centrali nella recente storia culturale delle due Petralie.


Passanti dinanzi la chiesa della Misericordia a Petralia Sottana,
nell'ultima fotografia di Josip Ciganovic del post

Tutte le fotografie – quelle di Ciganovic tratte dal I volume dell’opera “Sicilia” edita nel 1962 ( Sansoni-Istituto Geografico De Agostini ), quelle dei Collisani dall’articolo di Gaetano Falzone edito da “le Vie d’Italia” del maggio 1948 ed intitolato “Nel cuore delle Madonie-Petralia Sottana” – hanno in comune la rappresentazione della storica edilizia dei due paesi.


L'arco del campanile della chiesa madre di Petralia Sottana,
in una fotografia di Giuseppe Collisani

In essa la lavorazione della pietra, più che ad un’opera architettonica, corrisponde e si integra alla vita geologica delle Madonie: una continuità ambientale in cui uomini e animali di Petralia Soprana e Sottana sembrano immergere più che in altri luoghi della Sicilia il corso delle loro esistenze.


Il "balzo di canna", nel territorio di Petralia Sottana.
La fotografia è di Antonio Collisani







        


sabato 25 maggio 2013

SICILIANDO














"Se dovessi scegliere una costante dell'isola, una qualità che sia certa, immutabile, sempre disponibile, propenderei per l'intensità. 
Perchè in Sicilia non ci sono mezze misure, niente è controllato o represso. 
Il sole è più caldo, i limoni i più aspri, gli scenari i più sublimi, i mosaici, le chiese e i templi i meglio conservati. 
Se è vero che la freschezza è la caratteristica principale della cucina siciliana, lo stesso non si può dire per la delicatezza; l'aglio è sempre crudo e in quantità industriale, il dolce e il salato fanno a gara a chi prende il sopravvento, e un morso a uno dei dolci locali vi fa salire la glicemia a mille".
Francine Prose

giovedì 23 maggio 2013

CEFALA' DIANA, PAESAGGIO CON CASTELLO

Il castello di Cefalà Diana, nelle campagne palermitane.
L'immagine è tratta dalla rivista "Sicilia"
del settembre del 1962

Ci sono in Sicilia luoghi lontani dagli itinerari turistici tradizionali, eppure capaci di riassumere lo spirito più vero del paesaggio e della storia dell'isola.
Uno di questi luoghi è il castello di Cefalà Diana, nelle campagne della provincia di Palermo.
La fotografia tratta dalla rivista "Sicilia" dell'assessorato Regionale al Turismo, Sport e Spettacolo del settembre del 1962 e riproposta da ReportageSicilia ritrae i resti del castello; l'edificio domina un paesaggio agricolo senza tempo, e nel quale quasi è possibile cogliere lo spirare del vento che agita le messi di grano. 
"Il complesso fortificato - sottolinea il saggio "Castelli di Sicilia" scritto da Fabio Militello e Rodo Santoro ed edito nel 2006 da Kalòs - "è fondato direttamente su un banco roccioso che con le sue ripide pareti costituisce una eccezionale bastionatura naturale... Il castello si trova in un contesto paesaggistico di grande suggestione e in un territorio ricco di testimonianze storiche e archeologiche...".  


domenica 19 maggio 2013

PALERMO, METAFORA DI UNA TARGA

La targa segnaletica "Palermo" nella borgata della Bandita
( fotografia ReportageSicilia )

La targa di marmo che indica “Palermo” ed i 12 metri sul livello del mare è stata installata un secolo fa sulla facciata in conci di tufo di un edificio oggi cadente.
La si può ancora osservare – prima che l’incuria allarghi irreparabilmente la crepa che già ne ha intaccato la O – lungo la strada della Bandita.
Il nome stesso della località ( sulla costa orientale di Palermo, fra lo Sperone ed Acqua dei Corsari ) sembra aggiungere alla fatiscenza della storica targa l’aggravio di un’ubicazione malfamata.
Malgrado le crepe, la fatiscenza e l’abbandono, la scritta “Palermo” ancora resiste.
E’ facile allora per ReportageSicilia guardare a quella vecchia targa in marmo come ad una metafora dello stato della città: vittima dell’incuria, del degrado e dell’insipienza di tanti palermitani, eppure ancora con la possibilità di una salvezza, di una resurrezione civile. 

Vista su monte Pellegrino dalla spiaggia della Bandita
( fotografia di ReportageSicilia )